Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 settembre 2022, n. 26683
Licenziamento collettivo, Violazione criteri di scelta,
Cessione d’azienda, Reintegra presso la cessionaria, Domanda risarcitoria nei
confronti di procedura concorsuale, Improcedibilità
Rilevato che
1. preliminarmente deve essere disposta la riunione
al presente procedimento di quello n. 30058/2020 ai sensi dell’art. 335 c.p.c.,
trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza;
2. la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma
della sentenza del Tribunale di Civitavecchia di rigetto delle opposizioni
avverso l’ordinanza resa al termine della fase sommaria dal medesimo Tribunale,
ha annullato il licenziamento intimato da C.A.I. (C.A.I.) s.p.a. a F.B. con
comunicazione 31/10/2014 in esito a procedura di licenziamento collettivo;
condannato A.S.A.I. (S.A.I.) s.p.a. in a.s. (in qualità di cessionaria del
compendio aziendale) alla reintegrazione dello stesso nel posto di lavoro;
condannato C.A.I. s.p.a. al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata
all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello
dell’effettiva reintegrazione, comunque non superiore a 12 mensilità, oltre al
versamento dei relativi contributi previdenziali e assistenziali; accertato il
medesimo obbligo in capo ad A. S.A.I. s.p.a. in a.s., in via solidale ed in
qualità di cessionaria ex art. 2112 c.c.;
3. a motivo della decisione, la Corte territoriale
ha ritenuto illegittima l’applicazione dalla datrice C.A.I. s.p.a., nella seconda
procedura di mobilità avviata, dei criteri di scelta previsti in base agli
accordi sindacali del 12 luglio e 24 ottobre 2014, in specifico riferimento al
criterio g (risorsa assegnata a posizione di lavoro in esubero senza
concorrenza con altri lavoratori) senza comparazione con altri lavoratori,
trattandosi di impiegato (V livello CCNL CAI) addetto a funzioni di
archiviazione e gestione documentazione presso la sede di Fiumicino;
4. per tale ragione, la Corte di merito ha annullato
il licenziamento siccome illegittimo e adottato la tutela reintegratoria e
risarcitoria stabilita dal novellato testo dell’art. 18, quarto comma L.
300/1970, applicabile ratione temporis, senza onere per il lavoratore della cd.
prova di resistenza, per la radicale contestazione da parte di C.A.I. s.p.a.
della comparabilità della sua posizione con altre, senza compilazione di alcuna
graduatoria;
5. la Corte romana ha quindi ravvisato, in
conseguenza della disposta reintegrazione ex tunc del lavoratore, il suo
trasferimento alla cessionaria A. S.A.I. s.p.a. in a.s., in applicazione
dell’art. 2112 c.c., come previsto dagli accordi sindacali sul mantenimento,
anche parziale dell’occupazione, a norma dell’art. 47, comma 4-bis, lett. a) l.
428/1990, non essendo da essa opponibile l’esclusione, nell’accordo di cessione
di azienda, dei lavoratori non compresi nell’elenco dei lavoratori trasferiti;
sicché, l’ha ritenuta legittimata passivamente, previo l’accertamento di
effettiva titolarità del rapporto;
6. infatti ha rilevato la contrarietà dell’accordo
del 12.7.2014 in deroga dell’art. 2112 c.c. (per il contrasto dell’art. 47,
comma 4-bis, lett. b, l. 428/1990 con la sentenza CGUE dell’11 giugno 2009),
avendo il lavoratore dedotto l’illegittimità della clausola degli accordi
collettivi che escludevano il trasferimento dei rapporti di lavoro non
ricompresi nell’elenco ad essi allegato;
7. avverso la sentenza C.A.I. s.p.a. ha proposto
ricorso per cassazione con quattro motivi; successivamente pure A. S.A.I.
