Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 luglio 2022, n. 21879

Lavoro, Collocamento a riposo, Illegittimità, Risarcimento
del danno, Decurtazione degli importi percepiti dal lavoratore per i ratei di
pensione, Indebito arricchimento del datore di lavoro

 

Rilevato che

 

a seguito di accertamento dell’illegittimità del
collocamento a riposo di L.M., la Corte di appello di Campobasso, con sentenza
n. 251/2005, condannava le P.I. a corrispondere al predetto, a titolo di
risarcimento del danno subito, un’indennità commisurata alla retribuzione
dovuta dal giorno dell’avvenuto collocamento a riposo e sino a quello del
raggiungimento del 65^ anno di età, oltre al versamento dei contributi
previdenziall ed assistenziali, previa decurtazione degli importi percepiti
nello stesso periodo per i ratei di pensione; a seguito di ulteriore ricorso,
proposto innanzi ai Tribunale di Campobasso da L.M. nei confronti dell’INPS,
succeduto nelle more ad IPOST- Istituto Postetelegrafonici, il giudice adito,
con sentenza dell’11.6.2013, dichiarava che il M. non era tenuto a
corrispondere alcuna somma all’INPS-IPOST ed, in accoglimento della relativa
domanda, condannava l’INPS a restituire quanto trattenuto a titolo di ratei
pensionistici per il periodo compreso fra il collocamento a riposo e sino al
compimento del 65^ anno di età; la Corte d’appello di Campobasso, con sentenza
n. 352/2015, ha rigettato l’impugnazione proposta dall’INPS nei confronti di
L.M. avverso la sentenza di primo grado, in ragione della piena condivisione
della motivazione adottata dal primo giudice che aveva fatto piana applicazione
dei principi espressi da Cass. n. 26988 del 22
dicembre 2009, resa in fattispecie del tutto analoga alla presente; nella
sostanza, l’appello doveva essere respinto in quanto l’ente previdenziale era
estraneo al rapporto lavorativo e le pretese restitutorie avrebbero dovuto
essere indirizzate verso la datrice di lavoro che si era arricchita
indebitamente, posto che la stessa non aveva ripristinato il rapporto di lavoro
e non aveva corrisposto alcuna retribuzione pur ottenendo che all’indennità
dovuta al dipendente andasse detratto quanto percepito a titolo di ratei
pensionistici di anzianità; avverso tale sentenza, ricorre per cassazione l’INPS
sulla base di un motivo, illustrato da successiva memoria; resiste con
controricorso L.M.;

Considerato che

con unico motivo di ricorso, l’INPS denuncia la
violazione e falsa applicazione degli art.2033,2041 e 2042c.c., in relazione
all’art. 360, primo comma n. 3, c.p.c., ciò in ragione del fatto che la
fattispecie in esame è relativa all’indebito pensionistico determinatosi a
seguito della sentenza che aveva disposto la reintegrazione dichiarando
illegittimo il licenziamento; la sentenza impugnata non avrebbe potuto negare
all’INPS, successore di IPOST, il diritto ad ottenere dal lavoratore
l’ammontare delle somme percepite dal medesimo a titolo di pensione, anche nel
caso di specie in cui, dal danno patito dal lavoratore licenziato, era stato
detratto l’importo delle medesime somme; chiarisce il ricorrente che IPOST non
aveva preso parte al giudizio relativo all’impugnativa di licenziamento e che
il lavoratore aveva prestato acquiescenza alla sentenza del Tribunale che aveva
sottratto nei predetti termini l’aliunde perceptum, tale sentenza era stata
confermata in appello dalla sentenza n. 251/2005, prodotta già nei gradi di
merito; l’INPS, dunque, avrebbe pieno titolo, essendo stati i ratei di pensione
erogati sine titulo, a pretenderne la restituzione nei confronti del percettore
e non costretto, come invece ritenuto dalla sentenza impugnata, ad agire per
indebito arricchimento nei confronti del datore di lavoro del pensionato per
essere da questi indennizzato; ciò in applicazione dei pacifici principi espressi
dalla giurisprudenza di  legittimità
(Cass. n. 13871 del 2007 e varie altre) e considerato il divieto (di cui
all’art. 2042 c.c.) di avvalersi dell’azione di cui all’art. 2041 c.c.
nell’ipotesi in cui il danneggiato può esercitare altra azione per farsi
indennizzare dal pregiudizio subito; il motivo va rigettato in conformità con
il precedente specifico di questa Corte di cassazione n. 26988 del 2009; in
tale occasione, come riportato dalla sentenza impugnata, si è affermato che in
caso di annullamento del licenziamento di un dipendente postale, con
conseguente condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno in misura
pari alla differenza fra la retribuzione dovuta e l’importo dei ratei percepiti
dopo il licenziamento a titolo di pensione, i ratei di pensione corrisposti
devono considerarsi sine titulo, per effetto del sopravvenuto venir meno del
presupposto (collocamento a riposo) della loro erogazione; ne discende che il
datore di lavoro, che ha ottenuto indebito arricchimento in ragione della
commisurazione del risarcimento del danno al dipendente al trattamento
economico differenziale, è tenuto a restituire all’ente previdenziale le somme
corrisposte a titolo di ratei pensionistici, senza che assuma rilievo
l’estraneità del primo al rapporto previdenziale, discendendo l’effetto
restitutorio dal licenziamento illegittimo; non emergono ragioni per mutare
l’orientamento appena ricordato e la fattispecie concreta è caratterizzata
dalle medesime circostanze processuali di cui al citato precedente; tali
peculiarità, peraltro, sono state tenute in considerazione nella formulazione
del principio di cui si parla che ha ritenuto, in concreto, effetto dello
specifico giudicato formatosi a seguito della sottrazione dell’aliunde
perceputm, costituito dalla erogazione del trattamento pensionistico, in  favore della datrice di lavoro, il
presupposto fondante di un sostanziale arricchimento ingiustificato da parte di
quest’ultima, idoneo a precludere l’azione di ripetizione nei confronti
dell’originario accipiens; il ricorso va, dunque, rigettato; le spese seguono
la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna
il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida
in Euro 5000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese
forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma
dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

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