Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 agosto 2022, n. 25310
Licenziamento per giusta causa, Nullità, Lavoratrice in
stato di gravidanza, Applicazione delle tutele reintegratoria e risarcitoria
Rilevato che
1. con sentenza 5 (notificata l’8) novembre 2019, la
Corte d’appello di Ancona ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato a
M.S. il 22 novembre 2010 per giusta causa dalla datrice F. s.p.a. e condannato
questa alla reintegrazione di quella nel suo posto di lavoro e al risarcimento
del danno, liquidato in un’indennità commisurata alla retribuzione mensile
globale di fatto, maturata dal giorno del licenziamento all’effettiva
reintegrazione, oltre accessori e al versamento dei contributi previdenziali e
assistenziali per il medesimo periodo, nonché al pagamento dell’indennità di
malattia dall’1 al 26 settembre 2010, oltre accessori: così riformando la
sentenza di primo grado, di reiezione invece delle domande della lavoratrice;
2. in via preliminare, essa ha ritenuto
l’ammissibilità dell‘appello della lavoratrice, rispondente al paradigma di
specificità e così pure delle produzioni documentali, già compiute in primo
grado e dei nuovi argomenti difensivi, introduttivi non di domande nuove ma di
mere difese;
3. nel merito, dalle scrutinate risultanze
istruttorie, anche acquisite dal procedimento penale instaurato nei confronti
di M.S. per gli stessi fatti, la Corte territoriale ha accertato la nullità del
licenziamento intimato per giusta causa il 22 novembre 2010, in esito alla
contestazione con lettera del 29 ottobre 2010, alla lavoratrice in stato di
gravidanza, in assenza di una sua colpa grave, a norma dell’art. 54, terzo
comma, lett. a), quale ipotesi di esenzione dal divieto di licenziamento;
4. in particolare, essa ha ritenuto probante, in
quanto né specificamente disconosciuta la sua produzione in copia né
falsificata, la documentazione sanitaria trasmessa da M.S. a F. s.p.a., alla
base della interdizione dal lavoro disposta dalla Direzione provinciale del
lavoro, per il periodo dall’8 luglio all’8 ottobre 2010, a causa di complicanze
di uno stato di gravidanza interrotta il 31 agosto 2010 e quindi per i periodi
dal 27 settembre al 10 ottobre 2010 e ancora dall’11 ottobre 2010 al 25
febbraio 2011, a causa di una nuova gravidanza dal 27 settembre 2010; e così
pure quella relativa all’invio via fax delle comunicazioni dall’1 al 27
settembre 2010 di assenza dal lavoro per malattia, a dire della datrice non
comunicatale;
5. la ravvisata nullità del licenziamento ha
comportato l’applicazione delle tutele reintegratoria e risarcitoria
suindicate, a norma dell’art. 18 l. 300/1970 nel testo vigente ratione temporis
(anteriore alla sua modificazione con legge 92/2012), senza alcuna detrazione
in difetto di prova di aliunde perceptum né percipiendum;
6. infine, la Corte anconetana ha riconosciuto alla
lavoratrice l’indennità di malattia dall’1 al 26 settembre 2010, in
accoglimento del suo motivo di gravame di omessa pronuncia;
7. con atto notificato il 7 gennaio 2020, la società
ha proposto ricorso per cassazione con quattordici motivi, illustrati da
memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c., cui la lavoratrice ha resistito con
controricorso;
8. all’odierna adunanza camerale, cui sono state
fissate entrambe le cause, il collegio ha disposto la riunione del (successivo)
ricorso introduttivo del giudizio rubricato a R.G. n. 8289/2021 al (precedente)
ricorso introduttivo del presente giudizio rubricato a R.G. n. 2569/2020: in
applicazione del principio, secondo cui i ricorsi per cassazione rispettivamente
proposti contro la sentenza d’appello e contro quella che decide l’impugnazione
per revocazione avverso la prima, in caso di contemporanea pendenza in sede di
legittimità, devono essere riuniti in applicazione (analogica, trattandosi di
gravami avverso distinti provvedimenti) dell’art. 335 c.p.c.; esso impone,
infatti, la trattazione in un unico giudizio di tutte le impugnazioni proposte
contro la stessa sentenza, dovendosi ritenere che la riunione di detti ricorsi,
pur non espressamente prevista dalla norma del codice di rito, discenda dalla
connessione esistente tra le due pronunce (Cass. s.u. 7 novembre 1997, n.