s.p.a. in a.s. ha proposto ricorso per cassazione (da qualificare pertanto
incidentale, una volta operata la riunione dei procedimenti) con cinque motivi;
il lavoratore ha resistito con controricorso;
8. le parti hanno comunicato memoria ai sensi
dell’art. 380- bis.1 c.p.c.;
Considerato che
1. con il primo motivo C.A.I. s.p.a. deduce
violazione e falsa applicazione degli accordi collettivi del 12 luglio 2014 e
del 24 ottobre 2014, degli artt. 4, 5 L. 223/1991, per avere la Corte
territoriale erroneamente ritenuto l’omessa considerazione datoriale della
fungibilità delle mansioni del lavoratore, anche alla luce delle esperienze
professionali pregresse, disattendendo il contenuto dell’accordo sindacale del
24 ottobre 2014, di determinazione negoziale dei criteri di scelta,
puntualmente indicati e comunicati, con applicazione del criterio sub g, di
posizione di lavoro in esubero senza concorrenza di altri lavoratori, non
comportante alcuna comparazione; dovendosi avere esclusivo riguardo, come
previsto dall’art. 4, terzo comma l. 223/1991, ai “profili professionali” del
personale eccedente, riferiti alle mansioni ultime svolte da ogni lavoratore
nelle varie articolazioni produttive e non già al bagaglio professionale;
2. il motivo è in parte inammissibile ed in parte
infondato;
3. premessa la specificità del motivo, nel rispetto
del principio prescritto dall’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c. (Cass.
30 luglio 2010, n. 17915, con affermazione del principio ai sensi dell’art.
360-bis, primo comma c.p.c.; Cass. 3 gennaio 2014, n. 48; Cass. 10 agosto 2017,
n. 19985), per la puntuale indicazione della sede di produzione dei due accordi
sindacali e la loro adeguata trascrizione della parte relativa ai criteri di
scelta applicati, di essenziale rilievo ai fini della controversia, esso è inammissibile,
nella parte in cui si invoca il n. 3 dell’art. 360 c.p.c. per accordi sindacali
aziendali che non hanno il rango di contratti collettivi nazionali di lavoro,
così come prescritto dalla disposizione richiamata (in controversia analoga:
Cass. 17 agosto 2020, n. 17201);
4. occorre ribadire che la selezione del personale
in esubero deve avvenire sulla base di oggettive esigenze aziendali, tenuto
conto della dotazione di professionalità specifiche, infungibili rispetto alle
altre (Cass. 11 luglio 2013, n. 17177; Cass. 12 gennaio 2015, n. 203; Cass. 1°
agosto 2017, n. 19105; Cass. 11 dicembre 2019, n. 32387; Cass. 6 maggio 2021,
n. 12040: con specifico riguardo alla legittima limitazione della platea dei
lavoratori interessati, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si
riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore
dell’azienda); inoltre, devono essere considerate, qualora il lavoratore ciò
deduca espressamente, anche le altre mansioni in precedenza svolte in diversi
uffici aziendali, dovendo la nozione di fungibilità e di professionalità essere
intesa con riferimento non soltanto alle mansioni attuali, ma anche assolte
presso altre unità, che abbiano reso il lavoratore idoneo anche per queste
altre, per acquisita esperienza e per pregresso svolgimento (Cass. 28 aprile
2006, n. 9888; Cass. 30 gennaio 2018, n. 2284);
5. ebbene, la Corte territoriale ha accertato come
la società datrice non abbia dimostrato l’infungibilità delle precedenti
mansioni del lavoratore, da questi specificamente allegate (cfr. quanto già
statuito da questa Corte, con riguardo alla medesima vicenda, in Cass. n. 10414
del 2020, nonché dalle successive conf.: Cass. nn. 10415, 17193, 17194, 17195,
17198, 17199, 17201, 17202 del 2020, 10517, 10520, 10521, 10524 del 2022);
6. con il secondo motivo, la ricorrente deduce
omessa valutazione di un fatto rilevante e decisivo oggetto di discussione tra
le parti, per avere la Corte territoriale ritenuto la fungibilità della
posizione di lavoro del lavoratore senza che fosse stata raggiunta tale prova;
7. il motivo, così come formulato, è inammissibile,
mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito,
al di fuori del perimetro del giudizio di legittimità, in ipotesi, sul punto,
di doppia conformità nel merito rilevante ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c;
8. con il terzo motivo la ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione dell’art. 5, terzo comma, L. 223/1991, in
