Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 ottobre 2022, n. 31508
Rapporto di lavoro, Trattenute per mancata applicazione del
massimale contributivo, Differenze retributive, Termine prescrizionale
Fatti di causa
1. Con sentenza pubblicata il 20.8.2014, il
Tribunale di Milano condannava la D.B. a restituire all’ex-dipendente C.M.R. le
trattenute operate per mancata applicazione del massimale contributivo di cui
all’art. 2, comma 18, L.
8.8.1995, n. 335, per l’intera durata del rapporto di lavoro (2002-2012),
pari ad € 205.177,00, maggiorati di interessi e rivalutazione.
2. La Corte d’appello di Milano, con la sentenza
indicata in epigrafe, in parziale riforma della decisione di primo grado,
appellata dalla D.B., dichiarava prescritti i crediti oggetto di causa maturati
sino al 31.1.2005, condannando il C. alla restituzione del maggior importo
percepito in esecuzione della sentenza di primo grado, oltre accessori;
confermando nel resto l’impugnata sentenza.
3. In tal senso, la Corte distrettuale riteneva
parzialmente fondata l’eccezione di prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 4) c.c., sollevata dalla convenuta in
primo grado, e sulla quale il primo Giudice non si era espresso, in base al
rilievo che l’oggetto della pretesa del lavoratore concerneva “differenze
retributive”, ma osservando che il termine prescrizionale era rimasto
“sospeso nel periodo intercorso fra il 1°.2.2010 – data in cui il C. ha
conseguito la qualifica dirigenziale – ed il licenziamento intimatogli il
10.1.12, durante il quale il rapporto lavorativo non è stato assistito da
stabilità reale”. Riteneva, invece, infondati gli ulteriori motivi
d’appello della D.B., avendo il Tribunale, ai fini dell’applicazione dell’art. 1227 c.c., “correttamente escluso che
gravasse su C. alcun obbligo di attivarsi per scoprire l’errore commesso dalla
datrice di lavoro ed evitare la produzione o l’aggravamento delle relative
conseguenze dannose”; nonché concordando “pienamente nelle
valutazioni operate dal primo Giudice in ordine alla natura meramente eventuale
ed ipotetica del vantaggio pensionistico conseguibile da C. in ragione degli
indebiti versamenti contributivi”.
4. Avverso la sentenza di secondo grado C.M.R. ha
proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
5. Ha resistito l’intimata D.B., con controricorso,
contenente ricorso incidentale, a mezzo di tre motivi.
6. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso principale, il
C., denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2941 cod.
civ., deduce che era del tutto errato affermare, come invece aveva fatto la
Corte di merito, che: “l’inconsapevolezza di C. in ordine alle erronee
trattenute non costituiva un ostacolo giuridico – bensì di mero fatto – alla
loro ripetizione, non potendo così integrare gli estremi di cui all’art. 2935 c.c., come interpretato dalla costante
giurisprudenza sopra richiamata”. Secondo detto ricorrente, infatti, se
tale inconsapevolezza del creditore è addebitabile non a lui, bensì al suo
debitore, non siamo di fronte ad un ostacolo di mero fatto, ma ad un ostacolo
giuridico. Ritiene lo stesso “che il codice civile, anche per una simile
ipotesi, senz’altro peculiare, presenti una soluzione, rappresentata
dall’applicabilità della sospensione ex art. 2941
cod. civ. n. 8 (diretta o per analogia), poiché quel che rileva è il
comportamento imputabile al debitore e che tale comportamento, sia esso doloso
o colposo, abbia causato nel creditore l’inconsapevolezza del proprio diritto.
Il C. è stato in grado di far valere il suo diritto, ai sensi dell’art. 2935 c.c., soltanto dal giorno in cui ha
avuto conoscenza dello stesso, con la dichiarazione del datore di lavoro
successiva alla cessazione del rapporto stesso”.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente principale
deduce “Violazione e falsa applicazione dell’art.
112 c.p.c., in relazione alla mancata qualificazione del caso in esame
quale illecito extracontrattuale ex art. 2043 c.c.,
con conseguente applicabilità del relativo regime prescrizionale ex art. 2947 c.c.”.
