Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 settembre 2022, n. 32461
Infortunio sul lavoro, Reato di lesioni personali,
Responsabilità del datore, Sussistenza
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 24 luglio 2021 la Corte
d’appello di Ancona ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Macerata
con sentenza in data 18.9.2018 aveva ritenuto B. S. colpevole del reato di cui
all’art. 590 cod. pen. perché, in qualità di
legale rappresentante della ditta C. s.r.l. e datore di lavoro, causava a C. R.
lesioni personali gravi con durata della malattia per un tempo superiore ai
quaranta giorni e lo aveva condannato alla pena di euro 2000,00 di multa.
I fatti in sintesi come ricostruiti nelle due
sentenze di merito sono i seguenti:
in data 10.1.2013 C. R., dipendente della C. s.r.I.,
al fine di effettuare rilevi metrici per l’installazione dei pannelli
fotovoltaici su strutture agricole della S. s.p.a. e dell’azienda agricola L.C.
di Tolentino, dopo essersi posto all’interno della piattaforma sviluppabile ed
azionando i comandi del mezzo per raggiungere l’altezza dei fabbricati, veniva
a contatto con la linea media dell’alta tensione posta sulla linea verticale
del mezzo rimanendo folgorato con conseguenti lesioni personali gravi
(elettrocuzione con carbonizzazione dell’arto superiore sinistro, del capo e
dell’arto superiore destro) con durata per un tempo superiore ai quaranta
giorni.
Il primo giudice aveva ritenuto la penale
responsabilità dell’imputato sulla base delle dichiarazioni della persona
offesa, della documentazione medica e delle dichiarazioni rese dai testimoni;
detto impianto accusatorio trovava piena conferma nella sentenza di secondo
grado.
2. Avverso la pronuncia d’appello l’imputato, a
mezzo del difensore, propone ricorso per cassazione articolato in tre motivi.
Con i primo deduce la nullità della sentenza ex art. 606, comma 1, lett. e) per mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nonché per travisamento
della prova e omessa motivazione.
Deduce la palese errata rappresentazione da parte
della Corte di una serie di dati istruttori.
Con il secondo motivo deduce la nullità della
sentenza ex art. 606 comma 1, lett. b) e c) cod.
proc.pen. per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e
delle norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione agli artt. 521 e 522 cod.
proc. pen.
Assume che la Corte territoriale ha ravvisato la
responsabilità del B. anche per il fatto di non aver affiancato al C. un altro
dipendente per eventuali manovre di emergenza da terra, addebito mai contestato
al ricorrente con conseguente lesione del diritto di difesa.
Con il terzo motivo deduce la nullità della sentenza
ex art. 606 comma 1, lett. e) cod. proc. pen.
per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Travisamento ed omessa motivazione per avere la Corte territoriale ritenuto
priva di rilievo la circostanza che il C. fosse responsabile della sicurezza
nei cantieri.
3. Il Procuratore generale presso la Corte di
cassazione ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
1.1. Il ricorso è nel suo complesso inammissibile in
quanto le censure svolte ripropongono questioni già oggetto dei motivi di
appello ed appaiono formulate in modo non specifico e dirette ad ottenere una
rivalutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione,
operazione preclusa dinanzi al giudice di legittimità, a maggior ragione ove si
versi, come nel caso di specie, in ipotesi di c.d. doppia conforme
1.2. In ogni caso esaminando partitamente le singole
censure, la prima è inammissibile.
Va precisato che il vizio di travisamento della
prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta
“doppia conforme”, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per
rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati
probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del
merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie
acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini
inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di
entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel
contraddittorio delle parti. (Sez. 4, n. 35963 del 3.12.2020, Tassoni, Rv.
280155).
Nella specie, la doglianza, richiamando tanto tale
ipotesi quanto le altre che involgono un vizio di motivazione, di fatto
sollecita una rilettura e quindi una diversa interpretazione delle risultanze
istruttorie (allegando a tal fine ampi stralci dei verbali di udienza del
processo di primo grado) con particolare riguardo alle testimonianze rese in
ordine alla circostanza che il C. era convinto che la S. s.p.a. o l’Azienda
Agricola L.C. avessero chiesto il fuori servizio in quanto consapevoli che egli
doveva effettuare misurazioni in prossimità dei cavi della linea elettrica.
Parimenti inammissibile appare la doglianza in punto
di omesso apprezzamento delle risultanze della consulenza tecnica di parte,
avendo la Corte di Appello dato conto in sentenza in modo logico e consequenziale
delle ragioni per le quali esse non erano condivisibili.
2.2. Manifestamente infondato è anche il secondo
motivo di ricorso.
Ed invero in tema di reati colposi, non sussiste la
violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se la
contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo
consentito al giudice di aggiungere, agli elementi di fatto contestati, altri
estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti
dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del
diritto di difesa (Sez. 4, n. 7940 del 25.11.2020, Chiappalone, Rv. 280950;
Sez. 4, n. 18390 del 15.2.2018, P.C. in proc. Di Landa, Rv. 273265).
Nella specie l’ulteriore profilo colposo riguardante
il fatto che il B. non abbia affiancato al C. un altro dipendente dell’azienda
per eventuali manovre di emergenza da terra non realizza diversità o
immutazione del fatto contestato ma si colloca nell’ambito dell’originaria
contestazione.
3.3. Manifestamente infondato è anche il terzo
motivo.
Ed invero con motivazione logica ed immune da aporie
logiche la Corte territoriale ha ritenuto che l’odierno imputato in qualità di
datore di lavoro era tenuto ad approntare le misure di prevenzione e di
protezione affinchè gli impianti avessero i requisiti per proteggere i
lavoratori dal c.d. rischio elettrico ossia il rischio derivante dal contatto
diretto o indiretto con una parte attiva di un impianto elettrico.
Né, come correttamente rilevato dalla Corte d’appello,
tale giudizio può essere scalfito dal fatto che il C. fosse il responsabile
della sicurezza del cantiere, considerato che tale ruolo non andava ad elidere
la responsabilità facente capo al datore di lavoro il quale oltre a dover
valutare che sopra il cantiere vi era una linea elettrica dell’azienda
municipalizzata avrebbe dovuto predisporre le misure idonee in relazione a tale
specifico rischio.
In conclusione il ricorso manifestamente infondato
va dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa
delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila
in favore della Cassa delle ammende.