Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 ottobre 2022, n. 31958
Rapporto di lavoro, Netturbino, Adibizione a mansioni
incompatibili con la condizione fisica, Responsabilità extracontrattuale da
fatto illecito del datore, Danno da perdita parentale, Risarcimento
Rilevato
che, con sentenza del 13 ottobre 2016, la Corte
d’Appello di Catanzaro confermava la decisione resa dal Tribunale di Cosenza ed
accoglieva la domanda proposta da R.R. ed E. e G.G. nella qualità di eredi di
R.G. nei confronti del Comune di Colosimi, alle cui dipendenze il G. operava
con inquadramento nella categoria A3 e mansioni di netturbino e autista di
autocarri, avente ad oggetto l’accertamento della responsabilità dell’Ente per
la morte del G. intervenuta a seguito di infarto acuto del miocardio;
che la decisione della Corte territoriale discende
dall’aver questa ritenuto, non diversamente dal primo giudice, sussistere a
carico del Comune la responsabilità extracontrattuale da fatto illecito (per
essere stato causa della perdita parentale) anche con riguardo all’elemento
psicologico, potendosi imputare all’Ente un comportamento colposo consistito
nella perdurante adibizione del dipendente, reiterata nel giorno dell’evento, a
mansioni, quelle di netturbino-autista comprovate in giudizio, che già da tre
anni prima erano state certificate come incompatibili con la sua condizione
fisica, in relazione ad una inabilità lavorativa stimata dalla Commissione
medica in misura pari a 2/3;
che per la cassazione di tale decisione ricorre il Comune
di Colosimi, affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resistono, con
controricorso, gli eredi G.;
Considerato
che, con il primo motivo, il Comune ricorrente, nel
denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 437, comma 2, c.p.c.
anche in relazione agli artt. 112, 115 e 416, comma 3, c.p.c., lamenta la non
conformità a diritto del pronunciamento della Corte territoriale circa la
ritenuta inammissibilità per tardività della prova documentale prodotta dal
Comune ricorrente in sede di appello al fine di attestare la falsa
dichiarazione resa in primo grado dal teste indotto dagli istanti, confutando
altresì l’ulteriore ratio della decisione data dall’essere stata comunque
raggiunta la prova delle circostanze di fatto relative alle modalità di
esecuzione della prestazione nel giorno dell’evento letale per la non
contestazione di quanto a riguardo allegato, a motivo del non essere state
quelle circostanze fatte oggetto di “specifica allegazione” nell’atto
introduttivo ed essere state, di contro, ampiamente contestate;
che, con il secondo motivo, denunciando la
violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. anche in relazione
agli artt. 2697 c.c. e 99 e 112 c.p.c., il Comune ricorrente lamenta a carico
della Corte territoriale di aver accolto la domanda degli istanti sotto il
profilo del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale loro spettante
iure proprio in relazione alla riconosciuta responsabilità da fatto illecito
per essere stato causa della perdita parentale laddove tale domanda difettava
processualmente di allegazione della causa petendi (ancora una volta l’omessa
specificazione delle circostanze in cui era maturato l’evento) e in sostanza
della stessa configurazione del “fatto illecito” ex art. 2043 c.c. da
cui soltanto poteva derivare l’insorgenza di diritti risarcitori propri
dell’erede per aver subito un danno ingiusto riconducibile all’art. 2059 c.c.;
che nel terzo motivo, rubricato con riferimento al
vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, il Comune
ricorrente imputa alla Corte territoriale l’incongruità logica e giuridica
dell’apprezzamento in termini di mero errore materiale del riferimento ai
criteri di liquidazione del danno biologico operato dal primo giudice nel
procedere alla liquidazione del danno non patrimoniale da perdita parentale il
solo riconosciuto risarcibile ed il mantenimento di tale parametro nella
valutazione della correttezza della decisione sul punto da parte del primo
giudice, sostenendo trattarsi di un modo processualmente inammissibile di
superare, attraverso l’aggancio ad un riferimento oggettivo, le carenze di