3. In ordine ad entrambi tali motivi, occorre
ricordare che questa Corte si è più volte espressa su casi analoghi a quello
che qui ci occupa di versamento in eccesso, da parte del datore di lavoro, dei
contributi previdenziali, anche per la quota a carico del lavoratore, mediante
correlative e precedenti trattenute dalla retribuzione dovuta a quest’ultimo.
In particolare, è stato deciso che, in tema di obbligazione contributiva nelle
assicurazioni obbligatorie, il datore di lavoro – che, ai sensi dell’art. 19 L. n. 218 del 1952, è
responsabile del pagamento dei contributi anche per la parte a carico dei
lavoratori che egli trattiene sulla retribuzione corrisposta ai medesimi – è
direttamente obbligato verso l’ente previdenziale anche per la parte a carico
dei lavoratori dei quali non è rappresentante ex lege. Ne consegue che, in
ipotesi di indebito contributivo, il datore di lavoro è l’unico legittimato
all’azione di ripetizione nei confronti dell’ente anche con riguardo alla quota
predetta, mentre il lavoratore che abbia subito l’indebita trattenuta può agire
nei confronti del datore di lavoro che ha eseguito la trattenuta stessa. In
merito a tale ultima eventualità, il credito azionato dal lavoratore ha natura
retributiva sicché, da un lato, ad esso si applicano la prescrizione
quinquennale ex art. 2948 n. 4 c.c. e l’art. 429 c.p.c. in materia di interessi e
rivalutazione e, dall’altro, esso può essere fatto valere indipendentemente
dall’avvenuto rimborso in favore del datore di lavoro dei contributi indebitamente
versati (così Cass. civ., sez. lav. 16.6.2001, n. 8175; e in termini id., sez.
lav., 25.9.2002, 13936, la quale ha specificato che il rapporto retributivo si
instaura solo tra datore e prestatore di lavoro, ed all’interno di esso hanno
natura retributiva anche le somme trattenute dal datore di lavoro e relative
alla quota di contributi a carico del lavoratore; ne consegue che legittimato
passivo nell’azione di adempimento proposta dal lavoratore al quale siano state
indebitamente trattenute sulla retribuzione è solo il datore di lavoro, al
quale il lavoratore può richiedere direttamente il pagamento della percentuale
di retribuzione non corrisposta perché indebitamente trattenuta, in quanto il
diritto alla integrità della retribuzione non è decurtabile se non nei rigorosi
limiti della reale sussistenza della obbligazione contributiva adempiuta).
4. In base, quindi, al testé specificato
inquadramento giuridico, anche la domanda di condanna formulata dal C. –
peraltro da lui proposta esclusivamente nei confronti dell’ex-datrice di lavoro
(e non anche contro un ente previdenziale), e da lui stesso rappresentata come
concernente “differenze retributive” e volta ad ottenere
l’adempimento della controparte del compenso per le prestazioni rese (secondo quanto
pur evidenziato dalla Corte di merito) -, è da qualificare appunto come tesa a
conseguire l’adempimento integrale dell’obbligazione a carico della datrice di
lavoro circa le retribuzioni dovutegli, illegittimamente decurtate per
trattenute afferenti a contributi poi pagati in eccesso dalla parte datoriale
all’INPS (nella specie, per la mancata considerazione del massimale
contributivo sancito dall’art. 2,
comma 18, L. n. 335/1995, pacificamente invece operante).
