Il detenuto che presti attività lavorativa alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria ha diritto, in occasione della cessazione del rapporto di impiego, all’indennità di NASpI, al pari degli altri lavoratori subordinati.
Nota a Trib. Siena 1 giugno 2022, n. 216
Sonia Gioia
La Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (c.d. NASpI) istituita dall’art. 1, D. LGS. 4 marzo 2015, n. 22 (concernente “Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”) per fornire una tutela di sostegno al reddito ai prestatori con rapporto di lavoro subordinato che siano rimasti involontariamente disoccupati, spetta, per i periodi di quiescenza dal lavoro, anche ai detenuti lavoratori subordinati dell’Amministrazione penitenziaria.
Lo ha affermato il Tribunale di Siena (1 giugno 2022, n. 216) in relazione ad una fattispecie concernente alcuni detenuti che rivendicavano il diritto all’indennità di NASpI in seguito alla cessazione del rapporto di impiego alle dipendenze della struttura carceraria ove erano reclusi.
All’esito del procedimento amministrativo, l’INPS aveva rigettato le domande di NASpI, proposte dai ricorrenti tramite patronato, ritenendo che il sussidio di disoccupazione possa essere erogato solo al termine di un rapporto di lavoro alle dipendenze di aziende diverse dagli Istituti penitenziari (Msg INPS 5 marzo 2019, n. 909).
Ciò, dal momento che l’attività di impiego prestata dal detenuto all’interno del carcere ed al medesimo assegnata dalla Direzione dell’Istituto penitenziario “non è equiparabile alle prestazioni di lavoro svolte al di fuori dell’ambito carcerario e, comunque, alle dipendenze di datori di lavoro diversi dall’Amministrazione penitenziaria”, poiché tale attività prevede la predisposizione di una graduatoria per l’ammissione al lavoro ed è soggetta a turni di rotazione e avvicendamento, che non si configurano come licenziamento ma come sospensione dell’attività lavorativa e, in quanto tali, non danno diritto all’indennità di NASpI (Cass. n. 18505/2006).
Di diverso avviso, invece, è stato il Tribunale di Siena, secondo cui la perdita di impiego alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria integra a tutti gli effetti lo stato di disoccupazione involontaria richiesto dalla legge per l’accesso al trattamento di NASpI e non può, pertanto, essere ricondotta ad un’ipotesi di mera sospensione dell’attività lavorativa, poiché la cessazione del rapporto di lavoro è stabilita unilateralmente dalla Direzione del carcere e non vi è alcuna certezza e garanzia di ripresa del lavoro né tanto meno è possibile per il detenuto prevedere quanto sarà lungo il periodo di inattività.
Pertanto, nel caso di cessazione del lavoro penitenziario per turnazione, il detenuto ha diritto all’erogazione dell’indennità di NASpI, così come già pacificamente riconosciuto ai reclusi impiegati presso un datore di lavoro esterno e al pari dei liberi cittadini, a condizione ovviamente che ricorrano i requisiti prescritti dall’art. 3, co. 1, D. LGS. n. 22 cit., vale a dire:
a) lo stato di disoccupazione, ai sensi dell’art. 1, co. 2, lett. c), D. LGS. 21 aprile 2000, n. 181 e succ. mod. (recante “Disposizioni per agevolare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro”);
b) la possibilità di far valere almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti l’inizio del periodo di mancanza d’impiego;
c) l’aver svolto – per i soli eventi di disoccupazione verificatisi prima del 1 gennaio 2022 – almeno 30 giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei 12 mesi che precedono l’inizio del periodo di inattività.
Una differente interpretazione, che non riconosca il diritto all’indennità di NASpI ai detenuti dipendenti dell’Amministrazione penitenziaria, configura una “palese” violazione del principio di parità di trattamento nonché degli obblighi, costituzionalmente previsti a carico dello Stato, di tutelare il “lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni” e di garantire ai prestatori “mezzi adeguati alle loro esigenze di vita (…) in caso di disoccupazione involontaria” (artt. 3, 4, 35 e 38 Cost. V. anche art. 20, L. 26 luglio 1975, n. 254, concernente “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà personale”).
Le peculiarità del lavoro svolto dai detenuti, derivanti dalla inevitabile connessione tra profili del rapporto di impiego e profili organizzativi, disciplinari e di sicurezza, propri dell’ambiente carcerario, e la circostanza che il datore di lavoro possa coincidere con il soggetto che sovrintende alla esecuzione della pena non valgono, infatti, “ad affievolire il contenuto minimo di tutela che, secondo la Costituzione, deve assistere ogni rapporto di lavoro subordinato” (Corte Cost. n. 158/2001).
Sulla base di tali considerazioni, il Tribunale ha accertato il diritto dei ricorrenti alla percezione della NASpI, dichiarando che il comportamento tenuto dall’ente previdenziale deve ritenersi non “solo illegittimo e incostituzionale ma, prima di tutto, discriminatorio”.