Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 ottobre 2022, n. 31505
Lavoro, Operaio agricolo a tempo determinato, Indennità di
disoccupazione agricola, Terzo elemento, Computo, Inclusione
Fatti di causa
1. Il signor S. V. Z., operaio agricolo a tempo
determinato, ha agito in giudizio nei confronti dell’INPS, con ricorso del 21
maggio 2015, e ha chiesto di ricalcolare l’indennità di disoccupazione agricola
per l’anno 2013 anche sulla base del “terzo elemento” e quindi di
accreditare la corrispondente contribuzione figurativa.
Il “terzo elemento” è quella parte di
corrispettivo che compensa gli operai agricoli a tempo determinato per il
mancato godimento d’istituti contrattuali che spettano agli operai agricoli a
tempo indeterminato, come le festività nazionali e infrasettimanali, le ferie,
la tredicesima e la quattordicesima mensilità.
L’art.
49 del contratto collettivo nazionale di lavoro per gli operai agricoli e
florovivaisti del 25 maggio 2010 parametra la misura del “terzo
elemento” a una percentuale, pari al 30,44%, del salario contrattuale,
così come definito dal contratto provinciale.
Nella specie, ai fini della determinazione del
salario, viene in rilievo l’art. 14 del contratto collettivo provinciale per
gli operai agricoli e florovivaisti della Provincia di Reggio Calabria,
stipulato il 14 marzo 2013.
Con sentenza pubblicata il 21 novembre 2017 con il
numero 1469/2017, il Tribunale di Palmi ha rigettato il ricorso.
2. La decisione è stata appellata da S. V. Z..
Con sentenza pronunciata il 7 maggio 2019 e
pubblicata nella medesima data con il numero 502 del 2019, la Corte d’appello
di Reggio Calabria ha respinto il gravame, compensando integralmente le spese
del grado.
A fondamento della decisione, la Corte territoriale
ha argomentato che:
a) il salario indicato nel contratto provinciale del
2013 già ingloba il “terzo elemento”, «senza alcuna necessità di
esplicita previsione»: a questa conclusione si giunge sulla base di una
«interpretazione sistematica secondo l’art. 1363
c.c.»;
b) le valutazioni del giudice di primo grado sono
rafforzate dal dato logico, non efficacemente confutato nell’atto d’appello,
che i contributi di assistenza contrattuale e quelli extra legem, pari
all’1,50% della retribuzione globalmente percepita, sono computati in base alle
tabelle contrattuali nell’importo di Euro 0,64: l’importo indicato corrisponde
proprio all’1,50% dell’ammontare della retribuzione, in quanto già comprensivo
del “terzo elemento”, e sarebbe più elevato, se fossero fondate le
obiezioni dell’appellante, che considera la retribuzione conteggiata nel
contratto come un importo che non incorpora il “terzo elemento”;
c) non si possono trarre argomenti di segno
contrario dal comportamento dell’INPS, che è parte estranea all’accordo
contrattuale: solo il comportamento dei contraenti, in base all’art. 1362 cod. civ., può essere invocato per
interpretare il senso delle clausole negoziali;
d) neppure giova all’appellante richiamare il
comportamento dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative sul piano nazionale, che hanno sottoscritto il contratto
provinciale del 2013 e hanno partecipato alla commissione centrale che concorre
alla determinazione dei salari medi: non solo il contratto del 2013 non
ingenera incertezze interpretative, che debbano essere risolte sulla scorta di
elementi estranei al testo dell’accordo, ma la determinazione del salario medio
convenzionale non può fornire utili elementi di valutazione, poiché non
rappresenta «un’operazione automatica di riversamento della contrattazione
collettiva, ma il frutto di una complessa operazione di rilevazione delle medie
tra le retribuzioni previste dalla contrattazione provinciale»;
e) il rigetto della domanda di rideterminazione
dell’indennità di disoccupazione agricola implica il rigetto della domanda
consequenziale in ordine al quantum della contribuzione figurativa;
f) si deve confermare, «[i]n assenza di specifico
motivo», la regolamentazione delle spese adottata dal giudice di primo grado,
in quanto l’appellante si duole di tale statuizione solo perché ritiene fondate
le domande proposte;
g) le spese del gravame possono essere compensate
tra le parti, in considerazione delle «asperità interpretative affatto
peculiari» delle questioni dibattute, dei ragionevoli dubbi ingenerati dalla
documentazione proveniente dall’INPS e della «sproporzione economica fra le
parti».