5. Pertanto, certamente infondato è il secondo
motivo del ricorso principale, nell’esposizione del quale si deduce che si era
chiesta “l’applicazione del principio in tema di responsabilità
extracontrattuale, secondo la quale la prescrizione non decorre dal momento
della commissione del fatto illecito, bensì dal momento in cui il danno si
rileva ed è rilevabile e quindi, nel nostro caso, nel momento in cui il datore
di lavoro ebbe a comunicare di aver commesso l’errore (si veda il doc. 6 fascicolo
primo grado C.)”. A prescindere, infatti, dal rilievo che il ricorrente
principale non specifica in quale fase e contesto processuali avesse
prospettato tale diversa qualificazione giuridica della sua domanda, vanamente
egli ora sostiene che: “Nell’ambito del rapporto di lavoro possono
sussistere anche ipotesi di responsabilità extracontrattuale”. Assume in
tal senso che, nella specie, “Il sinallagma prestazione
lavorativa-corrispettivo nel caso in esame risulta soddisfatto, nel senso che
il datore di lavoro ha riconosciuto la dovuta retribuzione al dipendente,
imputandola in favore dello stesso, salvo operare una trattenuta contributiva
superiore al dovuto, ignorando la norma di legge che imponeva il
massimale”. Sennonché, ciò che lo stesso ricorrente così rappresenta, nel
rapporto contrattuale tra prestatore di lavoro e datrice di lavoro, costituisce
un inadempimento dell’obbligazione retributiva, essendo ininfluente il dato che
la retribuzione mensile fosse stata ogni volta correttamente quantificata, salvo
essere contestualmente falcidiata da trattenute contributive di parecchio
eccedenti il dovuto. Né l’aver ignorato la norma di legge che imponeva il
massimale contributivo, in seno al medesimo rapporto contrattuale, fa sì che le
trattenute eccessive eseguite da parte datoriale integrino un illecito
aquiliano.
Invero, trattenute del genere, quale che ne sia la
causale contingente, circa la retribuzione comportano invariabilmente che essa
sia corrisposta al lavoratore in misura inferiore al dovuto, così integrando un
parziale inadempimento dell’obbligazione retributiva principale che incombe sul
datore di lavoro.
In proposito, mette conto aggiungere che la
terminologia talvolta adoperata dai giudici di merito (ma anche dalle parti) di
questo procedimento lì dove si parla di “restituzione” o di
“restituire”, in relazione alla condanna richiesta dal lavoratore, è
imprecisa e fuorviante. Ha senso, infatti, parlare di restituzione in ordine a
qualcosa che prima della stessa fosse stato corrisposto da qualcuno ad un altro
soggetto, laddove nella fattispecie in esame il lavoratore non aveva
corrisposto alcunché alla datrice di lavoro, ma si era visto ab origine
corrispondere ogni volta retribuzioni inferiori al dovuto, a motivo delle
trattenute eccessive a titolo di contributi, correlative a parti della sua
retribuzione mensile delle quali egli mai aveva avuto la disponibilità.
Ciò precisato a scanso di possibili equivoci, la
Corte d’appello, nel dare conto che già il primo giudice aveva escluso
l’applicabilità al caso dell’art. 2033 c.c.,
“vertendosi in materia di pagamento di retribuzioni erroneamente non
erogate” (cfr. pag. 3 dell’impugnata sentenza), e non quindi in tema di
ripetizione d’indebito, di là dalle cennate imprecisioni terminologiche,
nondimeno aveva chiaramente e incensurabilmente sussunto la pretesa creditoria
fatta valere dal C. in un’azione di adempimento relativa a differenze
retributive (cfr. in particolare pagg. 4-5 della sua sentenza), in linea con
l’orientamento di legittimità in precedenza richiamato.
Per conseguenza, non doveva trovare nella specie
applicazione il regime prescrizionale di cui all’art.
2947 c.c., non potendosi certamente addebitare al giudice di secondo grado
di aver scorrettamente qualificato la pretesa creditoria del lavoratore.
