Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 luglio 2022, n. 22168

Rapporto di lavoro, Interposizione illecita vietata, Domanda
di ripristino del rapporto con la società utilizzatrice, Decadenza ex art. 32, co. 4, lett. d), L. n.
183/2010, Inapplicabilità

Fatti di causa

1. La Corte d’Appello di Catanzaro, con la sentenza
impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato
inammissibile la domanda proposta da R.T. nei confronti di S. Spa in
liquidazione volta ad accertare l’instaurazione di un rapporto di lavoro con
detta società che ne aveva utilizzato le prestazioni dal 2005 al 2014 in
ragione di una pluralità di contratti di lavoro intercorsi formalmente con
svariate ditte appaltatrici di lavori di manutenzione dell’acquedotto.

2. La Corte ha ritenuto sussistente la decadenza ex art. 32, comma 4, lett. d), l. n.
183 del 2010, da intendere come “una norma di chiusura che ricomprende
tutte le situazioni verificabili in concreto nelle quali venga allegata la
realizzazione di una ipotesi di interposizione illecita vietata”.

3. Per la cassazione di tale decisione ha fatto
ricorso il soccombente, affidando l’impugnazione a 2 motivi, cui ha resistito
la società con controricorso.

4. In prossimità della pubblica udienza il
Procuratore Generale ha concluso, nella propria requisitoria ex art. 23, comma 8-bis d.l. n. 137/20,
inserito dalla l. di conversione n. 176/20,
per il rigetto del ricorso. Parte ricorrente ha comunicato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi del
n. 3 dell’art. 360 c.p.c., la violazione o
falsa applicazione dell’art. 32,
co. 4, lett. d), della l. n. 183/2010, in relazione all’art. 6 l. n. 604/66,
lamentando che la decadenza sarebbe stata applicata ad una ipotesi non prevista
dalla disciplina richiamata. Col secondo motivo si denuncia la violazione e la
falsa applicazione delle stesse disposizioni legislative per avere la sentenza
impugnata ritenuto decaduto il ricorrente non solo con riferimento alla domanda
di ripristino del rapporto di lavoro con la società utilizzatrice e di
risarcimento del danno, ma anche la domanda di condanna al pagamento delle
differenze retributive.

2. Le censure, congiuntamente esaminabili per
connessione, sono fondate. Recentemente questa Corte ha affermato il seguente
principio: “Il doppio termine di decadenza dall’impugnazione
(stragiudiziale e giudiziale) previsto dal combinato disposto degli artt. 6, commi 1 e 2, legge n.
604/1966 e 32, comma 4, lett.
d), legge n. 183/2010, non si applica all’azione del lavoratore – ancora
formalmente inquadrato come dipendente di un appaltatore – intesa ad ottenere,
in base all’asserita illiceità dell’appalto in quanto di mera manodopera,
l’accertamento del proprio rapporto di lavoro subordinato in capo al
committente, in assenza di una comunicazione scritta equipollente ad un atto di
recesso” (conf. Cass. n. 30490 del 2021). Successivamente (Cass. n. 40652 del 2021) il principio di diritto
è stato confermato ai sensi dell’art. 363, co. 3,
c.p.c.: “la disposizione di cui all’art. 32 co. 4 lett. d) della legge
n. 183 del 2010, relativa al regime di decadenza ivi previsto, non si
applica alle ipotesi -in tema di richiesta di costituzione o di accertamento di
un rapporto di lavoro, ormai risolto, in capo a un soggetto diverso dal
titolare del contratto- nelle quali manchi un provvedimento in forma scritta o
un atto equipollente che neghi la titolarità del rapporto stesso”.

Tali arresti hanno già avuto seguito nella
giurisprudenza della Corte (Cass. n. 13194 del 2022; Cass. n. 20294 del 2022) e
il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsene. Infatti, una volta che
l’interpretazione della regula iuris è stata enunciata con l’intervento
nomofilattico della Corte regolatrice essa “ha anche vocazione di stabilità,
innegabilmente accentuata (in una corretta prospettiva di supporto al valore
delle certezze del diritto) dalle novelle del 2006 (art.
374 c.p.c.) e 2009 (art. 360 bis c.p.c., n.
1)” (Cass. SS.UU. n. 15144 del 2011), essendo da preferire – e conforme ad un
economico funzionamento del sistema giudiziario – l’interpretazione sulla cui
base si è, nel tempo, formata una pratica di applicazione stabile (cfr. Cass.
SS.UU. n. 10864 del 2011); invero, la ricorrente affermazione nel senso della
non vincolatività del precedente deve essere armonizzata con l’esigenza di
garantire l’uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale attraverso il
ruolo svolto dalla Corte di Cassazione (Cass. SS.UU. n. 23675 del 2014), atteso
che, in un sistema che valorizza l’affidabilità e la prevedibilità delle
decisioni, il quale influisce positivamente anche sulla riduzione del
contenzioso, vi è l’esigenza, avvertita anche dalla dottrina, “dell’osservanza
dei precedenti e nell’ammettere mutamenti giurisprudenziali di orientamenti
consolidati solo se giustificati da gravi ragioni” (in termini: Cass. SS.UU. n.
11747 del 2019).

3. pertanto il ricorso deve essere accolto, con
cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice indicato in dispositivo
che si uniformerà a quanto statuito, regolando anche le spese del giudizio di
legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia alla Corte di Appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per
le spese.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 luglio 2022, n. 22168
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: