Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 settembre 2022, n. 25837
Licenziamento, Operatore specializzato customer care,
Illegittime visualizzazioni del traffico telefonico di clienti, Inosservanza
della procedura aziendale, Lesione del vincolo fiduciario, Esclusione
Rilevato che
1. R.A. ha agito in giudizio nei confronti di C.
s.p.a. per ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento per
giusta causa intimatole l’8.8.2008 e le tutele di cui all’art. 18, legge n. 300
del 1970.
2. Alla lavoratrice, inquadrata nel V livello del
CCNL di settore con qualifica di operatore specializzato customer care, erano
state contestate n. 135 illegittime visualizzazioni di alcuni clienti, eseguite
nell’arco di due mesi e senza indicazione del motivo.
3. Il Tribunale di Napoli ha accolto la domanda e
dichiarato illegittimo il licenziamento, condannando la società alla reintegra
e al risarcimento del danno. La Corte d’appello, con sentenza n. 941/201, ha
rigettato l’impugnazione di C. s.p.a.
4. A fondamento della decisione i giudici di appello
hanno evidenziato, dopo avere riprodotto il contenuto delle deposizioni
testimoniali raccolte in primo grado, che: 1) seppure non era dato dubitare sul
verificarsi dei fatti nella loro materialità -e cioè le n. 135 visualizzazioni
riferibili all’account della A., effettuate senza l’indicazione del
“motivo del contatto”- altrettanto non poteva affermarsi sulla
effettiva obbligatorietà della rigida osservanza della procedura aziendale come
invece dedotto dalla società in sede di contestazione; 2) l’atteggiamento
datoriale in un certo senso tollerante della prassi suddetta escludeva che il
comportamento tenuto dalla A. avesse potuto incrinare in modo irrimediabile il
vincolo fiduciario con conseguente improcrastinabile interruzione del rapporto
di lavoro; 3) il provvedimento espulsivo, pertanto, difettava della giusta
causa e, comunque, non era proporzionato alla condotta contestata risultando
sicuramente svilita la intenzionalità della dipendente; 4) non era stata fornita,
nel caso in esame, la prova dell’aliunde perceptum.
5. Con sentenza n. 14319 del 2017, la Corte di
Cassazione ha accolto i primi due motivi del ricorso proposto dalla società
(con cui era stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119
c.c., in relazione agli artt. 1175, 1375, 2104 e 2105 c.c., nonché dell’art. 48
c.c.n.l. di settore), ritenendo assorbito il terzo motivo (con cui era stata
denunciata l’omessa motivazione in ordine alla “limitata possibilità per la
dipendente, quale addetta al Reparto Credito, di accedere alla visualizzazione
del Dettaglio chiamate, (accesso che) le era espressamente precluso tranne
l’eccezionale e residuale caso della visualizzazione delle lavorazioni
attinenti al traffico GPRS”), ed ha cassato con rinvio la sentenza d’appello.
6. La S.C. ha ritenuto che la sentenza d’appello non
avesse correttamente individuato e applicato il parametro normativo della
giusta causa e le relative specificazioni inerenti il vincolo fiduciario ed ha
statuito quanto segue: “12. Ed invero la Corte distrettuale non ha valutato -ai
fini di ritenere se vi fossero le condizioni circa la prosecuzione anche
provvisoria del rapporto di lavoro- che l’esistenza di una prassi tollerata,
sulla inosservanza della procedura aziendale in ordine alle visualizzazioni del
traffico telefonico degli utenti senza la indicazione dei motivi del contatto,
andasse comunque indagata con la peculiare esistenza dei fatti storici del caso
in concreto e, cioè, con la circostanza che delle n. 135 visualizzazioni, ben
123 riguardavano sempre gli stessi tre numeri telefonici. 13. Essendo, sotto il
profilo logico, poco plausibile che quasi tutti i contatti della A. fossero
limitati, nell’arco di due mesi, solo a tre clienti, andava analizzato se
l’inosservanza della procedura fosse stata determinata da mere logiche di
velocizzazione delle operazioni ovvero da violazioni degli obblighi di fedeltà
e diligenza, tanto più che i giudici del merito non hanno considerato che, per
gli stessi fatti, la dipendente era stata rinviata a giudizio dal GIP del
Tribunale di Napoli per il reato di cui all’art. 617 c.p., assumendo un
comportamento contrario al disposto dell’art. 48 par. B) del CCNL
Telecomunicazioni che prevede il licenziamento per giusta causa in relazione al
comportamento del dipendente che “provochi all’azienda grave nocumento
morale e materiale o che compia, in connessione con lo svolgimento del rapporto
di lavoro, azioni che costituiscano delitto a termini di legge”. 14. Si
imponeva, pertanto, di verificare se la fiducia (quale specificazione del
parametro normativo sopra indicato ai fini della giusta causa del recesso ex
art. 2119 cc) fosse stata posta in discussione dal comportamento della A., sia
per il vistoso rilievo che tale elemento assumeva per le funzioni svolte dalla
lavoratrice e per il potere discrezionale in ordine alla possibilità di
accedere alla visualizzazione del traffico telefonico (il tutto accentuato
proprio da una prassi permissiva che si era venuta ad instaurare nella
organizzazione del lavoro), sia per avere esposto il datore di lavoro al
rischio, nei confronti degli utenti, della violazione dei diritti di
riservatezza e segretezza”.
7. La Corte d’appello di Roma, giudicando in sede di
rinvio, ha confermato la statuizione di primo grado di illegittimità del
licenziamento intimato alla A..
8. La Corte di rinvio ha premesso che alla
lavoratrice era stato contestato di aver effettuato visualizzazioni di dettagli
di chiamate non rientranti tra le sue mansioni di addetta al reparto Credito
Collection e, comunque, senza rispettare le procedure aziendali; che, secondo
quanto precisato da C. s.p.a., le funzioni della A. di “analista crediti
individui” non prevedevano affatto la visualizzazione dei dati di traffico
telefonico dei clienti V., fatta eccezione per le lavorazione attinenti al
traffico GPRS.
9. Poste tali premesse, i giudici di rinvio hanno
accertato, in base agli elementi di prova in atti:
che le funzioni di “analista crediti individui” non
erano svolte dalla lavoratrice in maniera esclusiva; che le visualizzazioni
contestate erano state eseguite nell’ambito della ordinaria e concorrente
attività di operatore telefonico, pure svolta dalla lavoratrice; che, in
relazione al periodo di riferimento temporale (due mesi), il numero delle visualizzazioni
non era affatto abnorme, considerato che, in base alle deposizioni
testimoniali, ogni operatore riceveva nell’arco di un turno circa 150/200
telefonate e che anche per le chiamate out bound (in uscita) poteva essere
necessario procedere a visualizzazioni, come ammesso dalla stessa società; che
nel caso di specie le visualizzazioni avevano riguardato per la quasi totalità
(123 su 135) soltanto tre utenze intestate rispettivamente a R.F. (75
visualizzazioni), a U.A.(34 visualizzazioni) e a L.R. (14 visualizzazioni);
che, dalle risultanze istruttorie in sede penale (i verbali delle deposizioni
testimoniali e la sentenza penale di primo grado, formati successivamente alla
definizione del giudizio di appello dinanzi alla Sezione lavoro, erano acquisibili
nel giudizio di rinvio; il procedimento penale si era concluso in primo grado
con sentenza di assoluzione della lavoratrice dal reato di cui all’articolo 615
ter, comma 2 n. 1 c.p.c., perché il fatto non sussiste) era emerso che per le
utenze riferibili al R. (utilizzatore anche dell’utenza intestata a U.A.) vi
era la specifica autorizzazione dello stesso alle visualizzazioni del dettaglio
di chiamate e che per le residue utenze le visualizzazioni erano risultate
compatibili con le procedure aziendali; che, considerato che la telefonata
doveva avere una durata massima di tre minuti, non era infrequente che su una
stessa utenza vi fossero in un ristretto arco temporale una pluralità di
contatti; che, in definitiva, la visualizzazione del dettaglio chiamate era una
modalità di gestione delle telefonate in bound rientrante nell’ambito di
operatività del reparto crediti e non integrava una condotta illecita, se non
in caso di visualizzazione senza autorizzazione dell’utente o per finalità
estranee al servizio, e che l’omessa indicazione del motivo di visualizzazione
costituiva pacificamente una prassi tollerata.