6. Con precipuo riferimento al primo motivo del
ricorso principale, a torto vi si sostiene che le fattispecie esaminate dalla
Suprema Corte nelle pronunce richiamate dal giudice di secondo grado (e, cioè,
Cass., sez. lav., 27.6.2011, n. 14163, e, in senso conforme, id., sez. VI,
7.3.2012, n. 3584; id., sez. III, 6.10.2014, n. 21026), non avrebbero
“nulla a che fare con il caso in esame, trattandosi di vicende nelle quali
i titolari dei diritti prescritti avevano conoscenza dei loro diritti, ovvero
l’avrebbero avuta, se avessero usato l’ordinaria diligenza, perché la mera
ignoranza non giustifica alcunché: tale situazione rende senz’altro rilevante
l’inerzia del titolare del diritto”. Invero, i richiamati precedenti sono
espressivi di un consolidato indirizzo di legittimità, secondo il quale
l’impossibilità di far valere il diritto, alla quale l’art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto
impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da
cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non comprende anche gli
impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 prevede solo specifiche e tassative
ipotesi di sospensione tra le quali, salvo l’ipotesi di dolo prevista dal n. 8
del citato articolo, non rientra l’ignoranza, da parte del titolare, del fatto
generatore del suo diritto, né il dubbio soggettivo sulla esistenza di tale
diritto ed il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento. Il
ricorrente principale intenderebbe far leva su dati fattuali e relativi
apprezzamenti, evidenziati dalla stessa Corte di merito, e cioè che l’errore
commesso dalla datrice di lavoro, non tempestivamente individuato da
quest’ultima (che pure disponeva di apposito ufficio deputato alla gestione dei
rapporti di lavoro), “neppure poteva ritenersi ragionevolmente
riscontrabile con l’ordinaria diligenza ad opera del dipendente”, per
sostenere in definitiva che l’inconsapevolezza a riguardo del lavoratore
(creditore delle differenze retributive derivanti dai prelievi contributivi
eccedenti il dovuto) non a lui addebitabile sfuggirebbe alla qualificazione in
termini di mera ignoranza. Con l’ulteriore conseguenza che tale situazione
costituirebbe un ostacolo giuridico, e non di mero fatto, all’esercizio del suo
diritto di credito. In contrario, però, è sufficiente sottolineare che sempre
questa Corte, nell’ambito del suddetto indirizzo interpretativo, ha specificato
che all’ipotesi d’impedimento di fatto va ricondotta l’ignoranza del titolare,
colpevole o meno ch’essa sia, salvo derivi da un comportamento doloso della
controparte, come desumibile dalla ratio dell’art.
2941 n. 8 c.c. (così Cass., sez. II, 28.1.2004, n. 1547). Pertanto, pur
assumendosi che l’ignoranza delle trattenute eccessive in capo al lavoratore
non gli fosse addebitabile, e che fossero le stesse trattenute invece
addebitabili in via esclusiva alla controparte datoriale, non essendo stato
neppure dedotto, prima che accertato, che tale comportamento della datrice di
lavoro integrasse gli estremi del doloso occultamento dell’esistenza del
debito, ciò che il ricorrente principale pretende di trarre dagli accertamenti
sul punto della Corte di merito permane nell’area dell’impedimento di fatto. Né
è predicabile, in termini estensivi o analogici, un’equipollenza di quanto
accertato in termini di colpa della datrice di lavoro debitrice e detto doloso
occultamento del debito, essendosi visto che, a termini dell’art. 2941 c.c., sono specifiche e tassative le
ipotesi di impedimenti soggettivi o ostacoli di mero fatto all’esercizio del
diritto che possono dar luogo a mera sospensione del corso della prescrizione.
7. Con il primo motivo del ricorso incidentale,
l’intimata D.B. fa valere “Violazione e falsa applicazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. degli artt. 2935, 2941, 2942 e 2948 n. 4 c.c.,
nella parte in cui la sentenza impugnata non ha tenuto conto anche del periodo
successivo alla risoluzione del rapporto di lavoro di cui è causa al fine di
calcolare il periodo prescritto.
8. Con il secondo motivo dello stesso ricorso
incidentale, si denuncia violazione e falsa applicazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. degli artt. 1227, 1175, 1374, 1375, 2727 e 2729 c.c.,
poiché la sentenza non tiene conto della condotta omissiva del lavoratore nella
causazione del danno pretesamente lamentato; in ogni caso, omesso esame circa
un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti ex art. 360 n. 5 c.p.c.
