Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 settembre 2022, n. 27666

Rapporto di lavoro, Differenze retributive, Percezione della
pensione di vecchiaia, Efficacia risolutoria del rapporto di lavoro,
Accertamento

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Milano, con la sentenza
impugnata, in seguito a rinvio disposto da questa Corte con ordinanza n. 30697
del 2017, ha condannato H. Club Spa al pagamento in favore di A. R. delle
retribuzioni dovute dal 1° febbraio 2007 al 31 agosto 2015, detratto l’aliunde
perceptum, oltre accessori e spese;

2. i giudici d’appello, per quanto qui ancora
interessa, in relazione a quanto statuito dalla S.C. con la sentenza
rescindente, hanno ritenuto che l’avvenuta percezione della pensione di
vecchiaia da parte del Sig. A. R., nella fattispecie concreta, costituisse un
fatto sopravvenuto avente efficacia risolutoria del rapporto di lavoro;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto
ricorso il lavoratore con un motivo; ha resistito con controricorso la società,
contenente ricorso incidentale affidato ad un motivo;

4. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata unitamente
al decreto di fissazione dell’adunanza camerale del 21 settembre 2021;

5. in tale adunanza si è rilevato che, per mero
errore materiale, la proposta era stata formulata avuto riguardo al solo
ricorso principale, stante l’indisponibilità del controricorso nel fascicolo
consegnato al relatore, per cui il Collegio ha reputato necessario rinviare la
causa a nuovo ruolo affiché venisse valutata la possibilità di effettuare una
proposta di definizione in Sesta Sezione anche avuto riguardo al ricorso
incidentale;

6. la nuova proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti,
unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale; la società ha
comunicato memoria;

 

Considerato che

 

1. con il motivo di ricorso principale il lavoratore
denuncia: “violazione e falsa applicazione dell’art.
1372 c.c. e dell’art. 1,
comma 7, d. lgs. n. 503 del 1992”; si sostiene che la Corte milanese, anche
in violazione di quanto statuito dalla Corte di cassazione con la pronuncia rescindente,
avrebbe errato a ritenere che “il fatto sopravvenuto avente efficacia
risolutoria del rapporto di lavoro fosse individuabile nel 1° giorno in cui il
Sig. A. aveva iniziato a percepire la pensione di vecchiaia”; si richiama la
giurisprudenza di legittimità secondo la quale la maturazione dei requisiti per
il percepimento della pensione di vecchiaia non determina la cessazione
automatica del rapporto di lavoro, ma solo la cessazione del regime di
stabilità e della tutela prevista dall’art. 18 S.d.L.;

2. il motivo è inammissibile perché, pur denunciando
formalmente un error in iudicando, nella sostanza tende ad una rivalutazione di
merito circa il fatto che la richiesta e la fruizione di una pensione di
vecchiaia costituissero, nella fattispecie concreta all’esame della Corte
milanese, comportamenti inequivocamente idonei a comprovare la volontà del
lavoratore volta a far cessare il rapporto di lavoro per fruire della pensione
di vecchiaia, la quale presuppone la cessazione dell’attività lavorativa;

si tratta di un apprezzamento nel merito della
vicenda fattuale che non è suscettibile di sindacato in questa sede di
legittimità, così come non lo è qualsivoglia comportamento concludente che si
assuma idoneo a risolvere un rapporto di lavoro, in ipotesi ancora sub iudice
(per tutte v. Cass. n. 29781 del 2017, in tema di mutuo consenso; successive
conf.: Cass. n. 13660 del 2018; Cass. n. 13958 del 2018; Cass. n. 16948 del 2018; precedenti che
evidenziano come l’accertamento di una volontà diretta allo scioglimento del
vincolo contrattuale costituisca apprezzamento di merito, che può essere
sindacato innanzi a questa Corte secondo le rigorose regole previste dall’art. 360, n. 5, c.p.c., tempo per tempo vigente,
ma non certo nelle forme di un error in iudicando);

accertamento di fatto che non collide con princìpi
di diritto, considerato che le decisioni di questa Corte (Cass. n. 9312 del 2014;
Cass. n. 13181 del 2018; Cass. n. 521 del 2019) la quali escludono
l’automatica estinzione del rapporto di lavoro per il compimento dell’età
pensionabile o il raggiungimento dei requisiti per l’attribuzione del diritto
al trattamento pensionistico di vecchiaia, fanno sempre salvo, però, il fatto
che non intervenga “un valido atto risolutivo del datore di lavoro”, che ha
un’autonoma e successiva efficacia estintiva, così come l’atto risolutivo
riconducibile ad una volontà concludente del lavoratore (in termini, di
recente, Cass. n. 13203 del 2022);

3. con il motivo di ricorso incidentale della
società viene denunciato: “omesso esame della domanda relativa all’accertamento
della risoluzione del rapporto di lavoro per effetto dell’assunzione in F.E.
Spa”; si lamenta che la Corte territoriale “non ha preso posizione sulla
domanda di H. volta ad accertare la risoluzione del rapporto di lavoro per
effetto dell’assunzione presso altro datore di lavoro”, risalente al 1° aprile
2007 e quindi a data antecedente rispetto alla risoluzione accertata in data 31
agosto 2015;

4. la censura è inammissibile perché censura un
preteso error in procedendo che sarebbe stato compiuto dalla Corte territoriale
per omesso esame di una domanda, senza il rispetto delle forme previste per le
denuncia del vizio ex art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c.;

come questa Corte ha più volte affermato:
“l’omessa pronuncia integra un difetto di attività del giudice di secondo
grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della
violazione di una norma di diritto sostanziale ex art.
360, n. 3, c.p.c. o del vizio di motivazione ex art.
360, n. 5, c.p.c. giacché siffatte censure presuppongono che il giudice del
merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta
in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non
giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la
specifica deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 c.p.c.” (Cass.
n. 329 del 2016; conforme a: Cass. n. 27387 del
2005; Cass. n. 1701 del 2006; Cass. n. 3190 del 2006; Cass. n. 12952 del
2006; Cass. n. 24856 del 2006; Cass. n. 25825 del 2009; Cass. n. 26598 del
2009; Cass. n. 7268 del 2012);

5. conclusivamente sia il ricorso principale che
quello incidentale vanno dichiarati inammissibili; stante la reciproca
soccombenza le spese del giudizio di cassazione possono essere compensate;

occorre dare atto della sussistenza, per entrambe le
parti ricorrenti, dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115
del 2002, come modificato dall’art.
1, co. 17, l. n. 228 del 2012 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

 

P.Q.M.

 

dichiara inammissibili il ricorso principale e il
ricorso incidentale e compensa le spese.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il
ricorso principale e incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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