10. La sentenza impugnata ha escluso che la condotta
della lavoratrice potesse integrare la fattispecie disciplinare di cui all’art.
48 lett. B c.c.n.l. per il personale dipendente da imprese di telecomunicazioni
(secondo cui è punibile con il licenziamento senza preavviso il lavoratore che
“provochi all’azienda grave nocumento morale o materiale o che compia, in
connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, azioni che costituiscono
delitto”) atteso che nella specie non era stato allegato e dimostrato alcun
nocumento effettivo ai danni della società e che, parimenti, non era emersa una
condotta della lavoratrice avente rilievo penale (circostanza che trovava
conferma nella assoluzione pronunciata con sentenza penale di primo grado). Ha
quindi ritenuto non configurabile una condotta idonea a recidere il vincolo
fiduciario e ad integrare una giusta causa di recesso e, neppure, una condotta
inadempiente costituente giustificato motivo soggettivo di recesso.
11. Avverso tale sentenza C. s.p.a., ha proposto
ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. R.A. ha resistito con
controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art.
380 bis.1 cod. proc. civ.
Considerato che
12. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 394 cod. proc. civ., anche in relazione all’art. 384
cod. proc. civ., per non essersi il giudice di rinvio attenuto ai presupposti
di fatto implicitamente accertati nella sentenza rescindente.
13. Premesso che la sentenza rescindente vincola il
giudice di rinvio non solo in ordine ai principi di diritto in essa affermati
ma anche in relazione ai presupposti di fatto che costituiscono le premesse
logico giuridiche della pronuncia di annullamento, la parte ricorrente censura
la sentenza impugnata per avere, non solo trascurato i presupposti di fatto
implicitamente accertati nella sentenza rescindente, ma anche svolto
un’indagine di merito ulteriore rispetto ad essi.
I presupposti di fatto su cui era implicitamente
basata la sentenza di legittimità comprendevano:
l’inosservanza della procedura aziendale, il vistoso
rilievo che il comportamento della lavoratrice assumeva per le funzioni dalla
stessa svolta e per il potere discrezionale in ordine alla possibilità di
accedere alla visualizzazione del traffico telefonico, l’esposizione del datore
di lavoro al rischio di violazione dei diritti di riservatezza e segretezza
degli utenti, la scarsa plausibilità logica dell’essere quasi tutti i contatti
della lavoratrice limitati, nell’arco di due mesi, a solo tre clienti. Di tali
presupposti fattuali la Corte di rinvio non avrebbe tenuto conto, procedendo ad
ulteriori accertamenti in fatto sia sulla inosservanza della procedura e sia
sulle modalità di esecuzione della prestazione.
14. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta, ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 394 cod. proc. civ., sotto il profilo dell’ampliamento
dell’indagine di merito.
15. Posto che la sentenza rescindente ha accolto i
primi due motivi di ricorso per violazione di norme di diritto, si assume che
il giudice di rinvio avrebbe dovuto astenersi dal valutare fatti nuovi e dal
porre tali fatti a fondamento della decisione; che, al contrario, la sentenza
impugnata ha esteso l’indagine di merito, introducendo elementi non trattati
nel primo giudizio di appello né indicati dalla Suprema Corte tra i presupposti
di fatto in relazione ai quali avrebbe dovuto trovare applicazione il principio
di diritto enunciato ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ.
La Corte di rinvio ha introdotto il tema della
asserita autorizzazione alla visualizzazione del traffico telefonico da parte
dei titolari delle utenze, conducendo peraltro questa indagine sui verbali
delle testimonianze e sulla sentenza penale di primo grado, documenti estranei
al precedente giudizio di appello.
16. I primi due motivi, da esaminare unitariamente
perché logicamente connessi, sono infondati.