riferimento all’art. 18, quarto e settimo comma L. 300/1970, in combinato
disposto degli artt. 414, 416 c.p.c. e 2697 c.c, per mancata allegazione,
necessaria per disporre la tutela reintegratoria, del risultato vantaggioso
conseguibile (esclusione dal licenziamento) da parte del lavoratore, non avendo
questi precisato su quali colleghi, in posizione di fungibilità comparabile con
la propria, avrebbe prevalso in caso di corretta applicazione dei criteri di
scelta;
9. il motivo non è fondato;
10. in tema di licenziamento collettivo, mentre
grava sul datore di lavoro l’onere di allegazione dei criteri di scelta e la
prova della loro piena applicazione nei confronti dei lavoratori licenziati,
specificando in relazione a ciascuno lo stato familiare, l’anzianità e le
mansioni, incombe al lavoratore dimostrare l’illegittimità della scelta,
indicando i lavoratori in relazione ai quali essa sarebbe stata falsamente o
illegittimamente realizzata: con la conseguenza che, ove il datore di lavoro si
sia limitato a comunicare criteri inidonei a consentire al lavoratore di
contestare le scelte operate e di comparare la propria posizione con quella
degli altri dipendenti che hanno conservato il posto di lavoro, nessun onere è
ravvisabile in capo al lavoratore (Cass. 23 dicembre 2009, n. 27165; Cass. 3
dicembre 2013, n. 27059; Cass. 10 dicembre 2018, n. 31870): ed è ciò che la
Corte territoriale ha accertato nel caso di specie, rilevando altresì che la
parte ha comunque puntualmente allegato con quali lavoratori avrebbe potuto
essere comparata, mentre parte datoriale non ha assolto i propri oneri in
proposito;
11. con il quarto motivo di ricorso si deduce
violazione e falsa applicazione dell’art. 18, quinto comma l. 300/1970, per
determinazione dell’indennità risarcitoria, stabilita dal quarto comma in
aggiunta alla reintegrazione, nella misura massima (dodici mensilità), senza
una sua modulazione secondo i criteri del quinto comma e pertanto non
proporzionata alla dimensione dell’attività economica dell’impresa al momento
del licenziamento e del numero attuale dei suoi dipendenti ed alla cessazione
dell’attività di volo;
12. esso è infondato;
13. non è pertinente il riferimento ai criteri del
quinto comma dell’art. 18 l. 300/1970 riformulato, per la diversità della
tutela da esso stabilita, in caso di licenziamento illegittimo cui essa consegua,
da quella del precedente quarto comma; non trova, infatti, applicazione (a
differenza che in questa, in aggiunta alla reintegratoria cosiddetta
“attenuata”) la detrazione dell’aliunde perceptum, in quanto tale ipotesi
comporta comunque la cessazione del rapporto con effetto dalla data del
recesso, sicché la corresponsione di un’indennità omnicomprensiva, che già
tenga conto anche delle condizioni delle parti (e quindi presumibilmente pure
della eventuale situazione lavorativa del dipendente dal punto di vista della
collaborazione eventualmente prestata per la riduzione del danno), non può
assumere caratteristiche analoghe a quelle che caratterizzano la fattispecie
del quarto comma: ciò rispecchiando la diversità delle situazioni, in una
prospettiva sistematica di unitaria e coerente disciplina delle conseguenze
sanzionatorie (Cass. 6 agosto 2020, n. 16786: v. p.to 10 in motivazione);
14. con il primo motivo del ricorso di A. S.A.I., da
qualificare ricorso incidentale, si denuncia violazione e falsa applicazione
degli artt.132, comma 2, n. 4, c.p.c., 118, comma 1, disp. att. c.p.c. per
genericità della motivazione, per avere ritenuto assorbita l’eccezione
preliminare di passaggio in giudicato del capo di sentenza della sentenza di
opposizione che aveva statuito l’inammissibilità della domanda proposta nei
confronti di A. S.A.I. s.p.a. in a.s. (con riferimento all’art 360, n. 3,
c.p.c.) e nullità della sentenza per violazione dell’art 112 c.p,c. per omessa
pronuncia su un’eccezione sollevata dall’allora reclamata (con riferimento
all’art. 360, n. 4, c.p.c.);
15. il motivo non è fondato;
16. la Corte d’Appello ha escluso il passaggio in
giudicato del capo della sentenza del Tribunale che aveva confermato
l’ordinanza della fase sommaria, anche nella parte in cui aveva ritenuto
inammissibile la domanda nei confronti di A. S.A.I. (per estraneità al rito cd.