3. Con ricorso notificato via PEC il 5 novembre 2019
e affidato a quattro motivi, illustrati da memoria, S. V. Z. chiede di cassare
la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria, che non è stata
notificata.
4. L’INPS resiste con controricorso, illustrato da
memoria depositata in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio.
5. Il ricorso è stato fissato per la trattazione in
camera di consiglio dinanzi a questa sezione, in base agli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1. cod. proc. civ.
6. Il pubblico ministero non ha depositato
conclusioni scritte.
Ragioni della decisione
1. Il signor S. V. Z., a fondamento della richiesta
di cassare la sentenza n. 502 del 2019, pronunciata dalla Corte d’appello di
Reggio Calabria, articola quattro motivi di ricorso.
1.1. Con il primo mezzo, il ricorrente denuncia, in
riferimento all’art. 360, primo comma; n. 3, cod.
proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod.
civ. e dell’art. 49 del
contratto collettivo nazionale per gli operai agricoli e florovivaisti del 25
maggio 2010 e dell’art. 14 del contratto collettivo provinciale per gli
operai agricoli e i florovivaisti per la Provincia di Reggio Calabria del 14
marzo 2013.
Avrebbe errato la – Corte territoriale
nell’escludere la maggiorazione del 30,44% a titolo di “terzo
elemento” del salario, in quanto:
a) il dato letterale della tabella allegata al
contratto collettivo provinciale è insuperabile e richiama in maniera univoca
la paga base, cui si deve aggiungere il “terzo elemento”: i contratti
collettivi conclusi in epoca anteriore, quando hanno inteso cumulare le due
componenti, lo hanno indicato a chiare lettere, indicazione che nel caso di
specie non si riscontra;
b) anche il comportamento successivo alla
conclusione del contratto rafforza l’interpretazione letterale e getta luce
sulla comune intenzione dei contraenti: la necessità d’incrementare la paga
base del “terzo elemento” è stata condivisa dalle organizzazioni
sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, che hanno
sottoscritto il contratto collettivo provinciale del 2013 e, insieme al direttore
generale dell’INPS, fanno parte della Commissione centrale, incaricata della
determinazione annuale dei salari medi provinciali degli operai agricoli a
tempo determinato;
c) il salario medio provinciale per gli operai
agricoli a tempo determinato è stato determinato sulla scorta della paga base
prevista dal contratto collettivo provinciale del 14 marzo 2013, maggiorata del
“terzo elemento”, e la paga base, così accresciuta, è stata
considerata anche per la rilevazione nazionale dei salari agricoli medi,
parametro di riferimento per la determinazione dei contributi che gli operai
agricoli autonomi devono versare.
1.2. Con la seconda censura, il signor Z. denuncia,
ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.
proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 32 della legge 29 aprile
1949, n. 264 (Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di
assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati), dell’art. 3 del decreto-legge 23
dicembre 1977, n. 942 (Provvedimenti in materia previdenziale), convertito,
con modificazioni, nella legge 27 febbraio 1978, n.
41, e dell’art. 8 della
legge 23 aprile 1981, n. 155 (Adeguamento delle strutture e delle procedure
per la liquidazione urgente delle pensioni e per i trattamenti di
disoccupazione, e misure urgenti in materia previdenziale e pensionistica).
La sentenza impugnata avrebbe erroneamente negato il
diritto al computo della contribuzione figurativa, riconosciuto a favore degli
operai agricoli dalla normativa menzionata, anche ai fini della determinazione
delle prestazioni previdenziali.
1.3. Con il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il
ricorrente censura la violazione o la falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ. e imputa alla Corte di
merito di non aver condannato l’INPS, in virtù dell’accoglimento del gravame,
alla rifusione delle spese del giudizio.
1.4. Con la quarta doglianza, il ricorrente deduce,
infine, in relazione all’art. 360, primo comma, n.
3, cod. proc. civ., la violazione o la falsa applicazione dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ. Incurante
della dichiarazione di esonero, presentata nel grado d’appello ai sensi dell’art.. 152 disp. att. cod. proc. civ., la Corte
territoriale avrebbe omesso di provvedere alla «rideterminazione della
soccombenza nel giudizio din[n]anzi al Tribunale», disponendo «la compensazione
in entrambi i gradi del procedimento».
2. Il primo motivo dev’essere disatteso.
2.1. Giova premettere, a tale riguardo, che la
violazione o la falsa applicazione dei contratti collettivi di lavoro può
essere denunciata ai sensi dell’art. 360, primo comma,
n. 3, cod. proc. civ. limitatamente ai contratti collettivi nazionali.
