Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 settembre 2022, n. 26199
Licenziamento per giusta causa, Rifiuto di sottoporsi a
visita medica diretto a contrastare illegittimo demansionionamento,
Illegittimità, Proporzionalità della sanzione
Rilevato che
1. La Corte di appello di Bologna, con la sentenza
n. 701/2019, in riforma della pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede
ha rigettato l’impugnativa del licenziamento, intentata da A.L.G., irrogato
dalla M.F.M. spa (ora R. spa), di cui era stata dipendente dall’1.11.2004 con
mansioni di impiegata amministrativa livello 4°.
2. Il recesso era stato adottato, con missiva del
3.10.2017, per giusta causa con riferimento alla lettera di contestazione
disciplinare del 20.9.2017 in cui le era stato ascritto di essersi rifiutata di
effettuare la visita medica nelle giornate del 12.9.2017 e del 19.9.2017.
3. La Corte territoriale, a fondamento della
decisione, ha rilevato che il duplice rifiuto opposto dalla lavoratrice a
sottoporsi a visita medica configurava una grave insubordinazione, in quanto
tale sanzionabile con il licenziamento senza preavviso, rientrando tra i
doveri, previsti dal D.Ivo n. 81/08 del
dipendente, quello di sottoporsi ai controlli sanitari previsti nel detto
decreto o comunque disposti dal medico competente; ha sottolineato che non
poteva condividersi l’assunto della lavoratrice, secondo cui il proprio rifiuto
era diretto a contrastare un illegittimo demansionamento, perché si trattava di
visita medica prevista per legge il cui esito non avrebbe pregiudicato le
possibili difese sia in ordine al cambiamento di mansioni sia in prospettiva di
un eventuale licenziamento paventato a seguito di un giudizio medico di
inidoneità; che il provvedimento irrogato era poi proporzionato in relazione
alla condotta contestata e dimostrata.
4. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto
ricorso per cassazione A.L.G. affidato a tre motivi cui ha resistito con
controricorso la R. spa (già M.F.M. spa).
5. Le parti hanno depositato memorie.
Considerato che
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 41 comma 2 lett. d) D.Igs. n.
81/2008, nonché la violazione degli artt. 7 legge n. 300/1970, 2119 cc, 112 e 345 cpc, ai sensi dell’art.
360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte distrettuale erroneamente ammesso,
in sede di appello, l’introduzione di una nuova eccezione (anche fattuale e in
quanto tale non rilevabile di ufficio) rappresentata dalla circostanza che essa
lavoratrice era rientrata da un lungo periodo di inattività, mai dedotta in
precedenza ed espressamente contestata.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione
degli artt. 20 e 41 del D.Igs. n. 81/2008, 5 e 13 della legge n. 300 del 1970,
dell’art. 32 della Carta Costituzionale e 3 della Carta di Nizza. Sostiene la
dipendente che la Corte distrettuale: a) non aveva riformato l’accertamento
compiuto dal primo giudice relativamente al fatto di adibire un’impiegata
apicale di concetto a mansioni di operaia pulitrice; b) non aveva svolto alcuna
esegesi del dato normativo, limitandosi alla mera trascrizione dell’art. 41 D.Ivo n. 81/08; c) non
aveva valutato la reale richiesta di tutela del bene della vita invocato da
essa lavoratrice ed i motivi della sua effettiva condotta; aveva ritenuto
vagliabile solo la tutela di beni futuri; d) aveva violato le denunciate
disposizioni di legge omettendo di considerare che ciò che faceva nascere in
capo al datore di lavoro il potere di sottoporre a visita il dipendente era
solo il potere/dovere di appurare l’idoneità dello stesso alle mansioni che
aveva svolto o che avrebbe potuto svolgere in futuro in base a legge o a contratto.
Conclude, quindi, nel contestare la gravata sentenza
nella parte in cui è stato ritenuto ingiustificato il rifiuto alla
sottoposizione ad una visita medica solo per la propedeuticità della stessa
alla assunzione di un incarico asseritamente demansionante.
