Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 ottobre 2022, n. 31339
Pensione di anzianità, Art. 1, co. 265, lett. c), I. n.
208/2015, Applicabilità della disciplina previgente, Innalzamento
dell’età pensionabile, Requisiti di accesso, Insussistenza
Con sentenza depositata il 3.4.2020, la Corte
d’appello di Firenze, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato
la domanda di A.R. volta all’accertamento del proprio diritto alla pensione di
anzianità.
La Corte, in particolare, ha ritenuto che l’art. 1, comma 265, lett. c), I. n.
208/2015, nel prevedere per determinate categorie di lavoratori c.d.
salvaguardati la permanenza delle disposizioni in materia di requisiti di
accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della entrata in vigore
dell’articolo 24, d.l. n.
201/2011 (conv. con I. n. 214/2011),
avesse richiamato la disciplina previgente nella sua interezza, ivi compresa
quella relativa al progressivo innalzamento dell’età pensionabile, di talché,
non possedendo l’istante il requisito risultante dalla somma degli anni di età
anagrafica e di contributi versati vigente all’epoca della domanda di pensione,
la sua pretesa doveva reputarsi sfornita di base normativa.
Avverso tali statuizioni A.R. ha proposto ricorso
per cassazione, deducendo un unico motivo di censura. L’INPS ha resistito con
controricorso. Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte con cui
ha chiesto il rigetto del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di censura, il ricorrente
denuncia violazione e falsa applicazione l’art. 1, comma 265, lett. c), I. n.
208/2015, per avere la Corte ritenuto che la norma cit., nel prevedere per
determinate categorie di lavoratori c.d. salvaguardati la permanenza delle
disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze
vigenti prima della entrata in vigore dell’articolo 24, d.l. n. 201/2011
(conv. con I. n. 214/2011), avesse richiamato
la disciplina previgente nella sua interezza, ivi compresa quella relativa al
progressivo innalzamento dell’età pensionabile: a suo avviso, infatti,
l’innalzamento progressivo dell’età pensionabile secondo le aspettative di
vita, ancorché disposto dall’art.
12, comma 12-ter, I. n. 122/2010, sarebbe entrato a regime solo a decorrere
dal 2013, di talché non poteva reputarsi vigente alla data del 6.12.2011, ossia
alla data di entrata in vigore del d.l. n.
201/2011, cit., per modo che, avendo a tale data egli maturato la c.d.
“quota 96” (60 anni d’età e 36 anni di anzianità contributiva), non
potevano nei suoi confronti trovare applicazione le previsioni della legge n. 247/2007, che a decorrere dall’anno 2013
aveva previsto l’innalzamento alla superiore “quota 97” dei requisiti
anagrafici e contributivi per l’accesso alla pensione.
Il motivo è infondato.
Va premesso che l’art. 1, comma 265, lett. c), I. n.
208/2015, si inserisce nel novero delle c.d. misure di salvaguardia (ma
trattasi propriamente di regimi derogatori) di cui già ai commi 14 e 15 dell’art. 24, dl. n. 201/2011 (conv.
con I. n. 214/2011), i quali, coevamente
all’introduzione delle nuove e più severe misure di accesso al trattamento
pensionistico di cui all’art. 24,
commi 1 ss., d.l. cit. (emanate allo scopo di “garantire il rispetto degli
impegni internazionali e con l’Unione europea, dei vincoli di bilancio, la
stabilità economico-finanziaria e a rafforzare la sostenibilità di lungo
periodo del sistema pensionistico in termini di incidenza della spesa
previdenziale sul prodotto interno lordo”: art. 24, comma 1, d.l. n. 201/2011),
hanno previsto che le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di
regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore di
quest’ultimo continuassero ad applicarsi, rispettivamente, a coloro che li
avessero maturati entro il 31.12.2011, alle lavoratrici (autonome e
subordinate) che, ex art. 1, comma
9, I. n. 243/2004, avessero esercitato o esercitassero entro il 2015
l’opzione per la liquidazione integrale della propria pensione con il (meno
favorevole) metodo contributivo e, da ultimo, e “nei limiti del numero di
50.000 lavoratori beneficiari, ancorché maturino i requisiti per l’accesso al
pensionamento successivamente al 31 dicembre 2011”, a tutta un’ulteriore
platea di soggetti che, anteriormente all’entrata in vigore della riforma,
avevano posto fine al rapporto di lavoro nella prospettiva di maturare il
diritto alla pensione avvalendosi di istituti come la mobilità, l’integrazione
al reddito a carico dei fondi di solidarietà, la prosecuzione volontaria della
retribuzione, l’esonero, l’aspettativa speciale per l’assistenza ai figli
disabili gravi o l’incentivo all’esodo (cfr. art. 24, comma 14, d.l. n. 201/2011,
cit.).