Per quel che concerne i contratti collettivi
provinciali, al pari dei contratti di diritto comune, possono essere dedotte
nel giudizio di legittimità soltanto la violazione delle regole di ermeneutica
contrattuale di cui all’art. 1362 e seguenti del
codice civile o l’omessa disamina di fatti decisivi (Cass., sez. lav., 16
dicembre 2021, n. 40400, e di recente, sempre in controversie promosse per l’attribuzione
del “terzo elemento” del salario, Cass., sez. VI-L, 30 giugno 2022,
n. 20916, e 24 giugno 2022, n. 20497, punto 14 della motivazione per entrambe
le ordinanze, e Cass., sez. VI-L, 23 giugno 2022, n. 20286, punto 13, e 23
giugno 2022, n. 20277, punto 14).
Per costante orientamento di questa Corte,
l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto,
riservato al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità, se non
nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di
cui all’art. 1362 e seguenti cod. civ., o di
motivazione inadeguata o inidonea a consentire la ricostruzione dell’iter
logico seguito per giungere alla decisione.
Il ricorrente ha l’onere di specificare le regole
legali d’interpretazione che assume siano state violate e d’illustrare come e
con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato (Cass., sez. lav., 15 novembre 2013, n. 25728).
Per sottrarsi al sindacato di legittimità,
l’interpretazione data al contratto dal giudice di merito non dev’essere
l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle
possibili, e plausibili, interpretazioni. Pertanto, quando di una clausola contrattuale
siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che ha
proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede
di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (fra le molte, di
recente, Cass., sez. III, 18 luglio 2022, n. 22532).
Alla stregua di tali principi, nel dirimere il
medesimo contenzioso riguardante il computo del “terzo elemento” nel
salario degli operai agricoli a tempo determinato, questa Corte ha
puntualizzato che «la censura per cassazione dell’interpretazione del contratto
fatta propria dal giudice di merito non può risolversi nella mera
prospettazione di un’interpretazione ritenuta più confacente alle aspettative
della parte ricorrente rispetto a quella accolta nella sentenza impugnata» (fra
le altre, di recente, Cass., sez. VI-L, 1° giugno
2022, n. 17808 e n. 17807).
2.2. Ciò posto, si deve rilevare che la sentenza
impugnata è immune dai vizi denunciati.
Nel decidere analoghe controversie, inerenti al
computo del “terzo elemento” ai fini della determinazione
dell’indennità di disoccupazione agricola, questa Corte, anche di recente, ha
ritenuto la motivazione offerta dalla medesima Corte di merito «ampia, completa
e logica» (Cass., sez. lav., 18 luglio 2022, n.
22496, n. 22495, n. 22494, n. 22493, n.
22492 e n. 22491).
Tale valutazione s’attaglia anche all’odierna
fattispecie.
La Corte di merito non ha negato che il “terzo elemento”
«debba entrare a far parte della retribuzione spettante agli operai a tempo
determinato, siccome emolumento che remunera festività nazionali e
infrasettimanali, ferie, tredicesima e quattordicesima mensilità, né che esso
debba essere pari al 30,44% del salario contrattuale come definito dal
contratto provinciale» (sentenza n. 40400 del 2021, cit.).
All’esito di un’interpretazione sistematica del
testo contrattuale, la Corte reggina è approdata alla conclusione che la
retribuzione spettante agli operai agricoli a tempo determinato in forza
dell’art. 14 del contratto collettivo provinciale del 14 marzo 2013 sia già
comprensiva del “terzo elemento”, calcolato quale maggiorazione del
30,44% della retribuzione spettante agli operai a tempo indeterminato.
La decisione impugnata, nell’attribuire rilievo
preminente all’art. 1363 cod. civ. e nel fare
buon governo di tale criterio, è conforme a diritto, in quanto il menzionato
canone ermeneutico riveste importanza primaria nell’interpretazione dei
contratti collettivi di diritto comune.
