Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 agosto 2022, n. 25064
Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato,
Accertamento ispettivo, Pretesa contributiva Inps, Inserimento dei lavoratori
nell’organizzazione del ciclo produttivo con i caratteri dell’eterodirezione
Rilevato in fatto che
con sentenza n. 99 del 2016, la Corte d’appello di
Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado, di rigetto
dell’opposizione a cartella ex art. 24 d.lgs. n. 46 del 1999 relativa al
pagamento di contribuzione pretesa dall’INPS in seguito all’accertamento
ispettivo della natura subordinata e non di collaborazione coordinata e
continuativa dei rapporti di lavoro intercorrenti tra due soci e la Cooperativa
di Solidarietà “Il Seme” (da qui la Cooperativa) nel periodo compreso
tra ottobre 2002 ed ottobre 2004, ha confermato la legittimità della pretesa,
ritenendo, tuttavia, che la contribuzione versata alla gestione separata
dell’INPS doveva essere portata in compensazione rispetto a quella pretesa
dall’Istituto in favore della gestione lavoratori dipendenti;
ad avviso della Corte territoriale, dovendo farsi
applicazione della legge n. 142 del 2001, ratione temporis applicabile, non
poteva valere la giurisprudenza formatasi antecedentemente, relativa alla presunzione
che inerisca alle incombenze del socio tutto ciò che rientri nell’oggetto
sociale, ma per effetto dell’art. 1 della detta legge (come modificato
dall’art.9, comma 1, I. n. 30/2003), doveva considerarsi possibile che la
società instaurasse con ciascun socio un ulteriore e diverso rapporto di
lavoro, rispetto a quello sociale, sia autonomo che subordinato;
quanto, poi, alla corretta qualificazione, seppure
dotato di rilevanza, il nomen iurìs assegnato dalle parti non poteva prevalere
rispetto al concreto attuarsi del rapporto, ben potendo l’originario assetto
essere simulato o comunque non rispettato in executivis e da ciò la necessità
di procedere all’accertamento concreto;
peraltro, per principio giurisprudenziale
ricorrente, in caso di facere elementare e ripetitivo, quale quello ricorrente
nella fattispecie di facchinaggio e di allestimento scaffali di punti vendita
commerciali, la subordinazione si presentava necessariamente attenuata ed
andava fatto riferimento ai cd. indici sussidiari;
in particolare, dalle dichiarazioni dei testi
escussi nel corso del giudizio, ivi compresi colleghi di lavoro ed il direttore
della Cooperativa, si ricavava una completa inserzione dei due lavoratori
interessati nell’organizzazione del ciclo produttivo con i caratteri
dell’eterodirezione;
pertanto, l’unica censura d’appello da ritenersi
fondata era quella relativa alla legittimità della pretesa della Cooperativa di
portare a compensazione del credito vantato dall’Inps quanto versato a titolo
di contributi presso la Gestione separata in ragione della qualificazione dei
rapporti originariamente data dalle parti;
avverso tale sentenza, propone ricorso per
cassazione la Cooperativa sulla base di quattro motivi illustrati da successiva
memoria;
L’INPS ha rilasciato procura speciale in calce alla
copia notificata del ricorso;
Considerato che
con il primo motivo, si denuncia la violazione degli
artt. 2094 c.c., 1362, primo comma, 1362, secondo comma, c.c., d.P.R. 22
dicembre 1986 n. 917 art. 47 lett. c) bis, in quanto la sentenza avrebbe
disatteso il principio espresso da Cass. n. 10345/2008, secondo il quale non si
può prescindere dalla volontà delle parti nella qualificazione del rapporto di
lavoro, omettendo di valutare l’esito probatorio derivante dall’esame dei singoli
contratti, dai verbali di assemblea e dal comportamento delle parti, che
potevano indicare il proprio orario di lavoro a piacimento, con la conseguenza
della conferma della sussunzione dei rapporti sotto la normativa della
collaborazione coordinata e continuativa e non dell’art. 2094 c.c.;
con il secondo motivo, si denuncia, ai sensi
dell’art. 360, primo comma n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza per
violazione dell’art. 112 c.p.c., in ragione dell’omessa pronuncia in ordine
primo motivo d’appello, con il quale era stata denunciata la motivazione
apparente della sentenza di primo grado sul punto della sussistenza della
eterodirezione, essendo stato trascurato il fatto che il modello organizzativo
era quello cooperativistico che, una volta esaminati i singoli contratti, i
verbali di assemblea ed il comportamento delle parti, avrebbe condotto
all’accertamento della genuinità dei rapporti di collaborazione coordinata;
nell’illustrazione del motivo si lamenta il travisamento della prova relativa
all’orario di lavoro e si evidenzia la rilevanza autonoma della eterodirezione
nel giudizio di accertamento della subordinazione;
con il terzo motivo di ricorso, si deduce l’omessa
valutazione di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra
le parti, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5) c.p.c., in quanto la Corte
territoriale si era pronunciata utilizzando solo tre deposizioni testimoniali,
selezionate su diciassette altre deposizioni; inoltre, non aveva considerato il
contenuto dell’allegato 131, che riguardava il regolamento interno
(differenziante le diverse tipologie di soci lavoratori) ed il documento
allegato al n. 44 (che riportava il verbale dell’assemblea dei soci del 5
febbraio 2011, relativo alla discussione sulla tipologia dei rapporti da
costituire e dal quale si sarebbe dovuto dedurre la genuinità della
qualificazione data dalle parti; si lamenta, infine, l’erronea interpretazione
della nozione di subordinazione fornita dalla sentenza impugnata;
con il quarto motivo di ricorso, ai sensi dell’art.