17. Occorre considerare che la Corte di Cassazione,
con la sentenza n. 14319 del 2017, ha accolto i primi due motivi, sulla
violazione del 2119, 2014, 2105 cc. e dell’art. 48 c.c.n.l., ed ha ritenuto
assorbito il terzo motivo con cui la società aveva eccepito “la nullità della
sentenza (art. 360 n. 4 cpc) in ragione dell’omessa motivazione in ordine alla
limitata possibilità per la dipendente, quale addetta al Reparto Credito, di
accedere alla visualizzazione del “Dettaglio chiamate”. Sostiene che
i giudici di merito avevano omesso di valutare che la A., che aveva funzioni di
“Analista Crediti Individui”, non era tenuta nello svolgimento delle
sue mansioni a visualizzare i dati di traffico telefonico dei clienti V. e ciò,
anzi, le era espressamente precluso tranne l’eccezionale e residuale caso della
visualizzazione delle lavorazioni attinenti al traffico GPRS”.
18. La sentenza di cassazione non conteneva un
accertamento sul concreto contenuto delle mansioni svolte dalla lavoratrice e
sulla possibilità o sul divieto, in base alle mansioni svolte, di visualizzare
i dati di traffico dei clienti. Nel ritenere assorbito il terzo motivo la Corte
di cassazione ha rimesso l’accertamento sul punto al giudice di rinvio.
19. Come statuito da questa S.C. (v. Cass. n. 27337
del 2019), il ricorso per cassazione avverso la sentenza pronunciata in sede di
rinvio, diretto a denunciare la mancata osservanza del principio di diritto
fissato con la pronuncia di annullamento, od il mancato assolvimento dei
compiti con essa affidati, implica il potere-dovere della suprema Corte di
interpretare direttamente il contenuto e la portata della propria precedente
statuizione” (Cass. n. 2020 del 1981; Cass. n. 5567 del 1982; Cass. n.
19212 del 2005; Cass. n. 9395 del 2006).
I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio
sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso
per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di
motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e
per l’altra ragione (Cass. n. 12817 del 2014). Nella prima ipotesi, il giudice
è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, al
principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità
di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo
(Cass. n. 12347 del 1999; Cass. n. 5769 del 1999; Cass. n. 188 del 1994; Cass.
n. 3572 del 1987); nella seconda ipotesi, invece, egli non solo può valutare
liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai
fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in
sostituzione di quella cassata; nella terza ipotesi, infine, la potestas
iudicandi del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del
principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già
acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita
in base alle direttive impartite dalla Corte di Cassazione e sempre nel
rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse (Cass. n. 6707 del 2004).
20. Nella fattispecie oggetto di causa, è vero che
la sentenza rescindente ha accolto due motivi di ricorso formulati in termini
di violazione di legge, e specificamente della clausola generale di cui
all’art. 2119 cod. civ., ma la stessa sentenza ha parimenti segnalato la
necessità di indagare su alcuni elementi fattuali rilevanti ai fini della integrazione
del parametro normativo della giusta causa. La citata sentenza (punti 12 e 13),
dopo aver richiamato il paradigma normativo della giusta causa ed anche i fatti
storici accertati (cioè la prassi delle visualizzazioni del traffico telefonico
degli utenti senza la indicazione dei motivi del contatto e il dato per cui
delle n. 135 visualizzazioni, ben 123 riguardavano gli stessi tre numeri
telefonici), ha ritenuto che fosse necessario analizzare se, alla luce dei
suddetti elementi, l’inosservanza della procedura potesse rivelare una
violazione degli obblighi di fedeltà e diligenza, tenuto anche conto del rinvio
a giudizio in sede penale, oppure rispondesse unicamente a logiche di
velocizzazione delle operazioni. Alternativa quest’ultima che, evidentemente,
la Corte di Cassazione ha ritenuto non accertata e non valutata dalla Corte
d’appello e tale omissione rilevante ai fini della corretta sussunzione della
fattispecie concreta in quella astratta di cui all’art. 2119, anche in
relazione all’art. 48 del c.c.n.l.