Fornero); invero, a fronte di una espressa impugnazione da parte del lavoratore
del rigetto (da parte del Tribunale) della domanda nei confronti di A. S.A.I.,
la Corte ha riformato la sentenza reclamata rilevando che la domanda di
reintegrazione nei confronti della cessionaria “ben rientra tra quelle
esperibili con il ricorso ex art. 1, comma 47, della L. n. 92 del 2012,
costituendo la pronuncia … un effetto automatico del licenziamento e della
cessione dell’azienda”;
17. ora, registrandosi uno specifico motivo di
reclamo ed uno specifico punto di motivazione sull’ammissibilità della domanda
nei confronti dell’attuale ricorrente incidentale, non sono configurabili i
lamentati vizi di motivazione apparente o di omessa pronuncia, atteso che il
sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola
verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111,
sesto comma, Cost., o di omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato
oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione
della controversia (cfr. Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre
2017, n. 23940; Cass. S.U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. 20 giugno 2019, n.
16595; Cass. 25 settembre 2018, n. 22598);
18. con il secondo motivo si deduce violazione e
falsa applicazione della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 47, per non avere i
giudici d’appello escluso l’applicazione del rito cd. “Fornero” nei
confronti della cessionaria;
19. il motivo non è fondato, perché, secondo
giurisprudenza costante di questa Corte, “l’inesattezza del rito non
determina di per sé la nullità della sentenza” (Cass. n. 12094 del 2016);
la violazione della disciplina sul rito assume rilevanza invalidante soltanto
nell’ipotesi in cui, in sede di impugnazione, la parte indichi lo specifico
pregiudizio processuale concretamente derivatole dalla mancata adozione del
rito diverso, quali una precisa e apprezzabile lesione del diritto di difesa,
del contraddittorio e, in generale, delle prerogative processuali protette
della parte (Cass. n. 19942 del 2008; Cass. SS.UU. n. 3758 del 2009; Cass. n.
22325 del 2014; Cass. n. 1448 del 2015); si tratta di principi espressi anche
di recente da questa Corte, che ha ribadito che «l’esattezza del rito non è mai
suscettibile di essere considerata come fine a sé stessa, donde può essere
invocata solo per riparare a una precisa e apprezzabile lesione che, in
conseguenza dei rito seguito, si sia determinata (per la parte) “sul piano
pratico processuale”» (Cass. Sez.Un. n. 36596/2021); nella specie, parte
ricorrente non specifica il pregiudizio processuale conseguito dall’adozione
del rito ordinario rispetto a quello dettato dalla legge n. 92 del 2012;
20. con il terzo motivo A. S.A.I. s.p.a. in a.s.
censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 47,
comma 4-bis l. 428/1990, nonché degli accordi collettivi intervenuti
nell’ambito di una situazione di crisi aziendale in deroga all’art. 2112 c.c.,
criticando diffusamente l’interpretazione offerta dai giudici del merito della
disposizione denunciata;
21. esso è infondato;
22. la sentenza impugnata è conforme al principio di
diritto stabilito da questa Corte, secondo cui: “In caso di trasferimento che
riguardi aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale,
ai sensi dell’articolo 2, quinto comma, lett. c) della l. n. 675 del 1977,
ovvero per le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria, in caso
di continuazione o di mancata cessazione dell’attività, ai sensi del d.lgs. n.
270 del 1999, l’accordo sindacale di cui all’art. 47, comma 4-bis della l. n.