360, primo comma n. 3, c.p.c., si deduce il vizio di violazione di legge in
relazione alla omessa assunzione di prova determinante quale quella contenuta
nei capitoli 5,6 e 11 dedotti con ricorso in opposizione depositato il 5 agosto
2008 in primo grado, alla pag. 22; la ricorrente deduce che la Corte
territoriale aveva ritenuto irrilevanti i capitoli di prova in ragione del
fatto che era stata raggiunta la prova della completa inserzione dei lavoratori
nel ciclo produttivo, con eterodeterminazione del quo modo, alla luce della
semplicità e ripetitività del facere a fronte di un corrispettivo,
pacificamente determinato […]> mentre il primo giudice non aveva ammesso
la medesima prova sulla base della considerazione che essa verteva su circostanze
ritenute già provate attraverso la lettura degli atti; dunque, attraverso le
prove non ammesse, si sarebbe provato che i rapporti di lavoro erano stati
effettivamente voluti come coordinati e continuativi e non subordinati per
rispondere ad effettiva necessità organizzativa;
i motivi, che vanno trattati congiuntamente in
quanto connessi dalla centralità della critica alla motivazione adottata in
punto di accertamento della effettività della subordinazione, sono infondati e
per diversi aspetti inammissibili;
in primo luogo, in relazione alla corretta
individuazione del principio giuridico applicabile alla fattispecie, la
sentenza non ha violato alcuna delle disposizioni denunciate, né i principi
espressi dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità;
in particolare, come ricordato ex plurimis da Cass.
01/04/2021, n. 9106 e Cass. n. 3340 del 2019, il vizio di violazione di legge
consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento
impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica
necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di
un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di
causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla
tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità
;
rientra in tale ambito anche la prospettazione di
una diversa valorizzazione di indici rilevanti, in particolare del nomen iuris
attribuito dalle parti, posto che a fini di qualificazione di un rapporto di
lavoro come autonomo o subordinato, contano i dati fattuali emergenti dal
concreto svolgimento della prestazione, piuttosto che la volontà espressa dalle
parti al momento della stipula del contratto di lavoro (Cass. 15 giugno 2009,
n. 13858; Cass. 19 agosto 2013, n. 19199; Cass. 8 aprile 2015, n. 7024, in
riferimento alla non vincolatività della qualificazione del rapporto di lavoro
come contratto di collaborazione coordinata e continuativa; Cass. 19 novembre
2018, n. 29764);
secondo questa Corte, la valutazione delle
risultanze processuali che inducono il giudice del merito ad includere un
rapporto controverso nello schema contrattuale del rapporto di lavoro
subordinato o autonomo costituisce accertamento di fatto, per cui è censurabile
in Cassazione solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da
applicare al caso concreto (Cass. n. 13202 del 2019; Cass. n. 5436 del 2019;
Cass. n. 332 del 2018; Cass. n. 17533 del 2017; Cass. n. 14434 del 2015; Cass.
n. 4346 del 2015; Cass. n. 9808 del 2011; Cass. n. 23455 del 2009; Cass. n.
