Per stabilire se il periodo di guardia rientra nell’orario di lavoro si valuta il tempo di reazione e la frequenza media degli interventi realizzati dal lavoratore.
Nota a Cass. (ord.) 23 maggio 2022, n. 16582
Fabrizio Girolami
Nell’ordinamento dell’Unione europea la Direttiva 2003/88/CE definisce l’“orario di lavoro” come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali” (art. 2, punto 1) e il “periodo di riposo” come “qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro”.
Secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione europea, il “tempo di guardia” o di “prontezza in regime di reperibilità” di un lavoratore deve essere qualificato o come “orario di lavoro” o come “periodo di riposo” ai fini dell’applicazione della Direttiva 2003/88, posto che quest’ultima non prevede alcuna categoria “intermedia”.
In particolare, la CGUE ha evidenziato che il “periodo di prontezza in regime reperibilità”, per essere qualificato nella sua interezza come “orario di lavoro”, non implica necessariamente l’obbligo del lavoratore di restare sul suo luogo di lavoro, essendo sufficiente che i vincoli imposti al dipendente siano di natura tale da pregiudicare in modo oggettivo e assai significativo la facoltà, per quest’ultimo, di gestire liberamente, nel corso dei periodi in questione, il tempo durante il quale le sue prestazioni non sono richieste e di dedicare questo tempo ai propri interessi personali e sociali.
Viceversa, qualora i vincoli imposti al lavoratore nel corso di un periodo di guardia determinato non raggiungano un siffatto grado di intensità e gli permettano di gestire il proprio tempo e di dedicarsi ai propri interessi senza limitazioni significative, soltanto il tempo connesso alla prestazione di lavoro che viene, se del caso, effettivamente realizzata nel corso di tale periodo costituisce “orario di lavoro”.
Anche la Cassazione, Sez. lav., con l’ordinanza n. 16582 del 23.05.2022, ha affermato che il periodo di guardia va necessariamente considerato come “orario di lavoro” ai fini della Direttiva 2003/88 “qualora il dipendente sia soggetto, durante i suoi servizi in regime di reperibilità, a vincoli di un’intensità tale da incidere, in modo oggettivo e molto significativo, sulla sua facoltà di gestire liberamente il tempo durante il quale i suoi servizi professionali non sono richiesti e di dedicare detto tempo ai propri interessi”.
Per operare tale valutazione, secondo la Cassazione, è necessario prendere in considerazione due elementi: a) il termine di cui dispone il lavoratore, nel corso del periodo di guardia, per riprendere le proprie attività professionali a partire dal momento in cui il datore di lavoro lo richieda; b) la frequenza media degli interventi che il lavoratore è effettivamente chiamato a garantire durante detto periodo.
In merito al termine concesso al lavoratore per la ripresa del servizio, la CGUE ha precisato che laddove tale termine, durante un periodo di guardia, sia limitato a qualche minuto, esso deve, in linea di principio, essere considerato, nella sua integralità, come “orario di lavoro”. Tuttavia, occorre, in ogni caso, stimare l’impatto di tale termine di reazione tenendo conto, eventualmente, da un canto, degli altri vincoli imposti al lavoratore, dall’altro, delle agevolazioni accordate durante la reperibilità.
Nel caso di specie esaminato dalla Corte, quattro lavoratori pubblici (dipendenti del Comune di Milano), assegnati alla direzione “Protezione civile”, erano tenuti – sulla base della disciplina prevista dal contratto collettivo del comparto “Regione e autonomie locali” – in caso di chiamata durante il periodo di guardia a raggiungere il posto di lavoro assegnato nell’arco di 30 minuti, senza che fosse previsto l’utilizzo di un veicolo di servizio che consentisse loro di fare uso di diritti in deroga al Codice della Strada e di diritti di precedenza. Tale disciplina era riferibile a tutte le aree di pronto intervento e, dunque, anche a quelle soggette a frequenti richiami in servizio e a interventi di durata media significativa.
Sulla base di tali considerazioni, la Cassazione ha riconosciuto il diritto dei lavoratori al computo del periodo di guardia nell’orario di lavoro, nonché il diritto alla concessione di un riposo compensativo quando il servizio di reperibilità cada nel giorno di riposo settimanale.