Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 settembre 2022, n. 28102
Lavoro, Impiego di personale non risultante dalle scritture,
Avviso di irrogazione di sanzione, Opposizione, Mancata ammissione della
prova testimoniale, Vizio della sentenza
Rilevato che
con la sentenza impugnata, in riforma della
pronunzia del Tribunale di Sciacca, è stata rigettata l’opposizione proposta da
G.Z. avverso l’avviso di irrogazione di sanzione n. R33LS0200009, per un
importo di € 9.400,00, notificatogli il 12 marzo
2009 dall’Agenzia delle Entrate, in ragione dell’accertato impiego di personale
non risultante dalle scritture; per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso G.Z., affidato a quattro motivi; l’Agenzia delle Entrate ha resistito
con controricorso; il P.G. non ha formulato richieste.
Considerato che
con il primo motivo il ricorrente – denunciando
violazione e falsa applicazione dell’art. 327 c.p.c., nella vecchia
formulazione applicabile “ratione temporis”, nonché omessa e
insufficiente motivazione – si duole che il giudice del gravame abbia ritenuto
tempestivo, senza peraltro spiegarne le ragioni, l’appello notificato il 30
settembre 2013, in presenza di sentenza di primo grado depositata il 17 luglio
2012;
con il secondo motivo – denunziando violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 2697 e 2700 c.c., 115 e 116 c.p.c., in relazione
all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. – lamenta che il predetto giudice, con
motivazione erronea, abbia omesso di attribuire valore privilegiato al verbale
redatto dagli ispettori INAIL e alle dichiarazioni, in esso riportate, dei
lavoratori G.M. e F.M., secondo le quali il rapporto di lavoro era intercorso
con questi ultimi per il periodo dal 12 al 19 settembre 2005, tenuto anche
conto della mancata contestazione, ad opera dell’Agenzia delle Entrate, delle
dichiarazioni in questione con la memoria difensiva e benché già con il ricorso
introduttivo del giudizio fosse stata chiesta l’ammissione della prova
testimoniale – poi reiterata con la comparsa di costituzione e risposta nel
giudizio di secondo grado – dei predetti lavoratori sul periodo di effettivo
svolgimento dell’attività lavorativa;
con il terzo motivo – denunziando omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione sull’ammissione della prova per
testi, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. – si duole che la
Corte territoriale, pur avendo dato atto che al momento della verifica da parte
degli ispettori INAIL entrambi i lavoratori G.M. e F.M. avevano affermato di
avere prestato la propria attività dal 12 al 19 settembre 2005, abbia ritenuto
erroneamente che si trattasse di dichiarazioni non confermate in giudizio e
quindi insufficienti a dimostrare la data effettiva di inizio del rapporto di
lavoro, benché già con il ricorso introduttivo del giudizio fosse stata chiesta
l’ammissione della prova testimoniale – poi reiterata con la comparsa di
costituzione e risposta nel giudizio di secondo grado – dei predetti lavoratori
sul periodo di effettivo svolgimento dell’attività lavorativa;
con il quarto motivo – denunziando violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 3, comma 3, del d.l. n. 12 del 2002 e 12 del
d.lgs. n. 472 del 2007, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. –
lamenta che la predetta Corte non abbia ritenuto applicabile, in ordine alla
quantificazione della sanzione, il principio del “favor rei” di cui
al citato d.lgs. n. 472 del 1997.
Ritenuto che
il primo motivo va rigettato, poiché il ricorso in
appello è stato proposto tempestivamente, avuto riguardo, ai fini del calcolo
del termine “lungo” di impugnazione di un anno, alla sospensione dei
termini in periodo feriale per l’anno 2012 e 2013, per un totale di 90 giorni;
il secondo ed il terzo motivo, da trattare
congiuntamente in quanto connessi, sono invece, avuto riguardo al contenuto
sostanziale degli stessi, fondati (restando assorbito il quarto), poiché, a
fronte dell’istanza di prova per testi, circa l’effettuazione di attività
lavorativa dei due dipendenti nei giorni dal 12 al 15 settembre del 2005,
contenuta nell’atto difensivo di appello (e trascritta nel ricorso per
cassazione alle pp. 5 e 12), già articolata in primo grado (nonché trascritta
nel ricorso per cassazione alle pp. 2 e 3) e lì disattesa per esser state
valorizzate a tal fine le dichiarazioni contenute nel verbale ispettivo, il
giudice del gravame, in accoglimento dell’appello incentrato sull’insegnamento
di Cass., sez. un., 13/01/2010, n. 356 (ove è tra l’altro statuito che, in tema
di sanzioni amministrative per impiego di lavoratori non risultanti dalle
scritture obbligatorie, il meccanismo presuntivo di cui all’art. 3, terzo
comma, del d.l. 22 febbraio 2002, n. 12, conv. nella legge 23 aprile 2002, n.
73, «esclude qualsiasi obbligo dell’ente, che irroga la sanzione, di provare
l’effettiva prestazione di attività lavorativa subordinata per il periodo
intermedio compreso tra il giorno di accertamento dell’infrazione ed il primo
gennaio dello stesso anno e prescrive al medesimo ente di commisurare la
sanzione a quella durata, fino a prova contraria, facente carico all’autore
della violazione») si è limitato a rilevare che «Vero è che, al momento della
verifica in parola, entrambi i lavoratori hanno affermato di avere prestato la
propria attività alle dipendenze dello Z. dal 12.9.2005 al 19.9.2005, ma si
tratta di dichiarazioni che non sono state confermate in giudizio e che,
comunque, in difetto di altri elementi di prova, non avrebbero potuto essere
considerate da sole sufficienti a dimostrare la data effettiva di inizio del
rapporto di lavoro»;
trattandosi di prova decisiva – contrariamente a
quanto affermato, con un immotivato giudizio a priori, nella sentenza impugnata
– e valendo l’insegnamento secondo cui «La mancata ammissione di un mezzo
istruttorio (nella specie, prova testimoniale) si traduce in un vizio della
sentenza se il giudice pone a fondamento della propria decisione l’inosservanza
dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., benché la parte abbia offerto di
adempierlo» (cfr., al riguardo, Cass. 25/06/2021, n. 18285; cfr., altresì, in
tema, Cass. 8/01/2015, n. 66, ove è statuito che «La mancata ammissione della
prova testimoniale può essere denunciata in sede di legittimità per vizio dì
motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai
fini del decidere»), la sentenza va cassata, con rinvio alla Corte di Appello
di Palermo, in diversa composizione, per nuovo esame e per la liquidazione
delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo
e il terzo, assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla
Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere
anche sulle spese del giudizio di legittimità.