428 del 1990, inserito dal d.l. n. 135 del 2009, conv. in l. n. 166 del 2009,
può prevedere deroghe all’art. 2112 c.c. concernenti le condizioni di lavoro,
fermo restando il trasferimento dei rapporti di lavoro al cessionario, in
quanto la locuzione – contenuta del predetto comma 4-bis – “Nel caso in
cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale,
dell’occupazione, l’articolo 2112 del codice civile trova applicazione nei
termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo”, va letta in
conformità al diritto dell’Unione europea ed alla interpretazione che dello
stesso ha fornito la Corte di giustizia, 11 giugno 2009, in causa C561/07
(all’esito della procedura di infrazione avviata nei confronti della Repubblica
italiana per violazione della direttiva 2001/23/CE), nel senso che gli accordi
sindacali, nell’ambito di procedure di insolvenza aperte nei confronti del
cedente sebbene non “in vista della liquidazione dei beni”, non
possono disporre dell’occupazione preesistente al trasferimento di impresa”
(cfr. Cass. n. 10414 e n. 10415 del 2020; Cass. n. 17193, n. 17194, n. 17195,
n. 17198, n. 17199, n. 17201 del 2020; Cass. n. 33154 del 2021; Cass. n. 10517,
n. 10520, n. 10521, n. 10524 del 2022);
23. con il quarto motivo si denuncia violazione e
falsa applicazione dell’art. 32, comma 4, lett. d) L. n. 183 del 2010 per aver
escluso, la Corte territoriale, la decadenza del lavoratore dall’impugnazione
nei confronti della cessionaria, pur a fronte del contenuto generico della
lettera di impugnazione inoltrata dal lavoratore;
24. il motivo non è fondato;
25. nell’ipotesi di trasferimento d’azienda, la
domanda del lavoratore volta all’accertamento del passaggio del rapporto di
lavoro in capo al cessionario non è soggetta a termini di decadenza, perché non
vi è alcun onere di far accertare formalmente, nei confronti del cessionario,
l’avvenuta prosecuzione del rapporto di lavoro, in particolare applicandosi la
L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, lett. c), ai soli provvedimenti datoriali
che il lavoratore intenda impugnare, al fine di contestarne la legittimità o la
validità (cfr. Cass. n. 9469 del 2019; Cass. n. 13648 del 2019). A fortiori non
risulta applicabile la L. n. 183 del 2010, art. art. 32, comma 4, lett. d), la
quale comunque postula l’invocazione della illegittimità o invalidità di atti
posti in essere da un datore di lavoro solo formale in fenomeni dal carattere
propriamente interpositorio e trattandosi di norma di chiusura di carattere
eccezionale, non suscettibile, pertanto, di disciplinare la fattispecie di cui
all’art. 2112 c.c. già contemplata dalla lettera precedente (Cass. n. 28750 del
2019; v. pure Cass. n. 13179 del 2017; conf. Cass. n. 4883 del 2020);
26. con il quinto motivo, la ricorrente incidentale
deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 52 l. fall. In combinato
disposto con gli artt. 409, 433 c.p.c., per improcedibilità della domanda di
condanna risarcitoria del lavoratore, per effetto dell’ammissione della società
cessionaria alla procedura concorsuale di amministrazione straordinaria;
27. il motivo è fondato nei termini che seguono
(cfr., ex multis, Cass. 10520/2022);
28. la questione riguarda l’improcedibilità di una
domanda di condanna al pagamento di un credito (nel caso di specie:
risarcitorio) nei confronti di una procedura concorsuale, quale
l’amministrazione straordinaria, che regolamenta (pur nella sua modulazione
specifica per le imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali
ovvero che gestiscono stabilimenti industriali di interesse strategico
nazionale, tra le quali le imprese del Gruppo A.) l’accertamento del passivo
con il richiamo puntuale (art. 53 d.lgs. 270/1999) delle disposizioni regolanti
lo stesso accertamento nel fallimento (artt. 93 ss. l. fall.), comportante la
devoluzione cognitoria della domanda in via esclusiva al giudice delegato del
fallimento (o comunque della procedura concorsuale); sicché, essa è rilevabile
d’ufficio, in ogni stato e grado, anche nel giudizio di cassazione, con l’unico
limite preclusivo dell’intervenuto giudicato interno (laddove la questione sia
stata sottoposta od esaminata dal giudice e questi abbia inteso egualmente
pronunciare sulla domanda di condanna rivolta nei confronti del fallimento) e
del giudicato implicito (se l’eventuale nullità derivante da detto vizio
procedimentale non sia stata dedotta come mezzo di gravame avverso la sentenza
che abbia deciso sulla domanda), in ragione del principio di conversione delle
nullità in motivi di impugnazione ed in armonia con il principio della
ragionevole durata del processo (Cass. 4 ottobre 2018, n. 24156; Cass. 22
maggio 2020, n. 9461);
29. nel riparto di competenza tra il giudice del
lavoro e quello del fallimento il discrimine va individuato nelle rispettive
speciali prerogative, spettando al primo, quale giudice del rapporto, le
controversie riguardanti lo status del lavoratore, in riferimento ai diritti di
corretta instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto, della sua
qualificazione e qualità, volte ad ottenere pronunce di mero accertamento
oppure costitutive, come quelle di annullamento del licenziamento e di
reintegrazione nel posto di lavoro; rientrano, viceversa, nella cognizione del
giudice del fallimento, al fine di garantire la parità tra i creditori, le
controversie relative all’accertamento ed alla qualificazione dei diritti di
credito dipendenti dal rapporto di lavoro in funzione della partecipazione al
concorso e con effetti esclusivamente endoconcorsuali, ovvero destinate
comunque ad incidere nella procedura concorsuale (Cass. 30 marzo 2018, n. 7990;
Cass. 28 ottobre 2021, n. 30512); salva l’ipotesi dell’accertamento (e di esso
solo) dell’entità dell’indennità risarcitoria da parte del giudice del lavoro,
anziché fallimentare, per il riflesso del “radicale mutamento del regime
selettivo e di commisurazione delle tutele … anche sulla ripartizione
cognitoria qui in esame” (Cass. 21 giugno 2018, n. 16443; Cass. 21 febbraio
2019, n. 5188; Cass. 8 febbraio 2021, n. 2964);
30. nel caso, tuttavia, di una domanda di condanna
risarcitoria essa spetta al giudice concorsuale, con la sua conseguente improcedibilità
nell’odierno giudizio;
31. il ricorso di C.A.I. s.p.a. deve pertanto essere
rigettato per infondatezza, con regolazione delle spese del giudizio secondo il
regime di soccombenza e distrazione in favore del difensore antistatario del
controricorrente, nonché raddoppio del contributo unificato, ove spettante
nella ricorrenza dei presupposti processuali;
32. il quinto motivo del ricorso di A. S.A.I. s.p.a.
in a.s. deve invece essere accolto, con rigetto degli altri motivi, cassazione
della sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con decisione nel
merito di improcedibilità della domanda del lavoratore di condanna risarcitoria
nei confronti di A. SAI s.p.a. in a.s., e regolazione delle spese dei gradi di
merito e del giudizio di legittimità secondo il regime di soccombenza (essendo
il lavoratore vittorioso in misura assolutamente prevalente) e distrazione in
favore del difensore antistatario in base alla sua richiesta;
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e
condanna la società alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese
del giudizio, che liquida in € 200 per esborsi e € 5.000 per compensi
professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori
di legge, con distrazione in favore del difensore antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma
del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Accoglie il quinto motivo del ricorso incidentale,
rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto
e, decidendo nel merito, dichiara improcedibile la domanda del lavoratore di
condanna risarcitoria nei confronti di A. SAI s.p.a. in a.s.; condanna
quest’ultima società in a.s. alla rifusione, in favore del controricorrente,
delle spese dei gradi di merito, che liquida così come dal Tribunale e dalla
Corte d’appello, e del giudizio di legittimità, che liquida in € 200 per
esborsi e € 5.000 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali
in misura del 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore
antistatario.