Nel lavoro nautico la conversione assume la forma della “garanzia della continuità del rapporto

Nota a App. Messina 18 marzo 2022, n. 214

Fabrizio Girolami

Nel settore del lavoro nautico, l’abusiva reiterazione di contratti di arruolamento a termine, con il fine di eludere il generale principio di infrazionabilità del rapporto di lavoro (c.d. “frode alla legge” sanzionabile ai sensi dell’art. 1344 del codice civile), determina la conversione del contratto a tempo indeterminato, con riconoscimento, a favore del lavoratore marittimo, della garanzia della “continuità del rapporto di lavoro” (C.R.L.), sicché il rapporto di lavoro si considera sussistente anche nei periodi in cui il lavoratore non è imbarcato, con conseguente maturazione del diritto alle ferie e ai riposi.

Lo ha stabilito la Corte di Appello di Messina, sez. lav., con la sentenza n. 214 del 18 marzo 2022, in relazione alla vicenda di un lavoratore marittimo iscritto nei registri della gente di mare della Capitaneria di porto di Messina che – a fronte dello svolgimento della propria attività a favore di una società di navigazione di notevoli dimensioni, in virtù di plurime e successive “convenzioni di arruolamento a viaggio” – aveva adito il giudice, chiedendo l’accertamento della nullità della clausola “a viaggio” apposta ai contratti a termine e la condanna della società datrice di lavoro al pagamento dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 32, co. 5, L. n. 183/2010 (ora confluita nell’art. 28, co. 2, D.Lgs. n. 81/2015).

In primo grado, il Tribunale di Messina aveva accolto il ricorso del lavoratore, ritenendo che – stante il numero dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra le parti, l’arco temporale in cui si sono succeduti e ogni altra circostanza fattuale emergente dagli atti di causa – la società avesse operato un utilizzo abusivo del contratto di arruolamento a tempo determinato, realizzando un “intento fraudolento” rispetto alla finalità propria del contratto a termine. In altri termini, l’operazione configura un uso deviato e fraudolento del contratto a termine (contratto in “frode alla legge”, sanzionabile ai sensi dell’art. 1344 del codice civile, non esistendo nel codice della navigazione norme che diversamente regolino il fenomeno della frode alla legge).

La società ha proposto appello alla Corte d’Appello di Messina, la quale, con la sentenza in commento, ha rigettato l’appello, confermando le statuizioni della sentenza di primo grado.

La Corte messinese ha operato una preliminare ricostruzione del quadro normativo applicabile al “contratto di arruolamento a termine”, che è disciplinato da una “normativa speciale” rispetto a quella generale del contratto a termine (D.Lgs. n. 368/2001, ora confluito negli artt. 19 ss., D.Lgs. n. 81/2015), in virtù di quanto stabilito dall’art. 1 del codice della navigazione.

Le principali disposizioni in materia sono:

