Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 ottobre 2022, n. 40187

Lavoro, Società di autotrasporti, Manomissione del
cronotachigrafo, Reato ex art. 437 c. p.,
Esposizione al pericolo del lavoratore, Responsabilità del datore

Ritenuto in fatto

 

1. Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di
Milano ha riformato la condanna, emessa dal Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale in sede, in data 21 dicembre 2017, nei confronti di G.P.V., in
relazione al reato di cui all’art. 437, primo
comma, 81 secondo comma, cod. pen., concedendo all’imputato le circostanze
attenuanti generiche, con rideterminazione della pena irrogata in quella di
anni uno, mesi uno e giorni venti di reclusione e la concessione del beneficio
della sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento degli
importi indicati in dispositivo, entro tre mesi dall’irrevocabilità della
sentenza, nonché pronunciando, in accoglimento dell’appello delle parti civili,
la condanna risarcitoria.

1.1. Il giudice di primo grado aveva irrogato,
all’esito di rito abbreviato, la pena di anni uno, mesi otto di reclusione
rigettando le richieste delle parti civili.

1.2. Il procedimento ha ad oggetto l’imputazione di
cui all’art. 437 cod. pen., commessa dall’anno
2010 al 2013, consistita nella condotta dell’imputato, quale datore di lavoro,
esercitata rispetto all’adozione di cautele antinfortunistiche atte a garantire
la sicurezza delle condizioni di lavoro, con riferimento a 14 autisti.

In particolare, si ascrive al ricorrente, nella
qualità di titolare di più società di cui era amministratore, di aver
utilizzato specifici accorgimenti (magneti) per impedire il corretto
funzionamento del disco cronotachigrafo di bordo, così impedendo la
registrazione della velocità dei veicoli, dei tempi di guida e sosta, in
sostanza consentendo ai dipendenti la guida degli articolati per un numero di
ore superiore a quello di legge, determinando, peraltro, un’incidenza della
condotta sui periodi di riposo dei conducenti dei veicoli e, quindi, secondo i
giudici di merito, determinando maggior rischio di causare incidenti, a danno
della propria incolumità e della sicurezza pubblica.

Le indagini, di cui rendono conto i provvedimenti di
merito, avviate sulla base di denunce degli stessi dipendenti, hanno consentito
di accertare, attraverso l’apposizione del sistema di GPS sui veicoli, nonché
le dichiarazioni delle parti civili e soggetti terzi, rese anche in un procedimento
separato svolto dal Tribunale di Milano, nonché in base agli esiti della
perquisizione svolta il 13 ottobre 2013, l’avvenuta installazione sul
parabrezza dei veicoli, di calamite di forma circolare, che V. chiedeva ai
propri dipendenti di installare a bordo dei mezzi, secondo l’impostazione
accusatoria anche a seguito di minacce di licenziamento, fatto per il quale si
procede separatamente (fatto di cui all’art. 611
cod. pen., riqualificato in appello, ai sensi dell’art. 610 cod. pen. sentenza di secondo grado
annullata dalla Corte di cassazione con pronuncia della Sez. 5, n. 34999 del 29
ottobre 2020).

2.Avverso la descritta sentenza ha proposto
tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, avv.
M.E.C., denunciando sette vizi di seguito riassunti, nei limiti necessari per
la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att.
cod. proc. pen.

2.1. Con il primo motivo si denuncia inosservanza ed
erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 437 cod. pen. e 179 Codice della Strada, nonché
vizio di motivazione sul motivo di cui a pag. 15 e 16 dell’atto di appello.

Si denuncia inosservanza ed erronea applicazione
degli artt. 5, 47,
terzo comma, 437 primo comma, cod. pen. e 179 Codice della Strada, non
avendo la Corte d’appello, come devoluto con il motivo indicato a pag. 15 e 16
dell’atto di appello, ritenuto imprevedibile, alla data dei fatti, il principio
di diritto affermato dalla Corte di cassazione soltanto nel 2016.

Era stato dedotto, in sede di gravame, che vi era un
orientamento pacifico della giurisprudenza, sia di merito che di legittimità,
alla data dei fatti, nel senso dell’esclusione dell’illiceità penale del
comportamento, ai sensi dell’art. 437 cod. pen.,
quanto alla manomissione del cronotachigrafo, punita esclusivamente ex art. 179 cit.

Ciò, fino alla pronuncia della sentenza della
sezione Prima penale di questa Corte n. 47211 del 2016.

