Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 ottobre 2022, n. 31510

Lavoro, Indennità di turno, Differenze retributive, Decreto
ingiuntivo, Opposizione, Violazione di contratti e accordi collettivi
aziendali, indicati come nazionali, Inammissibilità del ricorso

Fatti di causa

 

1. Con sentenza n. 5762/2015, il Tribunale di Roma
rigettava l’opposizione proposta da A. s.p.a. avverso il decreto, con cui lo
stesso tribunale aveva ingiunto a detta società di pagare al dipendente G.M. la
somma di € 25.795, oltre accessori, a titolo di differenze di retribuzione
relativa alle ore di lavoro eseguite durante i turni diurni e notturni, in
relazione al periodo 2004/2011.

2. La Corte d’appello di Roma, con la sentenza
indicata in epigrafe, rigettava l’appello proposto dalla A. contro la decisione
di primo grado.

3. Avverso la sentenza di secondo grado la A. ha
proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

4. Ha resistito l’intimato G., mediante
controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso, la A.,
denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., deduce la
“Violazione della disciplina di cui al libro IV – titolo I – Capo I c.p.c.
sul procedimento di ingiunzione: (I) inosservanza della condizione di
inammissibilità del procedimento di ingiunzione di cui all’art. 633 c.p.c. n. 1; (II) insussistenza della
prova scritta del credito di cui all’art. 634
c.p.c.”.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia ex
“art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. la
violazione e falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di
lavoro”, sotto due distinti profili, e cioè:

“A) per la ritenuta applicabilità nel caso di
specie della disciplina prevista dall’art. 6 bis del verbale di accordo
sottoscritto in data 7 marzo 1995 e dell’8 maggio 1996 tra Enel s.p.a. e le
00.SS., sotto il profilo del valore economico costituente la base di
riferimento per la determinazione del trattamento economico dell’indennità di
turno”;

e “B) in ordine alla rilevata applicabilità
della contrattazione collettiva nell’ipotesi di trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c.”.

3. Benché il primo motivo faccia riferimento al
mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 3), cod.
proc. civ., essendo fatta valere la violazione di norme processuali (ossia,
i richiamati artt. 633 e 634 cod. proc. civ.), esso dev’essere piuttosto
ricondotto all’ipotesi di cui al n. 4) dello stesso primo comma dell’art. 360 del codice di rito civile.

4. Più in particolare, con tale mezzo la ricorrente
ripropone un’eccezione preliminare circa l’ammissibilità del ricorso alla
procedura monitoria da parte dell’odierno intimato, dal punto di vista
dell’aver fornito prova scritta del credito azionato; eccezione, questa, già
sollevata in sede d’opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto da quest’ultimo,
e che aveva ancora fatto valere quale primo motivo d’appello contro la sentenza
di primo grado.

5. Tale primo motivo è infondato. Va ricordato,
infatti, che, secondo un consolidato orientamento di questa Corte,
l’opposizione a decreto ingiuntivo, anche quando è proposta allo scopo di
sostenere la illegittimità del ricorso alla procedura sommaria, instaura
comunque un giudizio di merito sul credito vantato e fatto valere dal
ricorrente con la richiesta – che assume veste di domanda – del decreto di
ingiunzione, ed il relativo giudizio, anche quando il decreto sia revocato sul
presupposto che non poteva essere concesso, si conclude con una pronuncia di
merito sulla dedotta pretesa (così, ex multis, Cass.
n. 19560/2009).

6. Conseguentemente, la questione posta con la prima
censura, relativa alla sussistenza della prova scritta idonea a legittimare il
ricorso al procedimento monitorio, non ha pregio nella presente fase
processuale.

7. Circa il secondo motivo, giova premettere che,
secondo questa Corte, la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei
contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato
dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40,
art. 2, è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto,
sicché anch’essa comporta, in sede di legittimità, l’interpretazione delle loro
clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 ss. c.c.) come criterio interpretativo
diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della
congruità della motivazione, senza più necessità, a pena di inammissibilità
della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate
e dei principi in esse contenuti, né del discostamento da parte del giudice di
merito dai canoni legali assunti come violati o di una loro applicazione sulla
base di argomentazioni illogiche o insufficienti (così, di recente, Cass. civ.,
sez. lav., 8.7.2020, n. 14378).