9. Con il suo terzo motivo, infine, la ricorrente
incidentale lamenta violazione e falsa applicazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. degli artt. 1223, 1226, 1227 e 1241 e 2697 c.c., e 112, 115, 116 e 421 c.p.c., poiché la sentenza non ha tenuto conto
dei sicuri vantaggi conseguiti dal ricorrente dalla maggiore contribuzione
versata, anche e soprattutto dalla banca, e dallo stesso acquisita; in ogni
caso, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto
di discussione tra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c.
10. Ebbene, circa il secondo motivo del ricorso
incidentale è sufficiente sottolineare l’irrilevanza dell’inerzia del lavoratore
quale comportamento rilevante in termini di contributo causale del creditore ex
art. 1227 c.c.
10.1. In relazione al terzo motivo dello stesso
ricorso incidentale, deve porsi in luce, da un lato, il carattere meramente eventuale
ed ipotetico dei presunti enunciati vantaggi derivanti dalla maggiore
contribuzione previdenziale (vantaggi, cioè, relativi a pensione indiretta ai
superstiti, pensione di invalidità e di vecchiaia) e, dall’altro, la carenza di
indicazioni in ordine alle relative allegazioni poste a fondamento dell’assunto
nel giudizio di merito, sede nella quale le eventuali evenienze favorevoli si
sarebbero dovute valutare.
10.2. Entrambi i suddetti motivi, perciò, devono
essere disattesi.
11. Fondato, invece, è il primo motivo del ricorso
incidentale.
In proposito, occorre premettere che la Corte di
merito aveva considerato che il periodo interessato dalle trattenute eccessive
coincideva con l’intera durata del rapporto lavorativo, dall’assunzione in data
30.7.2002 fino alla cessazione del rapporto in data 10.1.2012, ma che il C.
aveva conseguito la qualifica dirigenziale l’1.2.2010, con la conseguente
sospensione del decorso della prescrizione a far tempo da tale data per la
mancanza di stabilità reale del rapporto.
La stessa Corte ha reputato prescritto il diritto
alla “restituzione” (rectius, al pagamento integrale) per “i
crediti oggetto di causa maturati oltre il quinquennio antecedente al
conferimento della qualifica dirigenziale e precisamente sino al 31.1.05”.
Secondo la ricorrente incidentale, però, la Corte
d’appello ha “errato là dove non ha tenuto conto del fatto che la
prescrizione ha ripreso a decorrere dal giorno successivo al licenziamento
(intimato il 10.1.2012), venendo meno da allora ogni condizione sospensiva del
potere individuale di far valere i propri diritti”.
11.1. Ebbene, a seguito delle note sentenze della
Corte costituzionale, che hanno interessato il regime della prescrizione del
diritto alla retribuzione, la giurisprudenza di legittimità configura la
sospensione del corso della prescrizione di tale diritto in costanza di
rapporto (che costituisce la regola in subjecta materia: cfr. Cass. civ., sez. lav., 6.5.2012, n. 7640) come
dipendente dall’assenza di stabilità reale del rapporto (assenza nella specie
ricorrente dall’1.2.2010 sino alla fine del rapporto il 10.1.2012). Ma la Corte
territoriale, pur avendo appunto ritenuto che il termine prescrizionale fosse
rimasto sospeso nel periodo intercorso fra l’1.2.2010 (data in cui il C. aveva
conseguito la qualifica dirigenziale) e il licenziamento intimatogli il
10.1.2012 (periodo durante il quale il rapporto lavorativo non è stato
assistito da stabilità reale), non ha poi considerato che, stante tale mera
sospensione (e non interruzione) del termine prescrizionale, la prescrizione
aveva ripreso a correre una volta cessato il rapporto lavorativo, con
conseguente falsa applicazione delle norme che governano il regime della
prescrizione per tali crediti retributivi.
12. Pertanto, la decisione gravata dev’essere
cassata in relazione al primo motivo del ricorso incidentale, con rinvio alla
Corte d’appello di Milano in diversa composizione, la quale provvederà a
regolare le spese anche per questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale; accoglie il primo
motivo del ricorso incidentale e rigetta il secondo ed il terzo motivo dello
stesso ricorso. Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla
Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere
anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a
norma del comma 1-bis, dello stesso
articolo 13, ove dovuto.