Gli specifici criteri contenuti nell’accordo sindacale per individuare la collocazione dei lavoratori riammessi in servizio presso sedi cd. eccedentarie non esonerano il datore di lavoro dalla prova delle ragioni richieste dall’art. 2013 c.c.
Nota a Cass. (ord.) 24 agosto 2022, n. 25303
Flavia Durval
Il rispetto di precedenti accordi sindacali che prevedano specifici criteri per individuare la collocazione dei lavoratori … riammessi in servizio presso sedi cd. eccedentarie, non vale “(per l’esclusiva indicazione in essi delle procedure da seguire nei processi di riequilibrio dell’organico per gestire gli effetti delle riammissioni in servizio del personale già assunto con contratto a tempo determinato) ad esonerare” il datore di lavoro dalla prova delle ragioni tecniche, produttive ed organizzative legittimanti il singolo trasferimento, ai sensi dell’art. 2103 c.c. (v. Cass. n. 11180/2019, in q. sito con nota di S. GIOIA e Cass. n. 6407/2017), “non potendo l’autonomia collettiva sottrarsi al rispetto di norme inderogabili” con specifico riferimento allo ius variandi (v. Cass. n. 4989/2014).
Questo, il principio ribadito dalla Corte di Cassazione (ord. 24 agosto 2022, n. 25303) in materia di trasferimento di dipendenti postali.
Nel dettaglio, i giudici hanno precisato che:
a) la facoltà del datore di lavoro di disporre, in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, il trasferimento del lavoratore subordinato da un’unità produttiva ad un’altra (ex art. 2103 c.c.) deve “trovare diretta giustificazione esclusivamente in un criterio di gestione aziendale seria e tecnicamente corretta”. Dal canto suo, il giudice non può valutare nel merito le scelte datoriali, potendo solo attuare una verifica circa l’effettiva sussistenza di ragionevoli motivi e il rispetto dei limiti connessi al divieto di atti discriminatori o lesivi della sicurezza, libertà e dignità del lavoratore (Cass. 17 giugno 1991, n. 6832; Cass. 28 aprile 2009, n. 9921; Cass. 2 marzo 2011, n. 5099; Cass. 30 maggio 2016, n. 11126);
b) in caso di trasferimento del lavoratore, adottato in violazione dell’art. 2103 c.c., l’inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa. Ciò, in quanto, vertendosi in ipotesi di contratto a prestazioni corrispettive, trova applicazione il disposto dell’art. 1460, co .2, c.c. In base a tale disposizione, la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico soltanto se tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario alla buona fede (v. Cass. n. 21391/2019; Cass. n. 11408/2018, in q. sito con nota di M.N. BETTINI), “ed essendo l’eccezione di inadempimento ben opponibile anche nei confronti di un’obbligazione accessoria qualora essa abbia un’importanza rilevante, perché essenziale per l’equilibrio sinallagmatico del rapporto e di tale gravità da menomare la fiducia sul corretto adempimento del contratto” (v. Cass. n. 11180/2019);
c) la lavoratrice, con la disponibilità dimostrata a riprendere la prestazione della propria attività presso la sede aziendale di provenienza, presentandosi il giorno della sua riammissione in servizio, ha esattamente applicato l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui “l’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio, a seguito di accertamento della nullità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro, implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività lavorativa deve avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie; a meno che il datore medesimo non intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad un’altra unità produttiva e sempre che il mutamento della sede sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive; essendo configurabile, in mancanza di tali condizioni, una condotta datoriale illecita e nell’inosservanza di tale provvedimento, da parte del lavoratore, l’attuazione di un’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c., oltre che l’improduttività di effetti di un atto nullo” (Cass. n. 14142/2022; e Cass. n. 18721/2016).