Dunque, a parere della difesa, come dedotto con
l’atto di appello, vi era difetto dell’elemento soggettivo del reato, perché,
alla data dei fatti (fino al 2013), non poteva essere nemmeno prevedibile la
qualificazione del fatto, ai sensi dell’art. 437
cod. pen., come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità.

Si richiama la sentenza delle Sezioni unite di
questa Corte (n. 1235 del 2012, dep. 2011) che
esplicita che il principio di legalità si collega proprio ai valori
dell’accessibilità della norma violata e della prevedibilità della sanzione,
nonché la giurisprudenza comunitaria secondo la quale è riconosciuta la
violazione del principio di legalità in caso di mutamento sfavorevole non
prevedibile e di sua applicazione retroattiva contra reum (cfr. pag. 13 del
ricorso).

Si riportano casi esaminati dalla Corte di
giustizia, in cui vi erano orientamenti contrastanti, conclusi nel senso di
reputare irretroattivo il cambio di giurisprudenza, ove l’interpretazione
giurisprudenziale giunga ad un risultato non ragionevolmente prevedibile al
momento dell’infrazione commessa (cfr. pag. 14).

Nel caso di specie, si sottolinea, poi, che non vi
era nemmeno contrasto interpretativo rispetto al principio di specialità tra l’art. 437 cod. pen. e l’art. 179 Codice della Strada e
che, in sostanza, vi è stata la vera e propria creazione giurisprudenziale di
una figura, quella dell’alterazione dolosa del cronotachigrafo, che viene
indebitamente applicata retroattivamente dai giudici di merito, perché
l’indirizzo giurisprudenziale in tal senso si è consolidato soltanto dal 2016
in poi.

Si deduce, quindi, omessa motivazione da parte della
Corte territoriale, nonché violazione dell’art. 7 CEDU perché si applica
retroattivamente un principio di diritto contra reum, enunciato per la prima
volta nel 2016, senza valutare se, alla stregua dei principi di accessibilità
della norma violata e della prevedibilità della sanzione, poteva essere
prevedibile e riconoscibile al momento del fatto, l’interpretazione data, con
conseguente esclusione della colpevolezza.

2.2. Con il secondo motivo si denuncia inosservanza
ed erronea applicazione della legge penale (artt.
81, 157 e 158
cod. pen., 437, primo comma, cod. pen.)
nonché vizio di motivazione circa la natura permanente omissiva del reato, in
riferimento anche all’accertamento dei reati rispetto alle singole parti
civili, come dedotto nel giudizio di appello, con motivi nuovi.

Si sostiene che la condotta contestata sarebbe
quella di cui alla seconda parte dell’art. 437,
comma, cod. pen., ove si punisce il datore di lavoro che danneggi
apparecchi destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro.

Di qui la contraddizione insita nella contestazione
contenuta nel capo di imputazione che descrive come omissiva una condotta che
sarebbe, invece, di natura commissiva in quanto attuata attraverso
l’imposizione, anche attraverso minacce, dell’installazione dei magneti.

In ogni caso, la difesa deduce che i singoli reati
in esame coincidono con il singolo viaggio, quindi con l’applicazione e
disinnesto del magnete, istante in cui si interromperebbe l’esposizione al
pericolo del lavoratore, incidendo, peraltro, soltanto sulla sfera del singolo
autista rispetto al quale è contestato al V. di aver imposto di guidare con
l’apparecchio manomesso.

Dunque, errerebbe la Corte d’appello nel ritenere
che la condotta sia permanente, sino alla data finale della contestazione
(maggio 2013).

Si riportano precedenti di legittimità che
distinguono, all’interno dello stesso reato di cui all’art. 437 cod. pen., tra la condotta solo omissiva
e quella di rimozione delle cautele contro infortuni sul lavoro.

In tale ultimo caso, la consumazione del reato,
quando si tratta di attività che frusta il funzionamento del dispositivo o
apparecchio, coincide con l’esecuzione dell’attività che compromette la
funzione di prevenzione del pericolo del cronotachigrafo.

Si tratta, a parere del ricorrente, di reato
istantaneo con effetti permanenti.

Nel procedimento parallelo, infatti, la Corte di
cassazione ha ordinato alla Corte d’appello di individuare le singole condotte
e collegarle alle diverse persone offese, nell’ambito del periodo temporale in
contestazione, anche per la valutazione dell’eventuale prescrizione dei reati.

In definitiva errerebbe la Corte territoriale, nel
ritenere la condotta unitaria permanente sino al maggio 2013.

2.3. Con il terzo motivo si deduce inosservanza ed
erronea applicazione dell’art. 81, secondo
comma, 157 e 158
cod. pen. e vizio di motivazione, con riferimento al tempus commissi delicti,
questione sollevata con i motivi aggiunti.