Inoltre, tale denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cit., della violazione o
falsa applicazione dei contratti collettivi di lavoro è ammissibile
limitatamente ai contratti nazionali (cfr. Cass. civ., sez. lav. 14.1.2021, n.
551).

8. Orbene, il secondo motivo di ricorso, come
premesso, fa riferimento appunto alla “violazione e falsa applicazione dei
contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro” ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ma la prima parte
in cui si articola la censura (quella sub A) esordisce come segue: “La
Sentenza quivi impugnata risulta illegittima, sotto il profilo della violazione
e falsa applicazione di contratti e accordi collettivi di lavoro, pertanto si
censura l’affermazione di cui alle pagine 4 e 5 della stessa Sentenza in quanto
la Corte de quo afferma che: “con ipotesi di accordo del 29.1.2002
stipulato tra A. e 00. SS. (in cui si dava atto, in adempimento degli obblighi
nascenti dal D.Igs. n. 79 del 1999, della cessione degli impianti di
distribuzione dell’energia elettrica dell’Enel spa e della cessione del
relativo ramo di azienda ad A. Distribuzione spa in data 1.7.2001), le parti
stabilivano, nelle more di un diverso accordo, di mantenere il trattamento dei
lavoratori turnisti, così come disciplinato dai verbali di accordo Enel del 7
marzo 1995 e 8 maggio 1996 e di determinare i valori economici di riferimento
ai quali applicare le maggiorazioni del 46% e del 76% per il trattamento di cui
sopra come determinati nella retribuzione in atto al 30.6.2001”. L’esposizione
della doglianza prosegue, ma è sufficiente per ora sottolineare che la prima
affermazione censurata dalla ricorrente attiene, non già ad un contratto o
accordo collettivo nazionale di lavoro, ma a un accordo aziendale, quale era
indubbiamente l’ipotesi di accordo stipulato il 29.1.2002 tra la stessa A. e le
organizzazioni sindacali.

Inoltre, la ricorrente, sempre nello sviluppo di
questa prima parte del mezzo in esame, espone che: <secondo
l’interpretazione della Corte territoriale, non avrebbe pregio “il
richiamo che l’appellante fa al verbale di incontro sottoscritto il 26 giugno
2001 tra Federelettrica ed 00.SS. (il cui contenuto è stato integralmente
richiamato al punto 4 del verbale sottoscritto da A. Distribuzione, Enel
Distribuzione e 00.SS. il 28.6.2001) … “>; ma anche a riguardo, sia
pure per il tramite di tale integrale richiamo, viene in considerazione altro
accordo, quello del 26.6.2001, che non risulta essere di natura nazionale.

Ancor dopo si asserisce essere “evidente la
violazione dell’art. 360 1° comma n° 3 c.p.c.
per falsa applicazione di contratti collettivi di lavoro e la consequenziale
illegittimità della sentenza impugnata, per aver ritenuto applicabile al caso
di specie il citato Accordo del 1995, asseritamente richiamato dal Verbale di
Accordo 19.01.2002, senza tenere minimamente conto del complessivo quadro
normativo e contrattuale di riferimento (ivi compreso l’art. 1, comma 6, del
D.Lgs. n. 79/99, si veda infra), nonché delle intese raggiunte dalle parti
sociali interessate, che individuano inequivocabilmente il CCNL Federelettrica
del 9.07.1996 quale unica base di riferimento per la determinazione
dell’indennità di turno alla fattispecie di cui è causa”, senza, tuttavia,
specificare di cosa precisamente la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto.
La ricorrente, infatti, allude ad un “complessivo quadro normativo e
contrattuale di riferimento” e a non meglio precisate intese raggiunte
dalle parti interessate, mancando d’indicare le precipue previsioni testuali di
queste fonti che sarebbero state pretermesse.

Di seguito, viene intravista una contraddizione
nella decisione gravata, riportandosi che <la stessa Sentenza rilevi come ai
sensi del successivo Verbale di Accordo del 23.06.2011 intervenuto tra la
Società ed altre società del Gruppo A. e le 00.SS. interessate, si dà atto che
la disciplina del trattamento dei turnisti “doveva rinvenirsi nel
combinato disposto delle diverse norme in materia del ccnl federelettrica del
9.7.96”>. Anche in queste deduzioni si fa cenno ad un’ennesima fonte
collettiva non nazionale, l’accordo del 23.6.2011, ma per giunta si attribuisce
alla Corte territoriale, riportandolo tra virgolette, un passo che non si
riscontra nella sua sentenza.

Pure altrove nell’esposizione di questa prima parte
del motivo si torna a far riferimento alla già menzionata ipotesi di accordo
del 29.1.2002 (cfr. pagg. 22-23 del ricorso), che sarebbe stata ratificata il
18.3.2002, quindi sempre in ambito aziendale, e non nazionale.

9. Quanto, poi, al secondo profilo in cui si
articola il motivo in esame (quello sub B), in esso anzitutto vi si riporta la
parte motiva della pronuncia gravata nella quale è affrontato l’altro motivo di
appello dell’attuale ricorrente, relativo alla “rilevata applicabilità
della contrattazione collettiva nell’ipotesi di trasferimento di azienda,
secondo la quale la contrattazione collettiva dell’impresa cedente è sostituita
immediatamente ed in tutto da quella applicata nell’impresa cessionaria anche
se più sfavorevole”.

9.1. Ebbene, la ricorrente non pare considerare che
appunto nel passo motivazionale richiamato (alle facciate 5-6 della sentenza)
la Corte territoriale aveva, tra l’altro, precisato “che la sostituzione
della disciplina collettiva del cedente (n.d.r.: vale a dire, di Enel s.p.a.)
con quella del cessionario (n.d.r., cioè, di A.) nella fattispecie in esame è
stata oggetto di c.d. Accordi di armonizzazione, conseguiti in sede di
procedura sindacale ex art. 47,
Legge 428/1990”, e che anche tali accordi non risulta avessero rango
di contratti o accordi collettivi nazionali.

9.2. Peraltro, lo svolgimento di questa parte del
secondo motivo è in termini assertivi e perplessi, tra l’altro, deducendosi che
“si giunse alla stipula di un c.d. “contratto di ingresso”
finalizzato ad armonizzare i diritti quesiti con il trattamento in atto”
(così a pag. 31 del ricorso), senza peraltro fornire la benché minima
indicazione ulteriore a riguardo, e, per giunta, successivamente sostenendo che
“anche laddove non fosse stato stipulato nella specie un contratto
d’ingresso nel contesto del trasferimento di azienda, la disciplina
contrattuale Enel si sarebbe dovuta applicare per al massimo un triennio per
poi essere sostituita da quella del CCNL Federelettrica” (così tra le pag.
32 e la pag. 33 del ricorso). Per tal modo, dandosi, prima, per certa la
stipula del contratto di ingresso e, poi, formulandosi l’ipotesi della mancata
stipulazione del medesimo contratto.

9.3. Ritiene, allora, il Collegio che il secondo
motivo di ricorso nel suo complesso sia inammissibile ad un duplice titolo, sia
per difetto dell’occorrente specificità sotto il profilo della pertinenza
rispetto a quanto effettivamente considerato dal giudice di secondo grado sia,
e soprattutto, perché, in base ai precedenti rilievi, è di tutta evidenza che
viene in considerazione una serie di accordi sì collettivi, ma aziendali, e
comunque non nazionali, sebbene anche in relazione a fonti collettive di rango
nazionale, di talché risultano inammissibili doglianze che, denunciando ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c. la
violazione o falsa applicazione di contratti e accordi collettivi, indicati
come “nazionali”, sono svolte promiscuamente anche in relazione ad
accordi che nazionali non sono.

10. In definitiva, il ricorso va respinto, con
conseguente condanna della soccombente al rimborso, in favore del
controricorrente, delle relative spese, liquidate come in dispositivo.

11. Atteso l’esito negativo dell’impugnazione de
qua, sussistono i presupposti processuali di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art.
13, comma 1 quater.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento
delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, spese
che liquida in € 3.000,00 per compensi ed in € 200,00 per esborsi, oltre
rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13,
ove dovuto.

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