Com’è stato puntualmente rilevato in dottrina, la
riforma pensionistica attuata nel 2011 si è infatti profondamente distaccata
dalle modalità con cui, negli anni precedenti, si era proceduto al progressivo
inasprimento dei requisiti per l’accesso ai trattamenti pensionistici, avendo
sostituito al tradizionale doppio canale di salvaguardia (costituito da un
regime transitorio di carattere generale e da uno specifico per i lavoratori in
esubero) un unico meccanismo, che non solo è riservato a determinate categorie
di lavoratori, ma è da costoro accessibile nei limiti delle risorse finanziarie
messe a disposizione: nella sua formulazione originaria, il comma 15 dell’art. 24, d.l. n. 201/2011, cit.,
predeterminava infatti in 50.000 il numero massimo di lavoratori e lavoratrici
beneficiari della deroga e, nell’istituire un “monitoraggio” a carico
degli enti previdenziali per ciò che concerneva le domande di pensione
formulate in relazione ai requisiti previgenti, prevedeva che “qualora dal
predetto monitoraggio risult[asse] il raggiungimento del numero di 50.000
domande di pensione”, gli enti non avrebbero più dovuto prendere “in
esame ulteriori domande di pensionamento finalizzate ad usufruire dei benefici
previsti dalla disposizione di cui al presente comma”.
Proprio per ciò, l’incidenza originaria della norma
– rimasta inalterata nella sua previsione di fondo di circoscrivere il novero
dei beneficiari della deroga entro un limite numerico predeterminato (adesso
individuato con un decreto ministeriale: cfr. lamodifica apportata all’art. 24, comma 15, cit., dall’art. 1, comma 1, I. n. 214/2011) – è stata
successivamente rimaneggiata sia da disposizioni che hanno riguardato la sua
formulazione originaria sia da altre ad essa esterne, che hanno perseguito il
duplice scopo ora di ampliare il novero dei beneficiari della deroga, ora di
prolungare il periodo della durata di essa: e ciò allo scopo di rimediare al
grave problema sociale ingenerato dalla previsione del contingentamento forzoso
dei beneficiari dell’ultrattività della precedente e più favorevole disciplina
di accesso al trattamento pensionistico, molti dei quali, pur appartenendo alle
categorie individuate dal legislatore come meritevoli di conservarla, venivano
ad esserne esclusi in base al criterio meramente finanziario dell’esaurimento
delle risorse stanziate.
L’art.
1, comma 265, lett. c), I. n. 208/2015, cit., appartiene appunto al novero
di codesti rimaneggiamenti e si propone di ampliare ulteriormente la durata
della deroga rispetto a quanto originariamente previsto dall’art. 24, comma 14, d.l. n. 201/2011
e dalle successive modifiche e integrazioni: esso, infatti, per quanto qui
interessa, stabilisce che “le disposizioni in materia di requisiti di
accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in
vigore dell’articolo 24 del decreto-legge
6 dicembre 2011, n. 201, […] continuano ad applicarsi […] nel limite di
6.000 soggetti, ai lavoratori di cui all’articolo 1, comma 194, lettere b),
c) e d), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, i quali perfezionano i
requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico,
secondo la disciplina vigente prima della data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 201 del 2011, entro il
sessantesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011”.