21. Il giudice di rinvio si è mosso in questo
binario segnato dalla S.C., ha valutato il materiale istruttorio già raccolto
(le deposizioni dei testi M.G., D. e D., pag. 6-7 sentenza rescissoria) e ha
acquisito gli atti del procedimento penale svolto contro la lavoratrice,
ritenendo ammissibile la relativa produzione per un duplice ordine di ragioni:
perché si trattava di atti formati dopo la prima sentenza d’appello (si dà atto
che in primo grado la lavoratrice aveva depositato la richiesta di archiviazione
non accolta e il successivo decreto di rinvio a giudizio) e perché comunque
decisivi. Ciò in coerenza con i principi affermati da questa Corte secondo cui
il carattere “chiuso” del giudizio di rinvio non osta a che in esso
le parti possano depositare documenti formati successivamente al deposito del
ricorso in riassunzione ex art. 392 cod. proc. civ. o che non sia stato
possibile produrre prima per causa di forza maggiore (v. Cass. n. 12633 del
2014; n. 21587 del 2009) e salvo l’esercizio, in sede di rinvio, dei poteri
istruttori esercitabili d’ufficio dal giudice del lavoro anche in appello (art.
437 cod. proc. civ.), limitatamente ai fatti già allegati dalle parti, o
comunque acquisiti al processo ritualmente, nella fase processuale antecedente
al giudizio di cassazione, in quanto i limiti all’ammissione delle prove
concernono l’attività delle parti e non si estendono ai poteri del giudice, ed
in particolare a quelli esercitabili di ufficio (v. Cass. n. 900 del 2014; n.
3047 del 2006).
22. In base all’esame di tali complessivi elementi
di prova, la Corte di rinvio ha ritenuto che il dato delle 123 visualizzazioni
per tre clienti in due mesi fosse spiegabile in ragione delle concrete mansioni
svolte dalla lavoratrice, non solo di “analista crediti individui” ma anche di
operatore telefonico (aspetto che era oggetto del terzo motivo di ricorso in
cassazione della società, ritenuto assorbito), come desunto dalle deposizioni
raccolte dinanzi al Tribunale in funzione di giudice del lavoro, e che le visualizzazioni
molteplici per uno stesso cliente fossero autorizzate dai clienti stessi (dal
Ricciardi in particolare) e giustificate dalla organizzazione del lavoro che
consentiva telefonate non più lunghe di tre minuti, con necessità quindi di
plurimi e ripetuti contatti e visualizzazioni (elementi questi desunti dai
verbali di prova del processo penale).
23. La Corte di rinvio non si è quindi “svincolata”
dalla sentenza rescindente, come sostiene la società, ma si è attenuta ai
confini del giudizio rescissorio e alle specifiche direttive della S.C.
24. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta, ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 2119 cod. civ., anche in relazione agli artt. 384 e 394
cod. proc. civ.
25. Si sostiene che la Corte di Cassazione aveva
demandato al giudice di rinvio di “verificare se la fiducia (quale
specificazione del parametro normativo sopra indicato ai fini della giusta
causa del recesso ex articolo 2119 cod. civ.) fosse stata posta in discussione
dal comportamento della A., sia per il vistoso rilievo che tale elemento
assumeva per le funzioni svolte dalla controricorrente e per il potere
discrezionale in ordine alla possibilità di accedere alla visualizzazione del
traffico telefonico […], sia per aver esposto il datore di lavoro al rischio,
nei confronti degli utenti, di violazione dei diritti di riservatezza e
segretezza; che il giudice del rinvio avrebbe dovuto valorizzare le indicazioni
date dalla Suprema Corte sulle funzioni svolte dalla lavoratrice, sul potere
discrezionale di accedere alla visualizzazione del traffico telefonico e sulla
esposizione del datore di lavoro al rischio di violazione dei diritti degli
utenti; che il giudice di rinvio aveva invece omesso di considerare che la
lavoratrice era stata nominata incaricata del trattamento dei dati personali
dei clienti V., era dotata di accesso discrezionale ai sistemi di
visualizzazione del traffico telefonico dei clienti ed aveva esposto la società
al rischio di lesione dei diritti di riservatezza e segretezza degli utenti;
che la Corte di rinvio aveva omesso di verificare il presupposto della fiducia,
come declinato dalla sentenza rescindente, alla luce “delle mansioni, del grado
di affidamento che queste esigono” e in relazione “alla sua portata oggettiva e
soggettiva, alle circostanze, ai motivi, alla natura e all’intensità
dell’elemento psicologico”. In particolare, si assume che la Corte di appello
abbia omesso di considerare l’intensità dell’elemento intenzionale, nel caso di
specie elevata atteso che la lavoratrice nell’arco di soli due mesi ha
effettuato ben 135 visualizzazioni del dettaglio chiamate, in violazione delle
procedure aziendali e in relazione a soli tre clienti; nonché il grado di
affidamento richiesto dalle mansioni e dalla nomina di incaricato al
trattamento dei dati sensibili dei clienti V..