allegazione e prova sulla consistenza del riconosciuto danno non patrimoniale
da fatto illecito spettante iure proprio,il cui accoglimento avrebbe richiesto
l’assolvimento rigoroso di quegli oneri;
– che appare opportuno evidenziare come,
unitariamente considerata, l’impugnazione proposta sia volta a censurare l’aver
la Corte territoriale disatteso l’impostazione di fondo della posizione
difensiva del Comune, data dal non aver gli istanti specificamente allegato e
provato le circostanze di fatto relative alla modalità di esecuzione della
prestazione da parte del G. nel giorno dell’evento ovvero il “fatto
illecito”, la cui comprovata riconducibilità al comportamento dell’Ente
soltanto varrebbe a fondare in capo al medesimo la riconosciuta responsabilità
extracontrattuale ex art. 2043 c.c. ed il diritto attribuito agli istanti al
risarcimento del danno non patrimoniale maturato iure proprio in ragione del
danno ingiusto subito per la perdita parentale, derivandone la non conformità a
diritto, sul piano processuale e sostanziale, della dichiarata responsabilità
extracontrattuale dell’Ente per difetto di allegazione e prova del fatto
illecito, se non addirittura della stessa causa petendi, che si assume non
essere stata neppure prospettata, per essere il petitum fondato soltanto sulla
deduzione della violazione dell’obbligo contrattuale ex art. 2087 c.c., e della
condanna al risarcimento del danno non patrimoniale tanto nell’an che nel
quantum, mancando, in ragione ancora una volta della carenza di allegazione e
prova del fatto illecito e così del danno ingiusto e della sua consistenza, gli
elementi in fatto sulla base dei quali procedere all’accertamento della loro
ricorrenza;
– che è a dirsi come, così impostata, l’impugnazione
si rivela complessivamente infondata atteso che la censura di cui al primo
motivo non vale ad inficiare il pronunciamento della Corte territoriale circa
la raggiunta prova delle circostanze di fatto relative alla modalità di
esecuzione della prestazione da parte del G. nel giorno dell’evento non
misurandosi, così da risultare inammissibile, con la ratio decidendi sottesa
alla pronunzia, incentrata sul disconoscimento della falsità della dichiarazione
testimoniale che il ricorrente vorrebbe attestata dalla prova documentale che
la Corte territoriale non ha ritenuto ammissibile, illegittimamente a detta del
ricorrente, per risultare da quella prova l’assenza del teste dal lavoro nella
giornata dell’evento letale e l’erroneità dell’indicazione dell’orario di
lavoro osservato, disconoscimento basato sull’apprezzamento, qui insindacabile,
in termini di corrispondenza al vero di quanto dal teste riferito essere a sua
conoscenza circa le circostanze di fatto relative alla modalità di esecuzione
della prestazione da parte del G. nel giorno dell’evento per averne auto
cognizione, allorché, pur essendo assente dal luogo di lavoro, circostanza
ricavabile dal tenore della dichiarazione resa in giudizio, era stato nel
pomeriggio di quel giorno raggiunto telefonicamente dall’ufficio perché
intervenisse in aiuto del G. nello svolgimento dell’attività che al medesimo
era stata affidata;
– che da qui discende la correttezza della pronunzia
resa dalla Corte territoriale circa la configurabilità del fatto illecito
imputabile al Comune ricorrente, dato dall’impiego del G. in quella giornata,
come in quelle precedenti, in mansioni che già da anni erano state certificate
incompatibili con il suo stato di salute, la ricorrenza del danno ingiusto
subito dagli istanti per la perdita parentale, la sussistenza del diritto iure
proprio al risarcimento di quel danno, l’utilizzabilità della tabella del
Tribunale di Milano quale parametro per la liquidazione del danno conseguente
alla perdita di un congiunto in favore del coniuge e dei figli, considerato in
quella tabella, derivandone l’assoluta infondatezza del secondo e del terzo
motivo;
che, pertanto, il ricorso va rigettato;
che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate
come da dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
(pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro
200,00 per esborsi ed euro 10.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15%
ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, se dovuto.