Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 giugno 2022, n. 19622
Malattia professionale, Nesso causale tra patologia e
condizioni lavorative, Insussistenza, Adesione alle conclusioni della c.t.u.
– Mero dissenso diagnostico, Critica del convincimento del giudice,
Inammissibilità
Rilevato che
Il Tribunale di Foggia, con sentenza del 7.1.2013,
accogliendo la domanda di G.L., M.C., V.M.C. e A.M.C., in proprio e quali eredi
di V.C., ha condannato la S.p.A. I. – presso la quale V.C. aveva prestato la propria
opera sino al decesso causato da insufficienza polmonare in tumore polmonare –
al pagamento, in favore dei ricorrenti, della complessiva somma, già
rivalutata, di Euro 793.486,00, da ripartirsi secondo la quota ereditaria a
ciascuno spettante; della somma, già rivalutata, di Euro 231.525,00, iure
proprio, per ciascuno di essi, nonché degli interessi su tali importi da
calcolarsi, anno per anno, sulle somme previamente devalutate al 6.8.1997 e
quindi anno per anno rivalutate;
la Corte di Appello di Bari, con sentenza pubblicata
il 25.9.2017, accoglieva il gravame interposto dalla società, avverso la
sentenza del primo giudice, nei confronti di G.L., M.C., V.M.C. e A.M.C. e di
G.I. S.p.A., e rigettava l’originaria domanda;
Per la cassazione della sentenza G.L., M.C., V.M.C.
e A.M.C. hanno proposto ricorso articolando due motivi ulteriormente illustrati
da memoria; che I. S.p.A. e G.I. S.p.A. hanno resistito con controrocorso;
Il P.G. non ha formulato richieste
Considerato che
Con il ricorso, si censura testualmente: 1)
«Violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 cod. civ. e 32 Cost. così
come interpretato in senso conforme alla previsione dell’art. 191 del T.F.U.E.
in tema di osservanza del principio di precauzione per gli ambienti di lavoro –
rilevante ex art. 360 n. 3 c.p.c. – nella parte in cui la Corte di merito ha
recepito le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio che
non ha effettuato la valutazione comparativa fra il diritto fondamentale
all’integrità psico-fisica ex art. 32 Cost. ed il precetto ex art. 2087 cod.
civ. riassuntivo degli obblighi di fare scritti e non scritti, presenti e
futuri, del datore di lavoro nell’intero sistema prevenzionistico del lavoro»;
2) «Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., perché la Corte
di merito ha recepito le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica
d’ufficio che devia palesemente dalle nozioni correnti della scienza medica»,
essendo «erroneo e deficitario il ragionamento dei consulenti tecnici d’ufficio
su singole parti dell’elaborato decisive per il giudizio, e, seguendo le comuni
nozioni mediche, è possibile far desumere dal diverso apprezzamento tecnico che
viene sottoposto alla Suprema Corte la sussistenza del nesso causale fra
patologie e condizioni lavorative a cui era stato esposto il lavoratore»;
I motivi – che possono essere trattati
congiuntamente per ragioni di connessione – sono inammissibili sotto diversi e
concorrenti profili; per quanto, più in particolare, attiene al primo mezzo di
impugnazione, deve ribadirsi che il giudizio di cassazione è vincolato dai
motivi del ricorso che assumono una funzione identificativa condizionata dalla
loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate
nel codice di rito. Pertanto, il mezzo di impugnazione articolato deve
possedere i caratteri della tassatività e della specificità, sicché è
inammissibile la critica generica delle sentenze impugnate (cfr., tra le molte,
Cass. nn. 23797/2019; 19959/2014); inoltre, i ricorrenti non hanno indicato
sotto quale profilo le disposizioni che si assumono violate sarebbero state
incise, né hanno specificato, per ciascuna delle ragioni esposte nella sentenza
sul punto oggetto della controversia, le contrarie ragioni, di fatto e di
diritto, idonee a giustificare le censure; e ciò, in violazione della
prescrizione di specificità di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, c.p.c., che
esige che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3,
del codice di rito, debba essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo
mediante la puntuale indicazione delle disposizioni asseritamente violate, ma
anche con specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale
modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata,
debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della
fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente
giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn.