Si è rilevato con l’appello che sarebbe stato
necessario l’accertamento dei singoli fatti consistiti nella apposizione dei
magneti così permettendo l’elusione della corretta registrazione dei dati sui
cronotachigrafi digitali.

Tanto che risultano acquisiti i verbali di
contestazione della violazione dell’art. 179 Codice della Strada che
si riportano analiticamente, a pag. 28 del ricorso, escludendo che per quattro
persone offese, costituite parti civili (J.J. C., P. e M.), non sarebbe mai
stato elevato a tale titolo alcun verbale.

Si sostiene che l’interruzione dell’esposizione al
pericolo viene fatta coincidere dalla Corte territoriale con la cessazione del
rapporto di lavoro, mentre questa cessa con la disinstallazione del magnete.

Quanto all’entità del danno, dunque, per i
lavoratori che non avevano mai ricevuto contravvenzione per aver guidato con la
calamita installata a bordo, questa non sarà produttiva nemmeno del danno
morale perché non sussiste alcuna esposizione al pericolo.

Di qui la necessità di precisare nei confronti di
quali persone offese sia stata accertata l’installazione dei magneti.

In definitiva la Corte territoriale avrebbe confuso
gli effetti permanenti del reato, con la sua stessa natura.

Si precisano, pur tenendo conto delle sospensioni,
le singole prescrizioni in relazione ai diversi lavoratori che sono stati
fermati con a bordo i magneti (cfr. pag. 32 e ss. del ricorso).

2.4. Con il quarto motivo
si denuncia inosservanza ed erronea applicazione di legge penale e vizio di
motivazione, in relazione agli artt. 40, 437 comma primo, cod. pen. e 192 cod. proc. pen.

La Corte territoriale ha stigmatizzato la condotta
del ricorrente nella parte in cui non ha disincentivato adeguatamente,
adottando specifiche misure ad hoc, l’uso dei magneti su iniziativa degli
stessi autisti come avvenuto in alcuni episodi accertati nel giudizio di
merito.

Sul punto si osserva che, per le contravvenzioni al
codice della strada elevate in tali occasioni, il datore di lavoro aveva
provveduto ad addebitarne il costo all’autista, nonché aveva adottato appositi
provvedimenti disciplinari e aveva sostituito gli strumenti con apparecchi di
ultima generazione che impediscono l’alterazione del flusso dei dati di
viaggio.

Si tratta di circostanze documentate anche nel corso
del giudizio di appello.

Dunque, la motivazione offerta dalla Corte
territoriale sarebbe affetta da illogicità e contraddittorietà.

2.5. Con il quinto motivo si denuncia inosservanza o
erronea applicazione di legge penale quanto alla qualificazione del
cronotachigrafo digitale.

Il cronotachigrafo, secondo la difesa, svolge la
stessa funzione dei dischi cartacei cronotachigrafici, diretti al mero
controllo del veicolo e del conducente, con funzioni assimilabili alla
“scatola nera”.

Non si tratterebbe, quindi, di strumento di cautela
adottata contro gli infortuni sul lavoro.

Al pari di qualsiasi registro, come per i dischi
cartacei, invece, esso assolve ad una funzione non preordinata alla sicurezza,
non attivando alcuna precauzione.

Ciò era stato dedotto con l’atto di appello,
nell’invocare l’assoluzione perché il fatto non sussiste e, invece, la Corte
territoriale avrebbe omesso di motivare sul punto.

2.6. Con il sesto motivo si denuncia violazione di
norme previste a pena di nullità, in relazione all’art.
179, comma 1,cod. proc. pen. e 584 cod. proc.
pen. Per omessa citazione dell’imputato in appello a seguito di
impugnazione proposta dalla parte civile, mai notificata.

Si eccepisce che l’atto di appello delle parti
civili non è stato notificato all’imputato e che di detta impugnazione il V.
non ha potuto avere conoscenza nemmeno dal decreto di citazione (oltre che
nella sentenza di secondo grado) che indica, come parte appellante, il solo
imputato.

Si sottolinea che il procedimento è stato svolto a
trattazione scritta, ai sensi dell’art.
23 del d.l. n. 149 del 2020,e si insite per l’annullamento delle
statuizioni civili.

2.7. Con il settimo motivo si denunciano vizi di cui
all’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod.
proc. pen., in relazione agli artt. 192 cod proc. pen., 40,
185, 437 cod. pen.
9.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 ottobre 2022, n. 40187
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