4. Con il terzo motivo la ricorrente si duole, ai
sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, della violazione
degli artt. 1460 e 2119
cc, nonché dell’art. 3
della legge n. 604/1966, con riferimento al principio di proporzionalità,
per inosservanza del processo logico-giuridico che il giudice deve seguire per
l’accertamento degli effetti della valutazione della idoneità dell’illecito
disciplinare a giustificare il licenziamento, tenuto conto delle circostanze
del caso concreto. Obietta, in particolare l’erronea valutazione complessiva
dei comportamenti di entrambe le parti, l’erronea applicazione del criterio legale
della proporzionalità, la mancata considerazione delle ricadute invasive della
visita medica sulla persona della ricorrente; richiama il diritto alla
riservatezza dei relativi dati biomedici e alla necessaria volontarietà di
qualsivoglia trattamento medico; critica, infine, la gravata sentenza nella
parte in cui non ha ritenuto che sottrarsi alla visita, evitando di dovere
svolgere le mansioni di pulizia, rappresentava per essa lavoratrice l’obbligo
di prendersi cura della propria salute.
5. Il primo motivo è inammissibile.
6. L’impianto decisorio della gravata sentenza è
incentrato sul fatto che, in occasione del cambio di mansioni, era necessario
disporre visita medica onde verificare l’idoneità alla mansione specifica
assegnata, ai sensi dell’art. 41
co. 2 lett. d) D.Igs. n. 81/2008 e che a tale obbligo la lavoratrice si era
rifiutata per due volte, così costituendo il suo comportamento una grave
insubordinazione.
7. Solo per completezza la Corte distrettuale ha
segnalato anche la previsione dell’art.
41 co. 2 lett. b) dello stesso D.Igs., che prevede l’obbligo di controllare
lo stato di salute dei lavoratori, con una periodicità di norma di una volta all’anno
e che, nel caso concreto, tali presupposti apparivano ricorrenti essendo
rientrata la G. al lavoro dopo un lungo periodo di cassa integrazione e
nell’ambito del programma di riorganizzazione concordato con le OOSS per
ricollocare, anche attraverso programmi formativi, le unità in eccedenza.
8. Si tratta, come è agevolmente rilevabile, di una
argomentazione non risolutiva nell’economia decisionale dell’impugnato
provvedimento che ha considerato, invece, determinante il rifiuto della
lavoratrice di sottoporsi alla visita ex lege per il mutamento delle mansioni
perché ritenute dequalificanti.
9. Ne consegue che sono irrilevanti e, quindi,
inammissibili, le censure formulate in relazione alla questione (del rientro in
servizio dopo un lungo periodo di inattività) che non si dimostra decisiva nel
contesto del provvedimento.
10. Il secondo motivo non è fondato.
11. L’art.
41 co. 2 lett. d), per quello che interessa in questa sede, testualmente
prevede che <la sorveglianza sanitaria comprende…. visita medica in
occasione del cambio della mansione onde verificare l’idoneità alla mansione
specifica>.
12. In punto di fatto, nella gravata sentenza si
legge che la G. si era rifiutata due volte di sottoporsi alle due visite
mediche propedeutiche di idoneità, del 12.9.2017 e del 19.9.2017, disposte per
il cambio delle nuove mansioni assegnate (addetta alle pulizie), contestando un
illegittimo demansionamento.
13. Orbene, in punto di diritto, deve rilevarsi che
la visita medica di idoneità in ipotesi di cambio delle mansioni è prescritto
per legge e la richiesta di sottoposizione a visita, da parte del datore di
lavoro, prima della assegnazione alle nuove mansioni, come correttamente
sottolineato dalla Corte distrettuale, non è censurabile e, anzi, è un
adempimento dovuto.
