Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 agosto 2022, n. 24981

Appalto, Avviso di addebito, Regime di solidarietà,
Applicabilità

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso depositato presso il Tribunale di Cuneo
il 17 febbraio 2014 la D. srl ha chiesto l’annullamento dell’avviso di addebito
n. 337 2013 00012075 del 9 dicembre 2013 concernente l’importo da lei dovuto a
titolo di contributi INPS e sanzioni per morosità di C 104.995,93 quale
obbligata solidale per i contributi richiesti alla P.L. Soc. Coop. Onlus a
seguito di accertamenti svolti nei confronti di quest’ultima società dalla sede
INPS di Cuneo.

Secondo gli ispettori la P.L. Soc. Coop. Onlus non
aveva versato i contributi dovuti per il periodo dal 6/2007 al 2/2012, e,
pertanto, di tale condotta era chiamata a rispondere, in via solidale ex art. 29 d.lgs. n. 276 del 2003,
la D. srl, con la quale era intercorso un rapporto di appalto.

Il Tribunale di Cuneo, nel contraddittorio delle
parti, con sentenza n. 198 del 2014, in parziale accoglimento dell’opposizione,
ha annullato l’avviso di addebito limitatamente all’importo di C 131,48,
confermando per la restante parte il provvedimento impugnato.

La D. srl ha proposto appello che la Corte di
appello di Torino, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 65 del
2016, ha respinto.

La D. srl presentato ricorso per cassazione sulla
base di tre motivi.

L’INPS ha resistito con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1) Con il primo motivo la D. srl lamenta la
violazione e falsa applicazione dell’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003
poiché la corte territoriale avrebbe errato nell’affermare l’applicabilità al
contratto di subfornitura in esame, regolato dalla legge
n. 192 del 1998, della normativa di cui all’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003
che riguardava, al contrario, il solo contratto di appalto.

Infatti, il contratto di appalto si
caratterizzerebbe, rispetto a quello di subfornitura, per la presenza di
autonomia gestionale nell’organizzazione delle attività oggetto di pattuizione.

Ne deriverebbe, ad avviso della società ricorrente,
che, in ragione dell’assenza di tale autonomia, il subfornitore non può
omettere la corresponsione dei contributi destinandoli ad altre finalità.

La doglianza è infondata.

L’art.
29, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, nel testo vigente all’epoca in cui
i contributi oggetto del contendere avrebbero dovuto essere versati (nel
periodo, quindi, 6/2007-2/2012, dovendosi applicare il principio espresso da Cass., Sez. L, n. 34982 del 17 novembre 2021, per
il quale„ in tema di appalto di opere o di servizi, nella successione delle
disposizioni diversamente regolanti la materia, il regime di solidarietà
applicabile, per la riscossione dei crediti degli enti previdenziali, è quello
vigente al momento di esecuzione della prestazione lavorativa, in cui sorge il
diritto alla retribuzione ed alla contribuzione), recitava:

“In caso di appalto di opere o di servizi il
committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con
l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori
entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai
lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti”.

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha
affermato il principio così massimato: “Il committente è solidalmente
responsabile per i crediti di lavoro dei dipendenti del subfornitore, alla luce
di una interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata dell’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003
che, lungi dall’essere norma eccezionale, mira a disciplinare la responsabilità
in tutte le ipotesi di dissociazione fra la titolarità del contratto di lavoro
e l’utilizzazione della prestazione, assicurando in tal modo tutela omogenea a
tutti quelli che svolgono attività lavorativa indiretta, qualunque sia il
livello di decentramento” (Cass., Sez. L, n. 25172 dell’8 ottobre 2019; Cass., Sez. L, n. 6299 del 5 marzo 2020, non
massimata).

Pertanto, la garanzia del committente prevista dall’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276 del
2003 trova applicazione anche quando vengono in questione non solo
contratti di appalto, ma, altresì, di subfornitura.

La Corte di cassazione fonda la propria decisione
sulla sentenza n. 254 del 6 dicembre 2017 della Corte costituzionale che, in
un’ipotesi di subfornitura, ha dichiarato non fondata la questione di
legittimità costituzionale sollevata con riferimento all’appena citato art. 29, stabilendone
l’applicazione estensiva sulla base del principio secondo il quale la norma
sulla responsabilità solidale, volendo evitare che i meccanismi di
decentramento e di dissociazione fra la titolarità del contratto di lavoro e
l’utilizzazione della prestazione vadano a danno dei lavoratori utilizzati
nell’esecuzione del contratto commerciale, non giustifica, altresì alla luce
dell’art. 3 Cost., un’esclusione della garanzia
nei confronti dei dipendenti del subfornitore, atteso che la tutela del
soggetto che assicura un’attività lavorativa indiretta non può non estendersi a
tutti i livelli di decentramento.

Sulla base di tali considerazioni, l’articolo 29, comma 2, del d.lgs. n.
276 del 2003, va interpretato, a giudizio della Corte costituzionale, nel
senso che il committente/appaltatore è obbligato in solido anche con il
subfornitore, relativamente ai crediti lavorativi, contributivi e assicurativi
dei dipendenti di questi, al pari di quanto lo è verso i dipendenti del
subappaltatore.

L’estensione della responsabilità solidale del
committente ai crediti di lavoro dei dipendenti del subfornitore è il naturale
corollario della tesi che configura la subfornitura come sottotipo dell’appalto
e di quella che sostanzialmente equipara i due negozi.

Peraltro, la Corte costituzionale ha chiarito che,
se anche si fosse ritenuto di considerare la subfornitura un tipo negoziale
autonomo,tale premessa interpretativa avrebbe precluso l’applicazione, in via
analogica, della norma sulla responsabilità solidale del committente in favore
dei dipendenti del subfornitore.

In particolare, il giudice delle leggi ha escluso
che la natura eccezionale della norma sulla responsabilità solidale del
committente osti ad una sua applicazione estensiva a vantaggio di una platea di
soggetti diversi dai dipendenti dell’appaltatore o subappaltatore (ai quali
soltanto la norma stessa fa testuale riferimento), poiché l’eccezionalità della
responsabilità del committente sussiste rispetto alla disciplina ordinaria
della responsabilità civile – che esige di correlarsi alla condotta di un
soggetto determinato – ma non rileva se riferita all’ambito, ove pur distinto,
ma comunque omogeneo in termini di lavoro indiretto, dei rapporti di
subfornitura.

Inoltre, la Corte costituzionale ha sottolineato che
le esigenze di tutela dei dipendenti dell’impresa subfornitrice, in ragione
della strutturale debolezza del loro datore di lavoro, sarebbero da considerare
ancora più intense e imprescindibili che non nel caso di un appalto ordinario.

Ne consegue l’assoluta irrilevanza della maggiore
autonomia gestionale che, per la società ricorrente, caratterizzerebbe il
contratto di appalto.

2) Con il secondo motivo la società ricorrente
lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276 del
2003 perché la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere applicabile
la normativa in questione anche ove il committente si comporti in maniera
diligente, così configurando una inammissibile forma di responsabilità
oggettiva.

La doglianza è inammissibile atteso che, come
rilevato dal giudice di appello, la relativa doglianza non era stata proposta
in primo grado.

Peraltro, si osserva che la responsabilità del
committente, ai sensi dell’art.
29, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003, è di tipo legale, in quanto prevista
ex lege, e, quindi, sorge al verificarsi delle condizioni poste dalla legge,
indipendentemente dal dolo o dalla colpa, ma secondo le norme di cui agli artt. 1176 e 1218 c.c.,
postulando l’esistenza del rapporto contrattuale con il subfornitore e
l’inadempimento, da parte di quest’ultimo, dei suoi obblighi contributivi verso
i dipendenti.

3) Con il terzo motivo la società ricorrente lamenta
la violazione e falsa applicazione del d.l. n. 5
del 2012, per quanto attiene all’esclusione del committente dalle sanzioni
civili previste dall’art. 29,
comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, poiché la Corte d’appello di Torino
avrebbe errato nel porre a suo carico tali sanzioni per il periodo anteriore al
febbraio 2012.

La doglianza è infondata.

Secondo la D. srl, l’art. 21, comma 1, d.l. n. 5 del 2012,
conv., con modif., dalla legge n. 35 del 2012,
sarebbe una norma di interpretazione autentica ed avrebbe modificato, a
decorrere dal 10 febbraio 2012 (data di sua entrata in vigore), il testo dell’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276 del
2003, escludendo,, con riferimento alla responsabilità del committente,
“qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il
responsabile dell’inadempimento”.

Al riguardo, si evidenzia, innanzitutto, la natura
accessoria della sanzione, che costituisce una conseguenza automatica
dell’inadempimento o del ritardo, legalmente predeterminata, introdotta
nell’ordinamento per rafforzare l’obbligazione contributiva e risarcire, in
misura predeterminata dalla legge, con una presunzione iuris et de iure, il
danno cagionato all’istituto assicuratore (Cass., Sez. 6-L, n. 30363 del 18
dicembre 2017).

Le stesse Sezioni unite della Corte di cassazione,
con la decisione n. 5076 del 13 marzo 2015,
intervenendo in tema di estensione al credito per sanzioni civili degli effetti
degli atti interruttivi posti in essere con riferimento al credito
contributivo, hanno precisato che, sotto il profilo normativo, le somme
aggiuntive appartengono alla categoria delle sanzioni civili, vengono applicate
automaticamente in caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi
assicurativi e consistono in una somma ex lege predeterminata il cui relativo
credito sorge de iure alla scadenza del termine legale per il pagamento del
debito contributivo, in relazione al periodo di contribuzione.

Vi è, quindi, per le citate Sezioni Unite, tra la
sanzione civile di cui trattasi e l’omissione contributiva, alla quale la
sanzione civile inerisce, un vincolo di dipendenza funzionale che, in quanto
contrassegnato dall’automatismo della sanzione civile rispetto all’omesso o
ritardato pagamento, non solo incide geneticamente sul rapporto dell’una
rispetto all’altra, ma conserva questo suo legame di automaticità funzionale
anche dopo l’irrogazione della sanzione, così che le vicende che attengono
all’omesso o ritardato pagamento dei contributi non possono non riguardare,
proprio per il rilevato legame di automaticità funzionale, altresì le somme
aggiuntive che, sorgendo automaticamente alla scadenza del termine legale per
il pagamento del debito contributivo, rimangono a questo debito
continuativamente collegate in via giuridica.

L’automaticità funzionale, legalmente
predeterminata, della sanzione civile rispetto all’obbligazione contributiva,
porta ad includere, quindi, in linea di principio, nell’affermata
responsabilità solidale, anche le sanzioni civili.

Quanto alla sopravvenuta modifica introdotta dal d.l. n. 5 del 2012, si rileva che l’obbligazione
solidale oggetto del ricorso ricade, ratione temporis, come già evidenziato,
nell’ambito di applicazione dell’art.
29, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003, nella formulazione introdotta dalla legge n. 296 del 2006, in vigore dal 10 gennaio
2007.

Pertanto, non è applicabile, nella specie,
l’esclusiva responsabilità, in capo all’inadempiente, sancita dall’art. 21, comma 1, del d.l. n. 5 del
2012, conv., con modif., dalla legge n. 35 del
2012 che, riorganizzando la responsabilità solidale negli appalti, ha
sanzionato, per l’omissione contributiva, solo il responsabile dell’inadempimento,
escludendo le sanzioni dal vincolo solidale, con disposizione che non è
qualificabile né come interpretativa né retroattiva, non deponendo in tal senso
il testo normativo ed in assenza di una predeterminazione, per legge, del
soggetto passivo della sanzione civile (Cass.,
Sez. L, n. 18259 dell’Il luglio 2018).

4) Il ricorso è respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in
dispositivo.

Sussistono i presupposti di cui al primo periodo
dell’art. 13, comma 1 quater, del
d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dal comma 17 dell’art. 1 della legge n.
228 del 2012, ai fini del raddoppio del contributo per i casi di
impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile
(Cass., Sez. 6-L, n. 1778 del 29 gennaio 2016), se dovuto.

 

P.Q.M.

 

– Rigetta il ricorso;

– Condanna la società ricorrente a rifondere
all’ENPS le spese di lite, che liquida in C 6.000,00 per compenso ed C 200,00
per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;

– Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115
del 2002, inserito dall’art.
1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti
per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 agosto 2022, n. 24981
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