26. Il motivo non può trovare accoglimento.
Premesso che la sentenza impugnata non contiene
alcun accertamento sulla nomina della lavoratrice quale incaricata del trattamento
dei dati personali dei clienti, comunque la Corte di rinvio, nell’applicare il
principio di diritto enunciato, ha svolto una valutazione globale delle
risultanze istruttorie, escludendo che le visualizzazioni multiple fossero non
solo illecite ma anche sintomatiche di negligenza o infedeltà e tale
valutazione di merito non è censurabile in questa sede di legittimità.
27. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta, ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 48 c.c.n.l. Telecomunicazioni, anche in relazione agli
artt. 384 e 394 cod. proc. civ.
28. Si afferma che la Corte di Cassazione aveva
richiesto di verificare se il comportamento tenuto dalla lavoratrice fosse
stato determinato da violazione degli obblighi di fedeltà e diligenza e che
tale accertamento avrebbe dovuto essere eseguito anche tenendo conto del fatto
che “la dipendente era stata rinviata a giudizio dal gip del tribunale di
Napoli”, circostanza che già di per sé, indipendentemente dagli esiti del
procedimento, implicava anche per la Suprema Corte che la predetta avesse posto
in essere un comportamento contrario all’articolo 48 par. B del c.c.n.l.
applicato; che la Corte di rinvio aveva invece seguito una propria linea
decisionale, senza svolgere alcuna argomentazione sul disposto rinvio a
giudizio e senza considerare l’idoneità di tale circostanza ad integrare la
previsione di cui all’art. 48 cit., essendo irrilevante quanto dichiarato dal
giudice di rinvio sull’esito del procedimento penale, data l’autonomia dello
stesso rispetto al procedimento civile e considerato che la sentenza di
assoluzione pronunciata in primo grado era stata impugnata dal Procuratore
Generale presso la Corte d’appello di Napoli.
29. Neppure questo motivo può essere accolto in
quanto la Corte di rinvio ha preso in esame gli atti del procedimento penale e
la sentenza non definitiva ivi pronunciata come meri elementi di prova, che ha
valutato unitamente agli altri dati
probatori raccolti nel processo del lavoro.
L’assunto di parte ricorrente, secondo cui il rinvio
a giudizio in sede penale fosse idoneo di per sé ad integrare la fattispecie di
cui all’art. 48 del c.c.n.l. non trova alcun riscontro nella sentenza
rescindente. La Corte di rinvio ha preso in esame l’art. 48 cit., ha ritenuto
che lo stesso presupponesse un danno effettivo e non meramente potenziale e che
la fattispecie legittimante il licenziamento non era integrata per la mancata
prova di un danno effettivo, non allegato e non dimostrato dalla società
datoriale.
30. Con il quinto motivo di ricorso è dedotto, ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., il travisamento delle
risultanze processuali con riferimento a fatti ritenuti decisivi dalla Corte
d’appello di Napoli.
31. Si sostiene che il giudice di rinvio abbia posto
a base della decisione argomenti contraddetti dagli atti processuali (e
specificamente dalle deposizioni dei testi D., G. e D.), là dove ha ritenuto
che la lavoratrice svolgesse, oltre alla mansione di analista crediti individuali,
anche l’ordinaria attività di operatore telefonico.
32. La censura è inammissibile perché investe la
valutazione delle prove testimoniali e sollecita una revisione del ragionamento
decisorio non consentita in questa sede di legittimità.
33. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere
respinto.
34. La regolazione delle spese segue il criterio di
soccombenza.
35. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R.
n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del
giudizio di legittimità che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, €
200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori
come per legge, da distrarsi in favore dell’avv. E. M. Cirillo, antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.