26896 del 2009); qualora l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle
direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa del concreto
atteggiarsi del rapporto, può farsi ricorso ad elementi dal carattere
sussidiario e funzione indiziaria (per tutte: Cass. SS.UU. n. 379 del 1999, con
la risalente giurisprudenza ivi richiamata) che, lungi dal prescindere
dall’essenzialità della subordinazione, ne accertano in via indiretta l’esistenza
quali evidenze sintomatiche di un vincolo non rintracciabile aliunde;
L’ applicazione dei singoli indici rivelatori deve
accompagnarsi ad una globale visione di insieme che attribuisca maggiore o
minor valore ad alcuni di essi a seconda delle peculiarità della prestazione di
cui si discute; si tratta dunque di indizi che, in quanto tali, vanno letti
congiuntamente affinché il processo inferenziale conduca a risultati univoci;
ancora le Sezioni unite di questa Corte (n. 379/99 cit.) insegnano come
“ciò che deve negarsi è soltanto l’autonoma idoneità di ciascuno di questi
elementi, considerato singolarmente, a fondare la riconduzione del rapporto in
contestazione all’uno o all’altro tipo contrattuale (id est, a costituire il
criterio, generale ed astratto, preordinato a siffatto risultato specifico),
non anche la possibilità che, in una valutazione globale dei medesimi,
funzionale alla suddetta indagine prioritaria e decisiva sulla sussistenza del
requisito della subordinazione, essi vengano assunti, come concordanti, gravi e
precisi indici rivelatori dell’effettività di tale sussistenza”;
l’accertamento in ordine alla ricostruzione dei
fatti, principali e secondari, che concretano gli indici sintomatici della
subordinazione e del come si siano verificati nella vicenda storica che origina
la controversia compete ai giudici di merito, così come a costoro spetta anche
la valutazione di detti fatti, al fine di esprimere un giudizio complessivo dei
medesimi che sintetizzi le ragioni per cui da essi si sia tratto il
convincimento circa la sussistenza o meno della subordinazione medesima;
trattandosi di giudizi di fatto questa Corte può
sottoporli a sindacato nei limiti consentiti da una prospettazione del vizio di
cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione tempo per tempo
vigente; inoltre il giudice di legittimità può sindacare la sussunzione operata
dall’impugnata sentenza, sempre nei limiti di una censura appropriata, negando
– per dirla con la decisione delle SS.UU. n. 379/99 già citata – che un singolo
elemento sintomatico possa fondare la riconduzione del rapporto in
contestazione all’uno o all’altro tipo contrattuale, dovendo invece essere
praticata una valutazione globale dei medesimi, quali “concordanti, gravi
e precisi indici rivelatori” dell’effettività della sussistenza della
subordinazione; tuttavia chi ricorre per cassazione non può – come nella specie
ha fatto parte ricorrente – limitarsi ad opporre un diverso convincimento,
criticando la sentenza impugnata per aver dato credito a talune circostanze,
che si assumono prive di valore significativo, piuttosto che ad altre, ritenute
al contrario più rilevanti, con ciò assumendo erroneamente di avere individuato
vizi idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata; come noto,
infatti, al giudice di legittimità non è conferito il potere di riesaminare il
merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, essendo del tutto
estranea allo scrutinio di legittimità la funzione di procedere ad una nuova
valutazione di merito attraverso l’autonoma disamina delle emergenze
probatorie; in particolare, tanto più in giudizi nei quali la decisione è il
frutto di selezione e valutazione di una pluralità di elementi, tutti
concorrenti a supportare la prova del fatto principale, il ricorrente non può
limitarsi a prospettare una spiegazione di tali fatti e delle risultanze
istruttorie con una logica alternativa, pur in possibile o probabile
corrispondenza alla realtà fattuale, poiché è necessario che tale spiegazione
logica alternativa appaia come l’unica possibile (per tutte, sui limiti del
sindacato di legittimità in tema di subordinazione, v. Cass. n. 11015 del 2016;
successive conformi: v. Cass. n. 9157 del 2017; Cass. n. 9401 del 2017; Cass.
n. 25383 del 2017; da ultimo: Cass. n. 32385 del 2019);
è poi inammissibile la denuncia relativa al fatto
che i giudici del merito non avrebbero dato corso all’ammissione di taluni
capitoli di prova formalmente e ritualmente richieste;
in tema di valutazione delle prove il principio del
libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera
interamente sul piano dell’apprezzamento di merito,- insindacabile in sede di
legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte
del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa
applicazione di norme, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato
attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque
nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal
D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (tra
le altre v. Cass. n. 23940 del 2017);
inoltre, per risalente insegnamento di questa Corte,
la mancata ammissione della prova testimoniale può essere denunciata per
cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di
motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non
ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze
tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità,
l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il
convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a
trovarsi priva di fondamento (Cass. n. 11457 del 2007; conformi: Cass. n. 4369
del 2009; Cass. n. 5377 del 2011); infine spetta esclusivamente al giudice del
merito valutare gli elementi di prova già acquisiti e la pertinenza di quelli
richiesti con una valutazione che non è sindacabile nel giudizio di legittimità
al di fuori dei rigorosi limiti imposti dalla novellata formulazione dell’art.
360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni
unite (cfr. Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014);
disposizione quest’ultima che, per i giudizi di
appello instaurati dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore
della L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012),
di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, neanche può essere invocata
nella specie rispetto ad un appello promosso dai ricorrenti dopo la data sopra
indicata (del richiamato D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2), con ricorso
per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello che conferma la
decisione di primo grado, ove il fatto sia stato ricostruito nei medesimi
termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter c.p.c., u.c., in
base al quale il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è
deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; v. Cass.
n. 23021 del 2014);
conclusivamente il ricorso deve essere respinto.
Nulla va disposto per le spese in carenza di attività difensiva da parte
dell’INPS e di S.C.C.I s.p.a.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma 1 bis dello
stesso art. 13, comma 1 bis.