14. Deve, quindi, valutarsi il rifiuto della
lavoratrice perché rivolto a contrastare un illegittimo demansionamento, atteso
che le nuove mansioni erano state ritenute dalla lavoratrice non conformi alla
qualifica rivestita, al proprio percorso professionale e non compatibili con le
condizioni di salute, fosse o meno legittimo.
15. La decisione della Corte di merito, sul punto, è
corretta e va condivisa.
16. Le visite mediche disposte erano preventive e
prodromiche all’assegnazione delle nuove mansioni: l’omissione di dette visite
avrebbe costituito un colposo e grave inadempimento di parte datoriale.
17. Coerentemente è stata disposta, a seguito della
contestazione della lavoratrice, una nuova visita, senza che fossero espletate
le diverse e nuove mansioni; anche a tale visita la lavoratrice non si è, però,
sottoposta.
18. La reazione della G. non è assolutamente
giustificabile ai sensi dell’art. 1460 cc
perché, da un lato, il datore di lavoro si era limitato ad adeguare la propria
condotta alle prescrizioni imposte dalla legge per la tutela delle condizioni
fisiche dei dipendenti nell’espletamento delle mansioni loro assegnate e,
dall’altro, la dipendente avrebbe ben potuto impugnare un eventuale esito della
visita, qualora non condiviso, ovvero l’asserito illegittimo demansionamento,
innanzi agli organi competenti.
19. L’art. 1460 cc,
invocato dall’odierna ricorrente, è applicabile solo in caso di totale
inadempimento del datore di lavoro o in ipotesi di gravità della condotta tanto
grave da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore
medesimo (Cass. n. 836/2018): ipotesi, queste,
escluse dalla Corte di merito con un accertamento in fatto, esente dal vizio di
motivazione ex art. 360 n. 5 cpc (nuova
formulazione) e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 11430/2006).
20. Il terzo motivo è, infine, inammissibile.
21. La giusta causa di licenziamento, che deve
rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del
rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, integra una
clausola generale che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite
valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei
principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che
hanno natura giuridica e a cui disapplicazione è deducibile in sede di
legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della ricorrenza
concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del
giudizio di fatto demandato al giudice del merito e incensurabile in cassazione
se privo di errori logici e giuridici (Cass.
26.4.2012 n. 6498; Cass. n. 5095/2011).
22. Nella fattispecie in esame la ricorrente lamenta
che la Corte di merito non abbia valutato, da un lato, il comportamento delle
parti e, dall’altro, la sproporzione tra la sanzione inflitta rispetto alla
condotta contestata.
23. Si tratta, come è agevole rilevare, di
contestazione di riguardanti non il parametro normativo di cui all’art. 2119 cc, ma la ricorrenza di elementi idonei
a costituire la giusta causa di licenziamento e la proporzionalità della
sanzione che costituiscono accertamenti di fatto devoluti al giudice del merito
il quale, nel caso de quo, con motivazione corretta sul versante logico e
giuridico, e quindi incensurabile in cassazione, ha ritenuto comprovati, sulla
base della ricostruzione dei fatti documentalmente risultante, l’illegittimità
del comportamento omissivo della dipendente, che è peraltro punito anche con
sanzioni penali, e lo scopo della condotta del datore di lavoro, finalizzata
alla prevenzione rispetto alla sicurezza e salubrità nei luoghi di lavoro cui
l’art. 41 del D.Igs. n. 81 del
2008 è improntato.
24. E’ opportuno, infatti, ricordare che, tanto
l’accertamento dell’elemento soggettivo (Cass. n.
1788/2011) quanto il successivo giudizio sulla proporzionalità della
sanzione espulsiva adottata (Cass. n. 26010/2018)
sono demandati all’apprezzamento del giudice di merito che, se sorretto da
adeguata e logica motivazione, è incensurabile in sede di legittimità.
25. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve
essere rigettato.
26. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano
come da dispositivo.
27. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti
processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio
di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13, se
dovuto.