187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009). Per la qual cosa, le
doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda
istanza si risolvono in considerazioni di fatto del tutto inammissibili e
sfornite di qualsiasi delibazione probatoria (cfr., ex plurimis, Cass. nn.
24374/2015; 80/2011);
Per quanto ancora attiene specificamente al primo
motivo, i ricorrenti lamentano genericamente una pretesa omessa «valutazione
comparativa fra il diritto fondamentale all’integrità psico-fisica ex art. 32
Cost. e il precetto ex art. 2087 cod. civ.», senza mettere in discussione
quanto affermato in sentenza in ordine alla insussistenza di un nesso causale
tra l’attività lavorativa e la patologia che ha causato il decesso del C.;
Per quanto, più in particolare riguarda le censure
sollevate con il secondo mezzo di impugnazione, come sottolineato dalle Sezioni
Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della
riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia
motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente
rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il
vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto
con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella «mancanza
assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione
apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e
nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa
qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione);
per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico
denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico,
principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o
dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le
parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe
determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poiché la sentenza
oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in
narrativa, in data 25.9.2017, nella fattispecie si applica, ratione temporis,
il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dall’art. 54,
comma 1, lettera b), del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni,
nella I. n. 134 del 2012, a norma del quale la sentenza può essere impugnata
con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame,
il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto
storico (Cass. n. 21152/2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato
oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di
esaminare; né, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle
Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza «così radicale da comportare» in linea
con «quanto previsto dall’art. 132, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per
mancanza di motivazione». E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la
riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza,
rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del
percorso motivazionale dei giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n.
25229/2015), che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con
argomentazioni logico-giuridiche poste a fondamento della decisione impugnata;
Infine, quanto alle doglianze sollevate in entrambi
i mezzi di impugnazione sul fatto che la Corte di Appello abbia recepito le
conclusioni della c.t.u., vanno ribaditi gli ormai consolidati arresti
giurisprudenziali della Suprema Corte nella materia, del tutto condivisi da
questo Collegio, che non ravvisa ragioni per discostarsene – ed a cui, ai sensi
dell’art. 118 Disp. att. c.p.c., fa espresso richiamo (cfr., ex plurimis, Cass.
nn. 18358/2017; 3881/2006; 3519/2001) -, alla stregua dei quali, ove il giudice
di merito «condivida i risultati della consulenza tecnica di ufficio, non è
tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, atteso
che la decisione di aderire alle risultanze» della stessa «implica valutazione
ed esame delle contrarie deduzioni delle parti, mentre l’accettazione del
parere del consulente, delineando il percorso logico della decisione, ne
costituisce motivazione adeguata, non suscettibile di censure in sede di
legittimità. In tal caso l’obbligo della motivazione è assolto con
l’indicazione della fonte dell’apprezzamento espresso, senza la necessità di
confutare dettagliatamente le contrarie argomentazioni della parte, che devono
considerarsi implicitamente disattese». Va altresì ribadito che «il vizio
denunciabile in sede di legittimità della sentenza che abbia prestato adesione
alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio è ravvisabile in caso di
palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va
indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le
predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta
diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero
dissenso diagnostico che si traduce in una inammissibile critica del
convincimento del giudice» (cfr., ex multis, Cass. nn. 18358/2017, cit.;
4124/2017; 27378/2014; 1652/2012); e, nella fattispecie, le censure si
risolvono in un mero dissenso diagnostico rispetto alle conclusioni del C.t.u.,
limitandosi la parte ricorrente ad indicare testi di letteratura scientifica
senza alcuna dimostrazione della loro decisività, nonché dello scostamento
della c.t.u. da consolidate nozioni della scienza medica; che, pertanto, in
considerazione di quanto innanzi osservato, il ricorso va dichiarato
inammissibile;
che le spese del presente giudizio possono essere
compensate tra tutte le parti in ragione della natura e dell’oggetto della
causa; che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del
ricorso sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma
1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, secondo quanto precisato in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; compensa tra le
partì le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13, comma
1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma
del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.