Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 ottobre 2022, n. 31337
Previdenza, Rendita vitalizia ex art. 13, I. n. 1338/1962,
Mancata preventiva presentazione di domanda amministrativa, Proponibilità
della domanda giudiziale
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 26.4.2016 la Corte
d’appello di Messina, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato
improponibile la domanda di P.R. volta alla costituzione della rendita
vitalizia ex art. 13, I. n.
1338/1962, che assumeva spettargli al fine della ricostituzione del
trattamento pensionistico dovutogli in conseguenza di altra precedente
statuizione giudiziale, che – in relazione al rapporto di lavoro precorso con
G.G. & F. s.a.s. – gli aveva riconosciuto il diritto ad un superiore
inquadramento contrattuale e alle consequenziali differenze retributive.
La Corte, in particolare, ha ritenuto che la mancata
preventiva presentazione di domanda amministrativa determinasse la radicale
improponibilità della domanda giudiziale volta alla costituzione della rendita,
rilevabile in ogni stato e grado di giudizio, con conseguente nullità di tutti
gli atti del processo.
Avverso tali statuizioni P.R. ha proposto ricorso
per cassazione, deducendo due motivi di censura, successivamente illustrati con
memoria. L’INPS e G.G. & F. s.a.s. hanno resistito con distinti
controricorsi. Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte con cui
ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di gravame, il ricorrente
denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 13, I. n. 1338/1962, per
avere la Corte di merito ritenuto l’improponibilità della domanda per mancata
previa presentazione da parte sua della domanda amministrativa: ad avviso di
parte ricorrente, infatti, la presente controversia non rientrerebbe tra quelle
previdenziali e assistenziali, che la presentazione di tale domanda richiedono
quale indefettibile presupposto per la proposizione in giudizio.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta omesso
esame circa un fatto decisivo per non avere la Corte territoriale debitamente
valutato la documentazione prodotta in atti, da cui si evinceva che, comunque,
la domanda di regolarizzazione contributiva era stata comunque presentata.
Ciò posto, il primo motivo è fondato.
Com’è noto, l’art. 13, I. n. 1338/1962,
prevede, al primo comma, che “ferme restando le disposizioni penali, il
datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione
obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli
per sopravvenuta prescrizione […], può chiedere all’Istituto nazionale della
previdenza sociale di costituire […] una rendita vitalizia riversibile pari
alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria, che
spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi”, e
soggiunge, al quinto comma, che “il lavoratore, quando non possa ottenere
dal datore di lavoro la costituzione della rendita a norma del presente
articolo, può egli stesso sostituirsi al datore di lavoro, salvo il diritto al
risarcimento del danno”.
Come emerge dai lavori preparatori, si tratta di una
norma che attua un congegno di regolarizzazione contributiva che consente di
valorizzare, ai fini del trattamento pensionistico, quei periodi contributivi
per i quali si siano verificate omissioni contributive non sanabili per effetto
di prescrizione; e proprio per ciò, la dottrina e la giurisprudenza di questa
Corte, fin dal suo apparire, l’hanno considerata una norma strettamente
collegata alla previsione di cui all’art. 2116,
comma secondo, c.c., a norma del quale – com’è parimenti noto – “nei
casi in cui […] le istituzioni di previdenza e di assistenza, per mancata o
irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte
le prestazioni dovute, l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al
prestatore di lavoro”, ritenendola una forma di reintegrazione in forma
specifica del danno derivante dall’omessa contribuzione (così già Cass. n. 6088
del 1981, cui hanno dato continuità, tra le tante, Cass. nn. 6517 del 1986,
5825 del 1995, 14680 del 1999, 22751 del 2004, 2630 del 2014).
Sebbene le soluzioni dottrinali e giurisprudenziali
si siano poi nel tempo differenziate per ciò che concerne l’inquadramento del
titolo di responsabilità datoriale (se contrattuale o extracontrattuale) e, più
aspramente, circa la decorrenza della prescrizione di tale azione specifica (si
veda sul punto l’accurata ricostruzione di Cass. n. 14680 del 1999, i cui
principi di diritto – sebbene smentiti da Cass. n.
7853 del 2003 – sono stati successivamente ribaditi da Cass. n. 13836 del
2003, seguita da numerose successive conformi, e da ultimo riaffermati da Cass. S.U. n. 21302 del 2017), su un punto
l’elaborazione congiunta della dottrina e della giurisprudenza è rimasta ferma,
ed è che la costituzione della rendita non costituisce in alcun modo una
prestazione previdenziale, rappresentando piuttosto un modo (un
“congegno”, per usare le parole della relazione introduttiva ai già
citati lavori preparatori) per rimediare all’inadempimento datoriale
dell’obbligazione contributiva e ai danni che ne siano potuti derivare al
lavoratore: tant’è che, da ult., Cass. n. 32500 del 2021 ha escluso che la domanda
del lavoratore volta alla costituzione della rendita vitalizia ex art. 13, I. n. 1338/1962, sia
assoggettabile alla decadenza triennale di cui all’art. 47, d.P.R. n. 639/1970,
precisamente sul rilievo che essa non concerne affatto una prestazione
pensionistica, ma consiste piuttosto in un rimedio alla decurtazione
pensionistica conseguente all’omesso versamento dei contributi dovuti, che ha
natura e carattere risarcitorio del danno consistente nella necessità di
costituire la provvista per il beneficio sostitutivo della pensione.
Così inquadrata l’azione proposta nel presente
giudizio, risulta evidente l’errore in cui è incorsa la sentenza impugnata: il
principio della necessità della previa proposizione della domanda
amministrativa è infatti principio che questa Corte ha costantemente affermato
allorché il giudizio abbia ad oggetto una prestazione previdenziale (cfr. da
ult. Cass. nn. 19767 del 2017 e 6642 del 2020)
ed è dunque malamente invocato allorché, come nella specie, nessuna prestazione
previdenziale venga in rilievo.
Pertanto, assorbito il secondo motivo, il ricorso va
accolto e, cassata la sentenza impugnata, la causa va rinviata alla Corte
d’appello di Messina, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese
del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il
secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di
Messina, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio
di cassazione.