  • l’art. 325 del codice della navigazione (c.n.), ai sensi del quale il contratto di arruolamento può essere stipulato “per un dato viaggio o per più viaggi” (lett. a), a “tempo determinato” (lett. b), o “a tempo indeterminato” (lett. c). Inoltre, la medesima disposizione (co. 3) definisce “a viaggio” l’arruolamento per un “complesso di traversate fra porto di caricazione e porto di ultima destinazione, oltre all’eventuale traversata in zavorra per raggiungere il porto di caricazione”;
  • l’art. 326 c.n., secondo cui: a) il contratto a tempo determinato e quello per più viaggi “non possono essere stipulati per una durata superiore ad un anno” e “se sono stipulati per una durata superiore, si considerano a tempo indeterminato” (co. 1); b) “se, in forza di più contratti a viaggio, o di più contratti a tempo determinato, ovvero di più contratti dell’uno e dell’altro tipo, l’arruolato presta ininterrottamente servizio alle dipendenze dello stesso armatore per un tempo superiore ad un anno, il rapporto di arruolamento è regolato dalle norme concernenti il contratto a tempo indeterminato” (co. 2); c) la prestazione si considera ininterrotta quando tra “la cessazione di un contratto e la stipulazione del contratto successivo intercorre un periodo non superiore ai sessanta giorni” (co. 3).
  • l’art. 332 c.n., il quale stabilisce che il contratto di arruolamento deve, tra l’altro, enunciare: a) il viaggio o i viaggi da compiere e il giorno in cui l’arruolato deve assumere servizio, se l’arruolamento è a viaggio; b) la “decorrenza” e la “durata del contratto”, se l’arruolamento è a tempo determinato. Se dal contratto ovvero dall’annotazione sul ruolo di equipaggio o sulla licenza l’arruolamento non risulta stipulato a viaggio o a tempo determinato esso “è regolato dalle norme concernenti il contratto a tempo indeterminato”;
  • l’art. 374 c.n., il quale prevede che le disposizioni contenute nell’art. 326 c.n. possono essere derogate dai c.c.n.l. “ma non possono essere derogate dal contratto individuale se non a favore dell’arruolato”. Tuttavia, neppure mediante c.c.n.l. è possibile aumentare il termine previsto dal co. 1 dell’art. 326 c.n. (durata massima di 1 anno del contratto a termine) e dal co. 2 della stessa norma (prestazione ininterrotta superiore all’anno, per lo stesso armatore, in virtù di più contratti a termine), né si può diminuire il termine previsto dal co. 3, della stessa norma (massimo 60 giorni fra cessazione di un contratto e stipulazione del contratto successivo).

In punto di diritto, la Corte di Appello ha affermato che:

  • nel caso de quo, il contratto di arruolamento contenente la mera clausola “a viaggio” – senza indicare la “data di decorrenza” e soprattutto la “durata” di esso (i.e. il giorno di sbarco o, comunque, la data dell’ultimo viaggio compreso nel contratto) – è da considerare “di durata incerta”, con conseguente “vanificazione della funzione di garanzia della stabilità del rapporto per un determinato periodo di tempo”;
  • il ricorso a una simile clausola “non pone il lavoratore nella condizione di conoscere l’entità della sua prestazione lavorativa e dell’impegno richiesto, non consentendogli la possibilità di accedere ad altri imbarchi, essendo affidata al mero arbitrio del datore di lavoro la durata del rapporto, risolvibile a suo piacimento”;
  • da ciò consegue la nullità parziale del contratto (ai sensi dell’art. 1419 c.c.) con conversione del contratto di arruolamento a termine in contratto a tempo indeterminato, in virtù della sopra richiamata disposizione speciale del codice della navigazione, la quale costituisce “misura adeguata” ad assicurare l’effettività della clausola 5 dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato del 18.03.1999, allegato alla Direttiva 1999/70/CE (cfr., in tal senso, CGUE, sentenza 3.07.2014, causa C-362/13);
  • dovendosi riconoscere la natura a tempo indeterminato del rapporto tra le parti, correttamente la sentenza di primo grado ha riconosciuto al lavoratore l’assunzione a tempo indeterminato con le caratteristiche che essa assume nell’ambito del lavoro marittimo, ovverosia con la garanzia della continuità del rapporto di lavoro (C.R.L.). In detto regime di continuità, si realizza un rapporto lavorativo “di natura stabile” che dura non soltanto per i periodi di imbarco, ma anche durante i periodi di tempo che il lavoratore marittimo trascorre a terra, con conseguente maturazione del diritto alle ferie e ai riposi;
  • infine, la sanzione della conversione del rapporto non è alternativa all’indennità risarcitoria (di cui all’art. 32, co. 5, L. n. 183/2010), aggiungendosi quest’ultima alla conversione, e la stessa è stata correttamente quantificata dal giudice di primo grado sulla base dei criteri di cui all’art. 8, L. n. 604/1966 (durata del rapporto lavorativo, condizioni delle parti e dimensioni della società).

Per una fattispecie similare, v. Cass. 16 maggio 2018, n. 11997, in q. sito, annotata da F. DURVAL.

Reiterato e abusivo ricorso al “contratto di arruolamento a termine” e frode alla legge
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