In tal senso militano «la natura complessa e
particolare dell’iter formativo della contrattazione sindacale, la non agevole
ricostruzione della comune volontà delle parti contrattuali attraverso il mero
riferimento al senso letterale delle parole, l’articolazione della
contrattazione su diversi livelli, la vastità e complessità della materia
trattata in ragione dei molteplici profili della posizione lavorativa e, da
ultimo, il particolare linguaggio in uso nel settore delle relazioni
industriali, che include il ricorso a strumenti sconosciuti alla negoziazione
tra parti private quali preamboli, premesse, note a verbale» (sentenza n. 40400
del 2021, cit.). L’interpretazione sisterriatica non solo è corroborata
dall’accurata analisi del testo contrattuale e dalla ricognizione delle
peculiarità della componente retributiva del “terzo elemento” (pagina
2, punti da A.1. ad A.5.), ma attinge ulteriore forza persuasiva dal raffronto
con i testi dei precedenti contratti collettivi provinciali (pagine 2 e 3,
punto A.6.) e da elementi logici d’innegabile peso. In tale prospettiva, il
giudice d’appello non manca di ponderare la mancata previsione di speciali
aumenti a beneficio degli operai agricoli a tempo determinato (pagina 3, punto
A.7.) e la precisa quantificazione dei contributi di assistenza contrattuale ed
extra legem (pagine 3 e 4, punto A.8.), che collima con l’interpretazione
prescelta dai giudici di prime e di seconde cure e che per contro mal si concilia
con la tesi perorata dalla parte ricorrente.
A fronte di tali dati testuali e logici, univoci e
convergenti, appaiono privi di concludenza e ambivalenti i dati di segno
antitetico che la parte ricorrente ambisce a desumere dal comportamento delle
parti (pagina 4 della sentenza impugnata).
La Corte di merito, con valutazione che non è stata
scalfita da critiche di sorta, ha osservato che al comportamento dell’INPS non
si può annettere alcun rilievo, in quanto è soggetto estraneo agli accordi
oggetto d’interpretazione (pagina 4, punto A.10.).
Anche con riguardo al comportamento delle
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, la
Corte d’appello ha offerto una motivazione congrua e coerente, per escludere
che gli elementi equivoci di tale comportamento possano lumeggiare il senso di
un contratto scevro da «reali incertezze», che richiedano, per essere
dissipate, il ricorso a elementi extratestuali.
Da quest’angolo visuale, la Corte d’appello ha posto
l’accento sulle differenze che intercorrono tra la determinazione del salario
medio convenzionale, in quanto «frutto di una complessa operazione di
rilevazione delle medie tra le retribuzioni previste dalla contrattazione
provinciale», e la stipulazione del contratto collettivo provinciale, rilevante
per la determinazione del salario e del “terzo elemento” che entra a
comporlo (pagina 4, il secondo punto A.10. e il punto A.11.).
Peraltro, come rileva l’INPS nel controricorso, una
diversa interpretazione sarebbe foriera di una sperequazione ingiustificata tra
il trattamento retributivo degli operai agricoli a tempo determinato e quello
degli operai agricoli a tempo indeterminato, con un vantaggio sproporzionato a
beneficio dei primi.
Contro quest’esaustiva ricostruzione del senso delle
clausole invocate nell’odierno giudizio, s’infrange il motivo di ricorso, che
si limita a riproporre gli argomenti già disattesi dai giudici di primo e di
secondo grado e a contrapporre all’interpretazione privilegiata dalla Corte di
merito una diversa, più appagante, lettura delle previsioni negoziali.
Né la memoria illustrativa, che si attarda su temi
estranei al perimetro della censura e, in particolare, sui sistemi
d’individuazione della retribuzione contributiva in agricoltura e sulla rilevanza
del salario medio ai fini del calcolo dei contributi e delle prestazioni
temporanee, delinea argomenti che possano indurre questa Corte, sulla specifica
questione posta con il motivo di ricorso, a deflettere da un orientamento
oramai consolidato e avallato da numerose pronunce, richiamate anche dall’INPS
nella memoria illustrativa.
A diverse conclusioni non può indurre neppure
l’accenno, racchiuso soltanto nelle conclusioni del ricorso, senza alcun
supporto argomentativo che valga a renderlo meno evanescente, alla questione di
legittimità costituzionale dell’art.
1, comma 55, della legge 24 dicembre 2007, n. 247 (Norme di attuazione del
Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per
favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia
di lavoro e previdenza sociale), e dell’art. 1, commi 4 e 5, del decreto-legge
10 gennaio 2006, n. 2 (Interventi urgenti per i settori dell’agricoltura,
dell’agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d’impresa),
convertito, con modificazioni, nella legge 11 marzo
2006, n. 81.