Il riferimento ai “lavoratori di cui all’articolo 1, comma 194, lettere b),
c) e d), della legge 27 dicembre 2013, n. 147”, vale in particolare ad
individuare la categoria di beneficiari cui rivendica di appartenere l’odierno
ricorrente: trattasi infatti rispettivamente dei “lavoratori il cui
rapporto di lavoro si è risolto entro il 30 giugno 2012 in ragione di accordi
individuali sottoscritti anche ai sensi degli articoli
410, 411 e 412-ter
del codice di procedura civile, ovvero in applicazione di accordi
collettivi di incentivo all’esodo stipulati dalle organizzazioni
comparativamente più rappresentative a livello nazionale entro il 31 dicembre
2011, anche se hanno svolto, dopo il 30 giugno 2012, qualsiasi attività non riconducibile
a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato”, dei
“lavoratori il cui rapporto di lavoro si è risolto dopo il 30 giugno 2012
ed entro il 31 dicembre 2012 in ragione di accordi individuali sottoscritti
anche ai sensi degli articoli 410, 411 e 412-ter del
codice di procedura civile, ovvero in applicazione di accordi collettivi di
incentivo all’esodo stipulati dalle organizzazioni comparativamente più
rappresentative a livello nazionale entro il 31 dicembre 2011, anche se hanno
svolto, dopo la cessazione, qualsiasi attività non riconducibile a rapporto di
lavoro dipendente a tempo indeterminato” e dei “lavoratori il cui
rapporto di lavoro sia cessato per risoluzione unilaterale, nel periodo
compreso tra il 10 gennaio 2007 e il 31 dicembre 2011, anche se hanno svolto,
successivamente alla data di cessazione, qualsiasi attività non riconducibile a
rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato”, lavoratori che non
rientravano tra i destinatari della deroga prevista dall’art. 24, comma 14, d.l. n. 201/2011,
e a beneficio dei quali l’art.
1, comma 265, I. n. 208/2005, amplia la durata della deroga medesima
rispetto a quanto previsto dall’art.
1, comma 194, I. n. 147/2013, al fine di ricomprendervi anche coloro che,
sulla scorta dei requisiti previgenti al d.l. n.
201/2011, avrebbero maturato il trattamento pensionistico entro il
sessantesimo mese dall’entrata in vigore dell’art. 24, d.l. n. 201/2011.
Ciò posto, affatto correttamente i giudici
territoriali hanno ritenuto che la proposizione normativa secondo cui ai
lavoratori beneficiari del regime derogatorio “continuano ad
applicarsi” le “disposizioni in materia di requisiti di accesso e di
regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore dell’articolo 24 del decreto-legge 6
dicembre 2011, n. 201” andasse interpretata nel senso di un richiamo
alla disciplina previgente nella sua interezza, ivi compreso dunque l’art. 12, comma 12-ter, I. n. 122/2010,
che anteriormente al d.l. n. 201/2011 aveva
previsto il progressivo innalzamento dell’età pensionabile: il senso fatto
palese dalle parole del legislatore è infatti quello di accordare ai
beneficiari della deroga la possibilità di conseguire il trattamento
pensionistico come se l’art. 24,
d.l. n. 201/2011, non fosse mai entrato in vigore, ossia sulla scorta delle
disposizioni legislative ad esso previgenti, tra le quali non si possono non
includere anche quelle che – come l’art. 12, comma
12-ter, I. n. 122/2010, cit. – prevedevano che i requisiti di accesso e/o
la decorrenza del trattamento pensionistico variassero al trascorrere del
tempo; diversamente argomentando, la deroga accordata ai lavoratori destinatari
dell’art. 24, comma 14, d.l. n.
201/2011, e successive modifiche e integrazioni, finirebbe col concernere
non soltanto la non applicazione delle nuove disposizioni di cui all’art. 24, commi 1 ss., d.l. n.
201/2011, ma altresì le norme ad esso previgenti e che erano destinate a
trovare applicazione successivamente al 6.12.2011, al maturare delle condizioni
da esse di volta in volta previste: e quest’ultima è conclusione che non può
dirsi voluta né dalla lettera della legge né, a fortiori, dalla sua ratio, per
come dianzi ricostruita.
Il ricorso, pertanto, va rigettato. Tenuto conto
della novità e complessità delle questioni trattate, si ravvisano giusti motivi
per compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità, mentre, in
considerazione del rigetto del ricorso, vanno dichiarati sussistenti i
presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove
dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n.
115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.