10933; Cass. 29 novembre 2006, n. 25376; Cass. 22 maggio 2015, n. 10534).
Considerato che
1. nel giudizio rubricato a R.G. n. 2569/2020 (di ricorso
per cassazione avverso la sentenza 5 novembre 2019 della Corte d’appello di
Ancona), appare opportuno, in osservanza del criterio di priorità
logico-giuridica, avviare lo scrutinio dal decimo e dal dodicesimo motivo dei
plurimi (quattordici) formulati da F. s.p.a.;
2. per la loro stretta connessione, essi possono
essere congiuntamente esaminati: sicché, con il decimo motivo, la ricorrente
deduce nullità della sentenza in relazione alla violazione dell’art. 132,
secondo comma, n. 4 c.p.c., per mancanza della “concisa esposizione delle
ragioni di fatto” della decisione, in relazione alla violazione dell’art. 115
c.p.c., per errore di percezione sulla ricognizione del contenuto oggettivo
delle prove e ancora dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 132, secondo comma, n. 4
c.p.c., per motivazione apparente e comunque omessa, insufficiente e
contraddittoria sui punti decisivi della controversia prospettati dalla
società, in relazione alla violazione dell’art. 111, sesto comma Cost. e
dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., per violazione del minimo
costituzionale della motivazione della sentenza;
3. con il dodicesimo, essa deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 2712, 2727, 2729, 2697 c.c., 113, 115, 116 c.p.c., per
erroneo riconoscimento di valore probatorio ai documenti prodotti dalla
lavoratrice contenenti i fax asseritamente inviati alla società datrice il 1°
settembre 2010 e il 27 settembre 2010, nonostante l’espresso disconoscimento
della seconda;
4. essi sono entrambi fondati;
5. la trama complessa e controversa della vicenda,
intercorsa tra le parti, ne presuppone una chiara illustrazione, sulla base dei
documenti acquisiti. Come sopra esposto, il 22 novembre 2010 la società datrice
ha intimato un licenziamento per giusta causa alla propria dipendente M.S. in
stato di gravidanza, a norma dell’art. 54, terzo comma, lett. a) d.lgs.
151/2001, che esclude il divieto di licenziamento (comportante in caso di
violazione la sanzione di nullità, a norma dell’art. 54, quinto comma d.lgs.