Neppure nella memoria illustrativa, cui sarebbe
comunque preclusa l’introduzione di temi nuovi rispetto a quelli prospettati
nel ricorso, la parte ricorrente dimostra la decisività di tale eccezione
d’illegittimità costituzionale rispetto alla circoscritta questione ermeneutica
che è sottesa al primo motivo di ricorso.
Le considerazioni svolte inducono dunque ad
escludere le denunciate violazioni di legge.
3. Il rigetto del primo motivo determina
l’assorbimento del secondo, che tende a rivendicare l’accredito della
contribuzione figurativa, sul presupposto della fondatezza della prima censura.
Entrambe le doglianze simul stabunt simul cadent.
4. Anche il terzo motivo, per le medesime ragioni,
dev’essere dichiarato assorbito, poiché muove dalla premessa che la sentenza
impugnata sia viziata in iure e che, alla stregua della soccombenza dell’INPS,
vagheggiata dalla parte ricorrente, si debbano liquidare le spese dei vari
gradi di giudizio in applicazione rigorosa della regola victus victori (art. 91 cod. proc. civ.).
5. Infondata, infine, è la quarta censura.
5.1. La parte ricorrente evidenzia (pagina 14 del
ricorso) che la dichiarazione di esonero era presente nella fase d’appello e
che questo avrebbe dovuto indurre la Corte reggina a compensare le spese
d’entrambi i gradi di giudizio.
Nel motivo di ricorso, sono frammisti profili
eterogenei, attinenti, per un verso, alla compensazione delle spese del
giudizio (art. 92 cod. proc. civ.), e, per
altro verso, alla diversa fattispecie dell’irripetibilità delle spese sancita
dall’art. 152 disp. att. cod. proc. civ., che
forma oggetto dello specifico motivo di ricorso dedotto nell’odierno giudizio.
5.2. A tale riguardo, questa Corte è costante
nell’affermare – e ha ribadito in controversie affini a quella odierna – che,
in tema di esenzione dal pagamento di spese, competenze e onorari nei giudizi
per prestazioni previdenziali, l’art. 152 disp.
att. cod. proc. civ. (nel testo modificato dall’art. 42, comma 11, del d.l. n. 269
del 2003, come convertito nella legge n. 326
del 2003), va interpretato nel senso che della ricorrenza delle condizioni
di esonero si deve dar conto nell’atto introduttivo del giudizio.
Ne discende che la dichiarazione resa in grado
successivo al primo non può comportare per la parte, che non l’abbia allegata
al giudizio di primo grado, l’esonero dalle spese di quel procedimento: la
legge, invero, riconnette a tale dichiarazione un’assunzione di responsabilità
che, oltre ad essere personalissima e non delegabile al difensore, segna il
punto di bilanciamento tra l’esigenza di assicurare l’effettivo accesso alla
tutela di diritti costituzionalmente garantiti e quella di prevenire e
reprimere gli abusi tramite controlli, questi ultimi chiaramente preclusi ove
si consentisse l’ingresso nel processo di dichiarazioni di autocertificazione
per il passato (sentenza n. 40400 del 2021, cit.).
Non vi sono ragioni per discostarsi da tali
affermazioni di principio, che questa Corte ha confermato a più riprese
(ordinanza n. 20916 del 2022, cit., punto 20) e che la parte ricorrente neppure
induce a rimeditare con argomenti meritevoli di considerazione. La dichiarazione
di esonero presentata nel giudizio d’appello non implica l’irripetibilità delle
spese del primo grado. Non merita censure, pertanto, la decisione della Corte
d’appello che si è conformata a tali principi di diritto e non ha riconosciuto
l’efficacia, per il primo grado, d’una dichiarazione che la stessa parte
ricorrente riferisce essere stata resa solo in fase di gravame.
6. Il ricorso, in conclusione, dev’essere rigettato.
7. Nessuna statuizione si deve adottare in ordine al
riparto delle spese di lite, in quanto è versata in atti – ed è richiamata
nelle conclusioni del ricorso per cassazione – rituale dichiarazione di esonero
ex art. 152 disp. att. cod. proc. civ.,
sottoscritta dalla parte.
8. Come già si è statuito in analoghe controversie
(fra le molte, ordinanze n. 22496 e n. 20916
del 2022, cit.), l’integrale rigetto del ricorso costituisce il presupposto, di
cui occorre dare atto con la presente ordinanza (Cass., S.U., 27 novembre 2015,
n. 24245) ai sensi dell’art. 13,
comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il pagamento a
carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello per l’impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20
febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dell’art. 13 del d.P.R. n.
115 del 2002, ove dovuto.