La somministrazione di manodopera deve avere il carattere della temporaneità. L’elusione del carattere temporaneo va accertata anche in base alle varie missioni presso il medesimo utilizzatore succedutesi nel tempo, indipendentemente dalla tempestiva impugnazione di ciascuna di esse.
Nota a Cass. 21 luglio 2022, n. 22861
Maria Novella Bettini
La Corte di Cassazione (21 luglio 2022, n. 22861) analizza la Direttiva CE n. 104/2008 e la giurisprudenza della Corte di Giustizia con riguardo al concetto di temporaneità della somministrazione (attualmente disciplinata dal D.LGS. n. 81/2015), precisando che la Direttiva de qua (art.1) si riferisce ai “lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale e che sono assegnati a imprese utilizzatrici per lavorare temporaneamente e sotto il controllo e la direzione delle stesse”.
Tale Direttiva, sottolinea la Cassazione, non impone però agli Stati membri di limitare il numero di missioni successive di un medesimo lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice né di subordinare il ricorso a tale forma di lavoro a tempo determinato all’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo; tantomeno essa definisce, misure specifiche che gli Stati membri debbano adottare a tal fine (v. Corte di Giustizia C-687/78, punto 42). Nessuna disposizione della Direttiva, inoltre, fissa una durata oltre la quale una messa a disposizione non può più essere qualificata come avvenuta “temporaneamente” o impone agli Stati membri l’obbligo di prevedere, nel diritto nazionale, una siffatta durata (v. Corte di Giustizia C- 232/20, punto 53).
Nondimeno la Direttiva, alla luce del principio che la forma comune dei rapporti di lavoro è il contratto a tempo indeterminato (considerando 15), persegue l’obiettivo di ravvicinare le condizioni del lavoro tramite agenzia interinale ai rapporti di lavoro “normali” e, di conseguenza, d’incoraggiare l’accesso dei lavoratori tramite agenzia interinale ad un impiego permanente presso l’impresa utilizzatrice (v. art. 6, paragr. 1 e 2; Corte di Giustizia C-681/18, punto 51 e Corte di Giustizia C-232/20, punto 34). Sicché spetta agli Stati membri adoperarsi affinché il lavoro tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice non diventi una situazione permanente (v. Corte di Giustizia C-681/18 cit., punti 55, 60).
Anche se non vi è alcuna norma specifica che impedisca ad un lavoratore temporaneo di essere “messo a disposizione di un’impresa utilizzatrice al fine di coprire, temporaneamente, un posto di natura permanente, che egli potrebbe continuare ad occupare stabilmente” (Corte di Giustizia C-232/20 cit., punto 37), la Corte UE ha chiarito che:
– il termine temporaneamente “caratterizza non il posto di lavoro che deve essere occupato all’interno dell’impresa utilizzatrice, bensì le modalità della messa a disposizione di un lavoratore presso tale impresa…” (CGUE 4 ottobre 2020, C-681/2018, punto 61 – e nella successiva sentenza del 17 marzo 2022, C-232/20, punti 31, 34);
– la temporaneità è un requisito “immanente e strutturale del lavoro tramite agenzia interinale” e vi è il “rischio di un ricorso abusivo a tale forma di lavoro in presenza di missioni successive che si protraggano per una durata che non possa, secondo canoni di ragionevolezza, considerarsi temporanea, avuto riguardo alla specificità del settore e alla esistenza di spiegazioni obiettive del ricorso reiterato a questa forma di lavoro”;
– “missioni successive del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice, ove conducano a una durata dell’attività (presso tale impresa) più lunga di quella che possa ragionevolmente qualificarsi ‘temporanea’, alla luce di tutte le circostanze pertinenti, che comprendono in particolare le specificità del settore, potrebbero denotare un ricorso abusivo a tale forma di lavoro, ai sensi della Dir. n. 2008/104, art. 5, paragrafo 5, prima frase”;
– sarebbe opportuno stabilire, nel diritto nazionale, “una durata precisa oltre la quale una messa a disposizione non può più essere considerata temporanea, in particolare quando rinnovi successivi della messa a disposizione di un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice si protraggano nel tempo”.
Quanto alla decadenza relativa all’impugnazione di più contratti a termine con un lavoratore ripetutamente somministrato presso un’impresa utilizzatrice, la Cassazione rileva che i rapporti non più impugnabili per intervenuta decadenza possono assumere rilievo “fattualmente ad altri fini: in particolare, come antecedente storico che entra a fare parte di una sequenza di rapporti e che può essere valutato, in via incidentale, dal giudice, al fine di verificare se la reiterazione delle missioni del lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice abbia oltrepassato il limite di una durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea, sì da realizzare una elusione degli obiettivi della Dir. n. 104/2008” (v. L. n.183/2010, art. 32, co.4, lett.d).
In altri termini, può essere rilevante per il giudice di merito “verificare il numero di contratti succedutisi ed il tempo complessivamente trascorso”, al fine di valutare se l’utilizzazione del medesimo lavoratore mediante agenzia interinale disegni un quadro complessivo di durata di utilizzo del lavoratore somministrato superiore a quello ammissibile in conformità al diritto dell’Unione Europea.
Contrasterebbe, infatti, con la Direttiva n. 104/2008 la preclusione al giudice nazionale di prendere in considerazione i pregressi rapporti di lavoro somministrato per i quali è maturata la decadenza al “diverso fine” di verificare se la “messa a disposizione per l’utilizzatore si inserisca in una sequenza reiterata di missioni che oltrepassi il limite di una durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea”.
La fattispecie sottoposta al vaglio della Corte riguarda un lavoratore che dopo aver prestato la propria opera, per oltre 65 mesi presso la medesima impresa, in forza di dieci successivi contratti di somministrazione a tempo determinato, ha agito giudizialmente per ottenere il riconoscimento del proprio diritto alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la società utilizzatrice. Sia il Tribunale che la Corte d’appello hanno rigettato le domande del lavoratore, rilevando, per un verso, che per tutti i contratti antecedenti all’ultimo, l’accertamento richiesto dal lavoratore risultava precluso perché impugnati oltre il termine di decadenza di sessanta giorni previsto dall’art. 32, co. 4, lett. d), L. n. 183/10; e, per l’altro, che l’ultimo contratto, l’unico impugnato tempestivamente dal lavoratore, doveva considerarsi legittimo, essendo stato concluso sotto il vigore del D.LGS. n. 81/15, che non richiede l’indicazione di causali giustificative, né prevede limiti di durata per i contratti di somministrazione a tempo determinato.