cit. e la tutela reintegratoria, ai sensi dell’art. 18 l. 300/1970, nel testo
anteriore alla novellazione operata dalla l. 92/2012, applicabile ratione
temporis) nell’ipotesi di “colpa grave da parte della lavoratrice, costituente
giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro”, appunto contestatale
con lettera del 29 ottobre 2010;
5.1. a seguito di complicanze connesse allo stato di
gravidanza della lavoratrice, la Direzione Provinciale del Lavoro di Macerata,
su sua istanza e alla luce della documentazione sanitaria trasmessa, ne ha
disposto, con provvedimento n. 509/2010 del 15 luglio 2010 comunicato anche a
F. s.p.a., l’interdizione dal lavoro per il periodo dall’8 luglio 2010 all’8
ottobre 2010; con successivi provvedimenti nn. 747/2010 e 734/2010, entrambi in
data 19 ottobre 2010, essa l’ha quindi nuova interdetta dal lavoro dal 27
settembre 2010 al 25 febbraio 2011, in conseguenza dell’interruzione della
prima gravidanza il 31 agosto 2010 e dell’inizio di una seconda, appunto dal 27
settembre 2010;
5.2. la società datrice ha però avuto comunicazione
dello stato di malattia della lavoratrice, protrattosi dal 1° al 26 settembre
2010, soltanto il 19 ottobre 2010 tramite due fax, di rispettiva data apparente
1° settembre 2010 e 27 settembre 2010. Essi sono stati ritenuti falsi dal
Tribunale, che ha pertanto accertato la violazione dell’art. 58 CCNL Calzature
Industria del 2 luglio 2008 (per il quale “L’assenza per malattia o per
infortunio non sul lavoro deve essere comunicata all’azienda nella giornata in
cui si verifica, entro quattro ore dall’inizio del normale orario di lavoro” e
che prevede altresì l’obbligo per il lavoratore di “consegnare o far pervenire
all’azienda, non oltre il terzo giorno dall’inizio dell’assenza, il certificato
medico attestante l’effettivo stato di infermità comportante l’incapacità
lavorativa”) e ritenuto integrata una giusta causa di licenziamento (come da
trascrizione della sua sentenza per la parte d’interesse, dal penultimo
capoverso di pg. 15 al quinto di pg. 16 del ricorso);
5.2.1. la Corte d’appello è stata invece di
contrario avviso e ha dichiarato nullo il licenziamento della lavoratrice in
stato di gravidanza per esclusione di una sua colpa grave, fondando la propria
decisione sul valore probatorio riconosciuto alla stessa documentazione
sanitaria (valutata dal Tribunale e) trasmessa da M.S. a F. s.p.a., così come a
quella relativa all’invio via fax dalla prima alla seconda delle comunicazioni
sul proprio stato di malattia dall’1 al 26 settembre 2010;
5.2.2. per la medesima vicenda la lavoratrice ha
pure subito un processo penale, con imputazione dei reati di truffa e di
falsità materiale, per avere ingannato il datore di lavoro, nel fare
artatamente figurare la propria assenza dal lavoro per maternità, quando questa
già era stata interrotta ed avere contraffatto due ricevute di fax al fine di
dimostrare l’invio di altrettanti certificati medici giustificanti l’assenza
dal lavoro nel periodo dal 1° settembre 2010 all’8 ottobre 2010, addebitandone
alla società datrice la mancata ricezione.
Da entrambi ella è stata assolta: in esito a
giudizio abbreviato, dal G.u.p. presso il Tribunale di Macerata per
insussistenza del fatto; invece, dalla Corte d’appello penale di Ancona, con
sentenza dell’11 aprile 2019, dal reato di truffa per insussistenza del fatto,
ma per quello di falsificazione dei fax, pur fondato su elementi probatori
incontestati ed univoci, per abolitio criminis (non costituendo il fatto più
reato).
Infine, questa Corte di Cassazione (II sezione
penale), con sentenza del 23 giugno 2021, n. 24498, ha annullato la sentenza
della Corte d’appello, limitatamente al reato di falso, per avere questa
ribaltato la decisione del primo giudice in base a un diverso apprezzamento di
attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva (essendo la Corte
territoriale pervenuta “all’affermazione della sussistenza della contraffazione
… attraverso un rinnovato esame (di carattere autonomo e differente rispetto
a quello svolto dal primo giudice) del narrato dei testi … sulla scorta del
quale … opera poi una diversa valutazione tanto della falsità dei documenti
in questione (ritenuta certa), quanto alle ragioni sottese all’agire
dell’imputata (ritenute artatamente dolose e preordinate)”: così all’ultimo
capoverso di pg. 3 della sentenza). In applicazione del principio di diritto,
consolidato in sede di legittimità (come da precedenti arresti richiamati),
secondo cui, in un caso come quello di specie, è necessario rinnovare anche
d’ufficio l’istruzione dibattimentale, dovendo a tali fini per “motivi
attinenti alla valutazione della prova dichiarativa” essere intesi “tutti
quelli che implicano una ‘diversa interpretazione delle risultanze delle prove
dichiarative” (loc. cit.), essa ha così rinviato alla Corte d’appello di
Perugia per un nuovo giudizio sul punto;
6. così chiarita la vicenda processuale in esame,
occorre premettere, quanto al decimo motivo (primo dei due sopra illustrati,
congiuntamente esaminabili), che il ricorso per cassazione, ai fini della sua
ammissibilità (contestata dalla controricorrente), deve essere articolato in
specifiche censure riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad uno
dei cinque motivi di impugnazione previsti dall’art. 360, primo comma c.p.c.,
sicché, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta
indicazione numerica di uno dei predetti motivi, è indispensabile che le
censure individuino con chiarezza i vizi prospettati, tra quelli inquadrabili
nella tassativa griglia normativa (Cass. s.u. 8 novembre 2021, n. 32415); così
anche qualora l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza
sia tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in
motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole
censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi
d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse: costituendo ragione
d’inammissibilità soltanto una formulazione che non renda ciò possibile (Cass.
23 ottobre 2018, n. 26790; Cass. 9 dicembre 2021, n. 39169);
6.1. il motivo in esame è allora ammissibile, per la
chiara distinzione dei diversi profili di error in procedendo denunciati, con
specifica e argomentata articolazione delle doglianze di nullità della sentenza
in quelle esplicitamente e correttamente formulate in relazione: a) alla
violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., per mancanza della
“concisa esposizione delle ragioni di fatto” della decisione (sub p.to I, a pg.
55 del ricorso); b) alla violazione dell’art. 115 c.p.c., per errore di
percezione sulla ricognizione del contenuto oggettivo delle prove, anche in
riferimento all’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., per motivazione apparente
o comunque omessa (al di là dell’enunciazione di insufficienza e
contraddittorietà sui punti decisivi della controversia: vizi in configurabili
alla luce del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.), in
relazione anche alla violazione dell’art. 111, sesto comma Cost. e dell’art.
132, secondo comma, n. 4 c.p.c., per la conversione in nullità di una
motivazione al di sotto del minimo costituzionale (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n.
8053). Nella sua deduzione, la ricorrente ha altresì puntualmente individuato
le prove oggetto di erronea percezione e difetto, o mera apparenza, di motivazione
(ridondante nella detta nullità), per effetto di un tale errore (ai p.ti da II
a XIV, da pg. 56 a pg. 67);
7. nel merito, questa Corte reputa che il denunciato
errore percettivo, integrante la dedotta nullità dell’art. 115 c.p.c., ricorra
sotto il profilo di “travisamento della prova” e che coerentemente si rifletta
su una motivazione (benché graficamente esistente, sia tuttavia) apparente, per
l’obiettiva inidoneità delle argomentazioni poste a fondamento della decisione
a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice, nella formazione del
proprio convincimento (Cass. 23 maggio 2019, n. 13977; Cass. 1 marzo 2022, n.
6758), in ragione di tale non esatta percezione, come evidente nella
ricostruzione della vicenda alla luce di uno scrutinio dei documenti e delle
prove così viziato (dall’ultimo capoverso di pg. 5 al primo di pg. 9 della
sentenza);
7.1. infatti, mentre l’errore di valutazione (che
investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del
fatto che si intenda provare) in cui sia incorso il giudice di merito non è mai
sindacabile nel giudizio di legittimità, l’errore di percezione, poiché cade
sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una
circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti, è
sindacabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., per violazione
dell’art. 115 del medesimo codice, il quale vieta di fondare la decisione su
prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (Cass. 12 aprile
2017, n. 9356; Cass. 24 ottobre 2018, n. 27033; Cass. 4 marzo 2022, n. 7187); a
differenza dell’ipotesi in cui l’errore di percezione non verta su un punto
controverso né attenga ad un’errata valutazione delle risultanze processuali,
nella quale esso integra invece un errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4
c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione (Cass. 22 ottobre 2019, n.
