Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 luglio 2022, n. 23744

Rapporto di lavoro,Socio lavoratore, Diffida accertativa per
crediti patrimoniali, Natura amministrativa dell’atto, Contestazione per
motivi inerenti al merito della pretesa, Legittimità

Rilevato che

 

1.11 Tribunale di Torino accolse l’opposizione
proposta da Grafiche M. s.r.l. avverso l’esecuzione intrapresa nei suoi
confronti da C. M. il quale a seguito di diffida accertativa per euro 12.819,45
aveva intimato inutilmente il pagamento delle somme alla società e quindi aveva
proceduto al pignoramento. Il giudice dell’opposizione ritenne manifestamente
infondata la richiesta di rimessione alla Corte Costituzionale dell’art. 12
comma 3 del d.lgs. n. 124 del 2004 evidenziando che della norma era possibile
una interpretazione costituzionalmente orientata che consentiva al datore di
lavoro, destinatario di un atto di precetto fondato su una diffida accertativa,
di proporre opposizione per motivi inerenti al merito della pretesa.

Accertò che la diffida accertativa era atto di
natura amministrativa formatosi stragiudizialmente e perciò insuscettibile di
passare in giudicato. Accolse invece l’eccezione con la quale la società
deduceva che il M., in data 30.11.2011, aveva sottoscritto un accordo con la
datrice di lavoro e, consapevolmente rinunciando ad ulteriori pretese, aveva ricevuto
l’importo di € 9.000,00 a totale pagamento di quanto maturato nel corso del
rapporto di lavoro. Sottolineò che dall’istruttoria svolta era emerso che tale
accordo non era stato impugnato e ritenne irrilevante la lettera del 27.2.2015
con la quale era stata proposta la negoziazione assistita.

2. La Corte di appello di Torino, investita del
gravame, lo ha rigettato osservando che con l’opposizione all’esecuzione la
società non aveva impugnato il provvedimento ex art. 12 comma 4 del d.lgs. n.
124 del 2004 ma aveva contestato piuttosto l’esistenza del credito azionato. Ha
poi riassunto la vicenda societaria che aveva visto coinvolto l’appellante,
socio e lavoratore della società appellata di cui deteneva il 50% delle quote,
ed ha accertato che, nell’ambito della complessa definizione dei rapporti
societari intercorrenti tra i due soci (C. e A.M.), C.M. aveva effettivamente
ricevuto la somma di € 9.000,00 a definizione dei rapporti con la società
sottoscrivendo, una dichiarazione liberatoria, avente valore di rinuncia e mai
impugnata nei termini, di quanto dovutogli per il rapporto di lavoro sulla base
di conteggi predisposti nella stessa sede. Ha poi confermato la statuizione
sulle spese di primo grado evidenziando che nella specie non ricorrevano i presupposti
per disporne la compensazione individuate dall’art. 92 nel testo ratione
temporis applicabile oltre che nella reciproca soccombenza anche nella assoluta
novità della questione trattata o nel mutamento della giurisprudenza rispetto
alle questioni dirimenti e neppure le gravi ed eccezionali ragioni in presenza
delle quali secondo il testo previgente dell’art. 92 c.p.c. era consentita la
compensazione.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso C.M. affidato a tre motivi ulteriormente illustrati da memoria. La
Grafiche M. s.r.l. ha resistito con tempestivo controricorso.

 

Considerato che

 

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la
violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc.civ.
e si deduce che la diffida accertativa per crediti patrimoniali della Direzione
Provinciale del Lavoro di Alessandria, confermata dal Comitato Regionale per i
rapporti di lavoro di Torino era passata in giudicato e dunque non era
impugnabile.

5. Con il secondo motivo di ricorso si deduce che in
violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 cod. civ. la Corte di merito
aveva attribuito valenza abdicativa alla dichiarazione del lavoratore relativa
alla percezione delle sue spettanze.

6. Con il terzo motivo di ricorso è impugnato il capo
della decisione che ha rigettato il motivo di appello che attingeva la condanna
alle spese in primo grado e si deduce la violazione e falsa applicazione
dell’art. 92 cod. proc.civ..

7. Il primo motivo è infondato atteso che la diffida
accertativa – non opposta ovvero, come nel caso in esame, confermata dal
Comitato regionale – è atto di natura amministrativa che è idonea ad acquisire
valore di titolo esecutivo ma non determina un passaggio in giudicato
dell’accertamento in essa contenuto che può sempre essere contestato. L’art. 12
del d.lgs. n. 124 del 2004 che la disciplina prevede infatti che le Direzioni
del lavoro che riscontrino nell’ambito dell’attività di vigilanza inosservanze
alla disciplina contrattuale da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore
dei prestatori di lavoro, diffidino il datore di lavoro a corrispondere gli
importi risultanti dagli accertamenti (art. 12 comma 1). Una volta notificata
al datore di lavoro questi può nel termine di trenta giorni promuovere
tentativo di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro e se
viene raggiunto un accordo la diffida perde efficacia oppure può ricorrere in
via amministrativa avverso la diffida (art. 12 comma 2). Il mancato ricorso o
il rigetto dello stesso comportano che la diffida acquisisca efficacia di
titolo esecutivo ma non esclude che l’interessato possa contestare in giudizio
l’esistenza del diritto in essa riportato.

8. Ugualmente non può essere accolto il secondo
motivo di ricorso con il quale è denunciata la violazione dell’art. 2113
cod.civ. e si insiste nel ritenere che la dichiarazione sottoscritta dal
ricorrente non aveva valore di rinuncia poiché all’atto della sottoscrizione
questi non aveva contezza della consistenza delle spettanze di fine rapporto
calcolate successivamente né delle somme poi riportate nella ricordata diffida
accertativa. Sostiene il ricorrente che il giudice di appello avrebbe tratto il
suo convincimento dalle dichiarazioni rese dai testi e non dall’interpretazione
dell’atto qualificato come rinuncia.

8.1. La censura, infatti, prima ancora che infondata
è inammissibile atteso che nel ricorso non è riportato il contenuto della
dichiarazione sottoscritta dal M. ed alla quale la Corte di merito ha
attribuito valore di rinuncia ai diritti connessi al rapporto di lavoro
intercorso tra le parti. Peraltro, la censura avrebbe dovuto essere formulata
in termini di violazione dei canoni di interpretazione dell’atto atteso che
l’accertamento relativo costituisce giudizio di merito, censurabile, in sede di
legittimità, soltanto in caso di violazione dei criteri di ermeneutica
contrattuale o in presenza di vizi della motivazione (cfr. tra le altre Cass.
28/08/2013 n. 19831).

9. Il terzo motivo, con il quale ci si duole della
mancata compensazione delle spese di primo grado, come richiesto con lo
specifico motivo di appello, è inammissibile posto che con riferimento al
regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad
accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non
possono essere poste a carico della parte vittoriosa. Esula da tale sindacato,
e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione
dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto
nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nelle altre ipotesi quali la
assoluta novità della questione ed il mutamento della giurisprudenza rispetto a
questioni dirimenti che nello specifico la Corte ha indagato ed ha escluso
(cfr. Cass. 19613 del 2017 e recentemente Cass. n. 19135 del 2020 e da ultimo
Cass. n. 15773 del 2022).

10. In conclusione, per le ragioni esposte, il
ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate
in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da
parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del
citato d.P.R., se dovuto.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che si liquidano in € 3.000,00 per compensi
professionale, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli
accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13
comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 luglio 2022, n. 23744
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: