L’indennità integrativa di volo va computata nella retribuzione da corrispondere durante le ferie.
Nota a Cass. 23 giugno 2022, n. 20216
Flavia Durval
È nullo l’art. 10 ccnl Trasporto aereo (sez. Personale Navigante Tecnico) 2014 “nella parte in cui, limitatamente al periodo minimo di ferie di quattro settimane, esclude dalla base del computo della retribuzione da corrispondere nel periodo feriale, la componente retributiva costituita dall’indennità di volo integrativa”. Tale disposizione contrasta infatti con l’art. 4, D.LGS. n. 185/2005 che, “interpretato alla luce del diritto europeo, impone di riconoscere al lavoratore navigante in ferie una retribuzione corrispondente alla nozione europea di remunerazione delle ferie in misura tale da garantire al lavoratore medesimo condizioni economiche paragonabili a quelle di cui gode quando esercita l’attività lavorativa”.
Questo, il principio espresso dalla Corte di Cassazione 23 giugno 2022, n. 20216, che ha rilevato come la indennità di volo integrativa costituisca “una significativa componente della retribuzione incidente nella misura del circa 30% (o in percentuale maggiore a seconda delle ore di volo effettuate) sul trattamento economico spettante al personale navigante”. Tale peso potrebbe costituire un incentivo a non fruire delle ferie, in contrasto con i principi euro-unitari secondo cui va “evitata qualsiasi prassi o omissione, da parte del datore di lavoro, che abbia un effetto potenzialmente dissuasivo sulla fruizione delle ferie annuali da parte di un lavoratore, essendo ciò appunto incompatibile con la finalità del diritto alle ferie annuali retribuite”.
Per converso, la mancata inclusione di tutte le voci della retribuzione corrisposta durante il periodo lavorativo non si pone in contrasto con l’art. 36 Cost. poiché tale disposizione non risponde al criterio della onnicomprensività ma demanda alla fonte contrattuale “la garanzia di un trattamento sempre controllabile dal giudice con riguardo alla sua congruità rispetto ai parametri costituzionali” (v. Cass. n. 1823/2004; Cass. n. 16510/2002).
La Corte ha esaminato le più rilevanti sentenze della Corte di Giustizia UE (che, come noto, hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sull’ordinamento nazionale, v. Corte Cost. n. 168/1981 e n. 170/1984) rilevando quanto segue.
La sentenza della CGUE (VII Sez.) 13 gennaio 2022, nella causa C-514/20 ha affermato una serie di principi generali sul diritto alle ferie annuali retribuite che chiariscono e confermano le statuizioni della sentenza della stessa CGUE 15 settembre 2011, causa C-155/10.
Nello specifico:
Ai punti 21, 22 e 23 si afferma testualmente che: secondo l’art. 7, paragr. 1, Direttiva 2003/88, “gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane”. Questi, inoltre, devono astenersi dal condizionare l’esercizio di tale diritto (sentenza 29 novembre 2017, C-214/16, punto 34 e la giurisprudenza ivi citata) il quale (ex art. 7 Direttiva 2003/88 cit.) va considerato un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione, cui non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla Direttiva in questione (sentenza 6 novembre 2018, C-619/16, punto 28).
Ai punti 29, 30, 31, 32, 33 e 34 si precisa poi che l’art. 1 della Direttiva 2003/88 prevede la necessità di “prescrizioni minime di sicurezza e di salute per l’organizzazione dell’orario di lavoro, In particolare per quanto riguarda i periodi minimi di ferie annuali”. Il diritto alle ferie annuali, quindi, ha la triplice finalità di consentire: a) al lavoratore di riposarsi rispetto all’esecuzione dei compiti attribuitigli in forza del suo contratto di lavoro; b) di beneficiare di un periodo di distensione e di ricreazione (sentenza 25 giugno 2020, C-762/18 e C-37/19, punto 57); b) di fruire di un riposo effettivo (v. sentenza 20 gennaio 2009, C-350/06 e C-520/06, punto 23). Ne consegue che gli incentivi a rinunciare al congedo di riposo o a sollecitare i lavoratori a rinunciarvi sono incompatibili con gli obiettivi del diritto alle ferie annuali retribuite, e “ogni azione o omissione di un datore di lavoro, avente un effetto potenzialmente dissuasivo sulla fruizione di ferie annuali da parte del lavoratore, è … incompatibile con la finalità del diritto” in questione (sentenza 6 novembre 2018, C-619/16, punto 49, cit.).
Sulla base di questo presupposto l’erogazione della retribuzione ordinaria durante il periodo di ferie annuali retribuite è finalizzata a permettere al lavoratore di godere effettivamente dei giorni di ferie cui ha diritto. Mentre, quando la retribuzione versata a titolo del diritto alle ferie annuali retribuite è inferiore a quella ordinaria ricevuta dal lavoratore durante i periodi di lavoro effettivo, “lo stesso rischia di essere indotto a non prendere le sue ferie annuali retribuite, almeno non durante i periodi di lavoro effettivo, poiché ciò determinerebbe, durante tali periodi, una diminuzione della sua retribuzione” (sentenza 13 dicembre 2018, C-385/17, punto 44 e la giurisprudenza ivi citata, annotata in q. sito da S. GIOIA).
Il lavoratore può anche “essere dissuaso dall’esercitare il proprio diritto alle ferie annuali tenuto conto dello svantaggio finanziario, anche se quest’ultimo è differito, cioè si manifesta nel corso del periodo successivo a quello delle ferie annuali” (v. sentenza 22 maggio 2014, C-539/12, punto 21).
Al punto 41 è, infine, ribadito che: “come sottolineato al punto 32 della presente sentenza, qualsiasi prassi o omissione da parte del datore di lavoro che abbia un effetto potenzialmente dissuasivo sulla fruizione delle ferie annuali da parte di un lavoratore è incompatibile con la finalità del diritto alle ferie annuali retribuite”.