26890);
7.2. la denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c.,
sotto lo specifico profilo dell’errore di percezione sulla ricognizione del
contenuto oggettivo delle prove, integra allora un travisamento della prova,
perché implica non già una valutazione dei fatti, bensì una constatazione o un
accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è
contraddetta da uno specifico atto processuale (Cass. 25 maggio 2015, n. 10749;
Cass. 21 gennaio 2020, n. 1163; Cass. 14 febbraio 2020, n. 3796; Cass. 18 marzo
2021, n. 7670, in motivazione sub 2.1.);
7.3. così, infatti, è stato nel caso di specie: a
fronte di una più risalente comunicazione a F. s.p.a., da parte della Direzione
Provinciale del Lavoro di Macerata, del proprio provvedimento n. 509/2010
datato 15 luglio 2010 di interdizione dal lavoro, per il periodo dall’8 luglio
2010 all’8 ottobre 2010, della dipendente M.S., su sua istanza, per effetto di
complicanze connesse allo stato di gravidanza, alla luce della documentazione
sanitaria trasmessa, la Corte territoriale ha ritenuto che la predetta società
datrice abbia avuto tempestiva comunicazione dei successivi provvedimenti nn.
747/2010 e 734/2010, sempre della Direzione Provinciale del Lavoro di Macerata
ed entrambi datati 19 ottobre 2010 (di una nuova interdizione dal lavoro della
medesima lavoratrice dal 27 settembre 2010 al 25 febbraio 2011, in conseguenza
dell’interruzione della prima gravidanza il 31 agosto 2010 e dell’inizio di una
seconda dal 27 settembre 2010), a giustificazione di due periodi di astensione
ben risalenti temporalmente, il primo dei quali, antecedente nella numerazione,
attinente a un periodo posteriore rispetto al secondo, successivo nella
numerazione e riguardante un arco temporale antecedente. Ed essa ha altresì
ritenuto che la società abbia ricevuto detta comunicazione per il tramite di
due fax, di rispettiva data apparente 1° settembre 2010 e 27 settembre 2010,
inviati il 19 ottobre 2010 dalla lavoratrice, relativi alla protrazione del
proprio stato di malattia dal 1° settembre 2010 al 26 settembre 2010. Ebbene,
tali fax, ritenuti genuini dalla Corte d’appello (per le ragioni esposte in
particolare dal secondo capoverso di pg. 7 al penultimo di pg. 8 della
sentenza), sono stati invece accertati come falsi nel processo penale (come
illustrato al superiore p.to 5.2.2.);
8. al motivo appena scrutinato (decimo) si salda in
modo coerente il dodicesimo, di violazione e falsa applicazione degli artt.
2712, 2727, 2729, 2697 c.c., 113, 115, 116 c.p.c., per avere la Corte
territoriale erroneamente riconosciuto valore probatorio ai suddetti fax,
nonostante l’espresso disconoscimento della società ricorrente (al primo
periodo di pg. 7 della sentenza), parimenti fondato, come anticipato;
9. appare, infatti, chiara la distinzione tra una
contestazione: a) del valore probatorio delle riproduzioni meccaniche,
denunciato da F. s.p.a., ai sensi dell’art. 2712 c.c., in riferimento
all’elencazione non tassativa contenuta nella norma, tra le quali rientra anche
quella di un atto mediante il servizio telefax (costituendo modalità di
trasmissione un sistema di posta elettronica volto ad accelerare il
trasferimento della corrispondenza mediante la riproduzione a distanza, con
l’utilizzazione di reti telefoniche e terminali facsimile, del contenuto di
documenti), che formano piena prova dei fatti o delle cose rappresentate se
colui contro il quale siano prodotte non ne disconosca la conformità ai fatti o
alle cose medesimi (Cass. 24 novembre 2005, n. 24814; Cass. 20 marzo 2009, n.
6911; Cass. 27 febbraio 2019, n. 5778); b) del disconoscimento di conformità,
ben diverso, delle fotocopie di scritture all’originale, ai sensi dell’art.
2719 c.c., in ordine ad una tale contestazione di un documento prodotto in
copia, che non può avvenire con clausole di stile, né generiche od
onnicomprensive, bensì, a pena di inefficacia, in modo chiaro e circostanziato,
attraverso l’indicazione specifica sia del documento che si intenda contestare,
sia degli aspetti per i quali si assuma differisca dall’originale (Cass. 30
ottobre 2018, n. 27633);
9.1. ebbene, la Corte capitolina ha manifestamente
violato le norme denunciate, ponendo a base del proprio ragionamento decisorio
le informazioni probatorie scrutinate, contraddette dagli atti processuali
sopra indicati (al p.to 7.3.), ad un tempo per travisamento e disconoscimento
del loro valore probatorio, in applicazione del criterio palesemente inidoneo
sopra illustrato, così incorrendo in un errore di diritto nella selezione del
criterio di valutazione probatoria;
10. l’accoglimento dei due motivi congiuntamente
esaminati comporta l’assorbimento di tutti gli altri: di omesso esame di un
fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale la
risposta “no” sottoscritta dalla medesima lavoratrice alla voce “eventuali
precedenti istanze relative allo stato di gravidanza in atto” nella sua
richiesta alla D.P.L. di Macerata di fruizione di un periodo di “astensione”
per maternità a rischio dall’11 ottobre 2010 al 25 febbraio 2011, incompatibile
con la ritenuta veridicità di comunicazione tempestiva della malattia dall’1 al
27 settembre 2010, ricostruita invece ex post (primo motivo); di omesso esame
di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale
la produzione dalla società di prova documentale relativa alla mancata
ricezione di alcun fax nelle giornate dell’1 e del 27 settembre 2010 (secondo
motivo); di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di
discussione tra le parti, quale l’offerta dalla società di prova documentale
della ricezione il 18 e 19 ottobre 2010 di tre fax “in bianco” provenienti
dall’utenza del sig. Gheco, cognato della lavoratrice, due dei quali (del 19
ottobre 2010) composti ciascuno da due pagine e recanti ciascuno la stampa di
due date, di cui una comune (del 19 ottobre 2010) e l’altra (dell’1 settembre
2010 per l’uno, del 27 settembre 2010, per l’altro) diversa (terzo motivo); di
omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le
parti, quale l’assenza di alcuna comunicazione dalla lavoratrice, alle date del
12 e del 18 ottobre 2010, in relazione alla cessazione della prima gravidanza
il 31 agosto 2010 e alla seconda il 27 settembre 2010 (quarto motivo); di
omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le
parti, quale la ritenuta prova dalla Corte territoriale di tempestiva
comunicazione dalla lavoratrice di interruzione della prima gravidanza, di
successivo periodo di malattia e di nuova gravidanza, in base a documentazione
in realtà non contenuta nel documento indicato dalla Corte, in difetto di prova
di alcun invio di comunicazione (quinto motivo); di omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale la ritenuta
prova dalla Corte territoriale di tempestiva comunicazione dalla lavoratrice di
interruzione della prima gravidanza e del successivo periodo dall’1 al 27 settembre
2010, in base a certificazione in realtà ciò non comprovante (sesto motivo); di
omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le
parti, quale la prova ritenuta dalla Corte territoriale di tempestiva
comunicazione dalla lavoratrice di avvio di una nuova gravidanza, in base a
documentazione in realtà ciò non comprovante (settimo motivo); di omesso esame
di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale
la produzione dalla società di prova documentale relativa all’inizio, da parte
della lavoratrice, del piano terapeutico per una nuova procreazione
medicalmente assistita così da rendere inverosimile la circostanza del suo
accesso lo stesso giorno ad un’officina per la manutenzione dell’auto e dell’invio
di un fax alla datrice (ottavo motivo); di violazione e falsa applicazione
degli artt. 2119 c.c., 54, secondo comma d.lgs. 151/2001, 115, 116 c.p.c. ed
omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le
parti, per avere la Corte territoriale erroneamente escluso che la società
datrice abbia provato la falsità dei rapporti di invio dei fax dell’1 e del 27
settembre 2010, assumendo che la lavoratrice, “in caso di necessità di
comunicazione con la propria azienda”, sarebbe stata “solita recarsi” presso il
meccanico Foresi per utilizzarne il fax, per la falsità dell’assunto, neppure
mai dedotto da alcuna delle parti (nono motivo); di violazione e falsa
applicazione degli artt. 2727, 2729 c.c., per erronea applicazione delle presunzioni
(undicesimo motivo); in subordine, di violazione e falsa applicazione degli
artt. 18 l. 300/1970, 1218 c.c., per insussistenza, in assenza di alcun
inadempimento doloso o colposo della società datrice, di una sua responsabilità
né dei presupposti di applicazione di tutele in favore della lavoratrice
(tredicesimo motivo); in subordine, di violazione e falsa applicazione degli
artt. 1227, 1225 c.c., per mancato accoglimento della deduzione di aliunde
perceptum, anche alla luce della non verosimiglianza, secondo le regole di
comune esperienza e di buona fede, dell’impossibilità per la lavoratrice di
reperimento di una nuova occupazione, così diminuendo l’entità del danno
risarcibile, comunque tenuto conto del concorso del suo comportamento nella sua
determinazione; né in ogni caso avendo la Corte territoriale limitato la
responsabilità datoriale alle conseguenze risarcitorie prevedibili alla data
del licenziamento, congruamente determinate nell’interpretazione
giurisprudenziale in un periodo non eccedente il quadriennio da quella data
(quattordicesimo motivo);
11. l’accoglimento del ricorso comporta la
cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di
Bologna, oltre che per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità,
per un nuovo scrutinio probatorio degli elementi documentali suindicati (al
p.to 7.3.), sulla base dei seguenti principi di diritto: “l’errore di
percezione, che riguardi la ricognizione del contenuto oggettivo della prova,
qualora investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le
parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., per
violazione dell’art. 115 del medesimo codice, il quale vieta di fondare la
decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte; ed
esso integra un travisamento della prova, perché implica non già una
valutazione dei fatti, bensì una constatazione o un accertamento che quella
informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno
specifico atto processuale”; “costituisce contestazione del valore probatorio
della riproduzione meccanica, ai sensi dell’art. 2712 c.c. (e non
disconoscimento di conformità della fotocopia di scrittura all’originale, ai
sensi dell’art. 2719 c.c., in ordine alla contestazione di un documento
prodotto in copia, in modo chiaro e circostanziato – e non con clausole di
stile e generiche o onnicomprensive, a pena di inefficacia – attraverso
l’indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli
aspetti per i quali si assume differisca dall’originale), quella di un atto
mediante il servizio telefax, che formi piena prova dei fatti o delle cose
rappresentate, se colui contro il quale sia prodotta non ne disconosca la
conformità ai fatti o alle cose medesimi”;
12. l’annullamento della sentenza della Corte
d’appello di Ancona, oggetto del giudizio di revocazione con il giudizio
rubricato a R.G. n. 8289/2021, riunito a quello rubricato a R.G. n. 2569/2020,
comporta l’inammissibilità, logicamente conseguente, del ricorso per
revocazione per sopravvenuto difetto d’interesse, con la compensazione delle
spese di tale giudizio tra le parti ed esclusione del raddoppio del contributo
unificato (Cass. 10 febbraio 2017, n. 3542; Cass. 20 luglio 2021, n. 20697).
P.Q.M.
Dispone la riunione del giudizio R.G. n. 8289/2021
al presente giudizio R.G. n. 2569/2020;
Accoglie il ricorso introduttivo della causa R.G. n.
2659/20; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle
spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Bologna; dichiara
inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse il ricorso introduttivo
della causa R.G. n. 8289/21, compensando tra le parti le spese del giudizio.