Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 luglio 2022, n. 22849
Lavoro, Dipendente postale, Collocamento a riposo,
Illegittimità, Risarcimento del danno, Decurtazione degli importi percepiti
dal lavoratore per i ratei di pensione, Indebito arricchimento del datore di
lavoro
Rilevato che
a seguito di declaratoria dell’illeggitimità del
collocamento a riposo di N.B., la Corte di appello di Campobasso, con sentenza
n. 247/2005, condannava le P.I. a corrispondere al predetto, a titolo di
risarcimento del danno subito, un’indennità commisurata alla retribuzione
dovuta dal giorno dell’avvenuto collocamento a riposo e sino a quello del
raggiungimento del 65^ anno di età, oltre al versamento dei contributi
previdenziali ed assistenziali, previa decurtazione degli importi percepiti
nello stesso periodo per i ratei di pensione; a seguito di ulteriore ricorso
proposto innanzi ai Tribunale di Campobasso da N.B. nei confronti dell’INPS
succeduto nelle more ad IPOST I.P., il giudice adito, con sentenza dell’11.06.2013,
dichiarava che il B. non era tenuto a corrispondere alcuna somma all’INPS-IPOST
e condannava l’INPS a restituire quanto trattenuto a titolo di ratei
pensionistici per il periodo compreso fra il collocamento a riposo e sino al
compimento del 65^ anno di età; la Corte d’appello di Campobasso, con sentenza
n. 349/2015, ha rigettato l’impugnazione proposta dall’INPS nei confronti di
N.B. avverso la sentenza di primo grado in ragione della piena condivisione
della motivazione adottata dai primo giudice che aveva fatto piana applicazione
dei principi espressi da Cass. n. 26988 del 22
dicembre 2009, resa in fattíspecie del tutto analoga alla presente; nella
sostanza, l’appello doveva essere respinto in quanto l’ente previdenziale era
estraneo al rapporto lavorativo e le pretese restitutorie avrebbero dovuto
essere indirizzate verso la datrice di lavoro che si era arricchita
indebitamente, posto che la stessa non aveva ripristinato il rapporto di lavoro
e non aveva corrisposto alcuna retribuzione pur ottenendo che all’indennità
dovuta al dipendente andasse detratto quanto percepito a titolo di ratei
pensionistici di anzianità; avverso tale sentenza, ricorre per cassazione
l’INPS sulla base di un motivo, illustrato da successiva memoria; resistono con
controricorso C.L., G.B. e S.B. nella qualità di coniuge e figli
dell’originario ricorrente deceduto nelle more del giudizio.
Considerato che
con unico motivo di ricorso, l’INPS denuncia la
violazione e falsa applicazione degli artt. 2033,
2041 e 2042 c.c.,
in relazione all’art. 360, primo comma n. 3, c.p.c.,
ciò in ragione del fatto che la fattispecie in esame è relativa all’indebito
pensionistico determinatosi a seguito della sentenza che aveva disposto la
reintegrazione dichiarando illegittimo il licenziamento; la sentenza impugnata
non avrebbe potuto negare all’INPS, successore di IPOST, il diritto ad ottenere
dal lavoratore l’ammontare delle somme percepite dal medesimo a titolo di
pensione, anche nel caso di specie in cui, dal danno patito dal lavoratore
licenziato, era stato detratto l’importo delle medesime somme; chiarisce il
ricorrente che IPOST non aveva preso parte al giudizio relativo all’impugnativa
di licenziamento e che il lavoratore aveva prestato acquiescenza alla sentenza
del Tribunale che aveva sottratto nei predetti termini l’ aliunde perceptum,
tale sentenza era stata confermata in appello dalla sentenza n. 247/2005,
prodotta già nei gradi di merito; l’INPS, dunque, avrebbe pieno titolo, essendo
stati i ratei di pensione erogati sine titulo, a pretenderne la restituzione
nei confronti del percettore e non costretto, come invece ritenuto dalla
sentenza impugnata, ad agire per indebito arricchimento nei confronti del
datore di lavoro del pensionato per essere da questi indennizzato;
ciò in applicazione dei pacifici principi espressi
dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n.
13871 del 2007 e varie altre) e considerato il divieto (di cui all’art. 2042 c.c.) di avvalersi dell’azione di cui
all’art. 2041 c.c. nell’ipotesi in cui il danneggiato
può esercitare altra azione per farsi indennizzare dal pregiudizio subito;
in via preliminare, va ritenuta l’inammissibilità
del controricorso proposto dagli eredi di N.B., posto che i medesimi non hanno
allegato alcuna attestazione della loro qualità e che in alcuna parte dell’atto
viene indicata la data del decesso dell’intimato, né di tale evento viene dato
atto nella sentenza impugnata; nel giudizio di cassazione, in considerazione
della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità,
non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza
che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del
giudizio, non assume alcun rilievo, né consente agli eredi di tale parte
l’ingresso nel processo (Cass. n. 1757 del
29/01/2016; Cass. n. 8377 del 09/07/1992); il motivo va rigettato in
conformità con il precedente specifico di questa Corte
di cassazione n. 26988 del 2009; in tale occasione, come riportato dalla
sentenza impugnata, si è affermato che in caso di annullamento del
licenziamento di un dipendente postale, con conseguente condanna del datore di
lavoro al risarcimento del danno in misura pari alla differenza fra la
retribuzione dovuta e l’importo dei ratei percepiti dopo il licenziamento a
titolo di pensione, i ratei di pensione corrisposti devono considerarsi sine
titulo, per effetto del sopravvenuto venir meno del presupposto (collocamento a
riposo) della loro erogazione;
ne discende che il datore di lavoro, che ha ottenuto
indebito arricchimento in ragione della commisurazione del risarcimento del
danno al dipendente al trattamento economico differenziale, è tenuto a
restituire all’ente previdenziale le somme corrisposte a titolo di ratei
pensionistici, senza che assuma rilievo l’estraneità del primo al rapporto
previdenziale, discendendo l’effetto restitutorio dal licenziamento
illegittimo;
non emergono ragioni per mutare l’orientamento
appena ricordato e la fattispecie concreta è caratterizzata dalle medesime
circostanze processuali di cui al citato precedente;
tali peculiarità, peraltro, sono state tenute in
considerazione nella formulazione del principio di cui si parla che ha
ritenuto, in concreto, effetto dello specifico giudicato formatosi a seguito
della sottrazione dell’aliunde perceputm, costituito dalla erogazione del
trattamento pensionistico, in favore della datrice di lavoro il presupposto
fondante di un sostanziale arricchimento ingiustificato da parte di
quest’ultima, idoneo a precludere l’azione di ripetizione nei confronti
dell’originario accipiens;
il ricorso va, dunque, rigettato;
nulla per le spese attesa l’inammissibilità del
controricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater, inserito dalla L.
n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma dello stesso art.
13, comma 1 bis.