Nel pubblico impiego il buono pasto non ha valenza retributiva.
Nota a Cass. ord., 25 maggio 2022, n. 16929
Giuseppe Catanzaro
Nel pubblico impiego privatizzato, il diritto ai buoni pasto ha natura assistenziale e non retributiva per cui “non ha rilievo l’assimilazione delle ore di permesso a quelle di lavoro ai fini della “retribuzione”, di cui al D.LGS. n. 151 del 2001, art. 39, comma 2”.
Lo ribadisce la Corte di Cassazione (ord., 25 maggio 2022, n. 16929), la quale precisa che “l’attribuzione del buono pasto è condizionata all’effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, che il lavoratore osservi un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore (oppure altro orario superiore minimo indicato dalla contrattazione collettiva); ne consegue che i buoni pasto non possono essere attribuiti ai lavoratori che, beneficiando delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità di cui al D.LGS. n. 151 del 2001, osservano, in concreto, un orario giornaliero effettivo inferiore alle suddette sei ore, né può valere l’equiparazione dei periodi di riposo alle ore lavorative di cui allo stesso D.LGS., art. 39, comma 1, che vale “agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro”, in quanto l’attribuzione dei buoni pasto non riguarda né la durata né la retribuzione del lavoro ma è finalizzata a compensare l’estensione dell’orario lavorativo disposta dalla P.A., con una agevolazione di carattere assistenziale diretta a consentire il recupero delle energie psico-fisiche degli interessati”.
La fattispecie riguarda il ricorso di alcune dipendenti dell’agenzia delle dogane e dei monopoli al fine di ottenere il pagamento dei buoni pasto, dell’indennità di agenzia e di quella di produttività con riferimento ai periodi di assenza dal servizio per allattamento, congedo di maternità, interdizione anticipata dal lavoro e congedo parentale. La Corte afferma il diritto delle lavoratrici, nelle suddette ipotesi, all’intero trattamento retributivo, ivi comprese le indennità richieste. Per quanto concerne, invece, i buoni pasto, i giudici negano il diritto al loro riconoscimento trattandosi di istituti contrattuali di natura non retributiva ma assistenziale, la cui erogazione ha come presupposto l’osservanza di un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, sicché essi non spettano durante le assenze legate alla maternità e paternità.