Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 luglio 2022, n. 22210
Lavoro, Natura subordinata del rapporto, Accertamento svolto
dagli ispettori dell’INPS- Sussistenza
Rilevato che
la Corte d’appello di Ancona, a conferma della
pronuncia del Tribunale di Macerata, ha dichiarato la natura subordinata del
rapporto di lavoro intercorso tra M.F. e A.G. nel periodo 02.04.2008 –
30.11.2008 condannando il primo a versare i contributi dovuti; la Corte
territoriale ha rilevato nel merito che in base all’accertamento svolto dagli
ispettori dell’ INPS era emersa la sussistenza della natura subordinata della
prestazione in base agli indici ricavabili dallo svolgimento della prestazione,
quali collaborazione, continuità ed inserimento del lavoratore nell’organizzazione
aziendale;
segnatamente, quanto all’esercizio del potere
disciplinare e direttivo da parte di M.F., la Corte ne ha ritenuto la
sussistenza, pur nel concreto atteggiarsi in relazione a prestazioni generiche
e ripetitive (nella specie lavori semplici di intonacatura), a ulteriore
conferma delle conclusioni raggiunte in ordine alla natura subordinata del
rapporto; la cassazione della sentenza è domandata da M.F. sulla base di un
unico motivo, illustrato da memoria;
il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali,
unitamente al Comitato Regionale per i Rapporti di Lavoro istituito presso la
Direzione Regionale del Lavoro delle Marche, ha depositato tempestivo
controricorso; l’INPS ha depositato procura speciale in calce al ricorso;
A.G. è rimasto intimato.
Considerato che
con l’unico motivo di ricorso, formulato ai sensi
dell’art. 360, co. 1, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., il ricorrente deduce
“Violazione ed errata applicazione dell’art. 115 c.p.c. in combinato
disposto con gli artt. 2034 e 2222 c.c. – omesso esame di fatti decisivi per il
giudizio”;
denuncia l’erroneità dell’accertamento in ordine
alla natura del rapporto, sostenendo che la Corte d’Appello, avrebbe omesso di
porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti, per avere,
fra l’altro, rigettato i capitoli di prova proposti dall’appellante, finendo
per trarre le proprie conclusioni da un accertamento non corrispondente alle
effettive modalità di esecuzione della prestazione, svoltasi interamente in
regime di subappalto; particolare rilievo conferisce all’ iscrizione del
lavoratore all’albo degli artigiani dal marzo 2009, essendo stata riproposta
dopo il rigetto della prima domanda dell’ottobre del 2008;
il motivo è inammissibile; sotto il profilo della
violazione di legge va precisato che, secondo la costante giurisprudenza di
questa Corte, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. occorre
denunziare che il Giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la
regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione
prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dai
poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le
prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad
alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116
cod. proc. civ. (Cass. n.26769 del 2018);
il principio di diritto sopra richiamato va letto in
correlazione con l’altro, secondo cui: «In tema di valutazione delle prove, il
principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116
cod. proc. civ., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito,
insindacabile ìn sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle
predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di
violazione o falsa applicazione di norme sostanziali e proc:essuali,
sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 ovvero n. 4
cod, proc. civ., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso
il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti
consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., come riformulato
dall’art. 54 del d.l. n.83 de 2012, conv. con modif. dalla I. n.134 del 2012»
(Cass. n. 23940 del 2017);
nel caso in esame, risulta evidente dalla stessa
prospettazione della censura che il ricorrente non intende contestare una
violazione di norme sostanziali o processuali, bensì lamenta, secondo la
deduzione tipica del vizio di motivazione, la mancata valutazione
dell’accoglimento, nell’anno 2009, della domanda di iscrizione del lavoratore
all’albo delle imprese artigiane della Provincia di Macerata;
peraltro la doglianza è prospettata in modo
generico, mancando l’allegazione della domanda di iscrizione all’albo degli
artigiani da parte del G., così come la produzione ovvero la trascrizione, nel
corpo del ricorso, dell’atto introduttivo d’appello con cui l’odierno
ricorrente avrebbe dedotto che il lavoratore faceva fronte all’incarico assunto
con l’aiuto di personale posto alle proprie dipendenze;
in conformità a quanto ripetutamente affermato da
questa Corte, il ricorso per cassazione, in ragione del principio di
specificazione e di allegazione di cui agli artt. 366 n. 4 e 369 n. 6 cod.
proc. civ., deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le
ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a
permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità
di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad
elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. Cass. n.11603
del 2018; Cass. n. 27209 del 2017; Cass. n. 12362 del 2006);
quanto alla censura per vizio di motivazione si
rileva che l’omesso esame di elementi istruttori non è idoneo ad integrare, di
per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico,
rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice,
ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie
(Così Sez. Un. n. 8053 del 20:14);
la formulazione della doglianza da parte del
ricorrente finisce per denunciare, pertanto, non già l’omesso esame di un fatto
storico decisivo, bensì la mancata valorizzazione di risultanze istruttorie,
che si assumono erroneamente valutate dalla Corte territoriale; in ogni caso,
giova ricordare che secondo il costante orientamento di legittimità
nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma
5, cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità
del motivo di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. – nella sua corrente e
più restrittiva formulazione -, deve indicare le ragioni di fatto poste a base,
rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto
dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (ex plurimis cfr.
Cass. n.26774 del 2016; Cass. n. 19001 del 2016; Cass. n. 5528 del 2014);
in definitiva, il ricorso va dichiarato
inammissibile;
le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la
soccombenza nei confronti della parte costituita; non si provvede sulle spese
in favore dell’INPS, il quale non ha svolto attività difensiva in questa sede,
né in favore della parte rimasta intimata;
in considerazione dell’inammissibilità del ricorso,
sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il
ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore del
controricorrente, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 a
titolo di compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, nel testo introdotto dall’arti, comma 17 della I. n.228 del 2012,
dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da
parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.
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