Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 ottobre 2022, n. 31534
Lavoro straordinario, Compenso, Calcolo della somma
spettante al lavoratore, CCNL
Rilevato che
con la sentenza impugnata è stata confermata la
pronunzia del Tribunale di Roma con la quale era stata accolta l’opposizione a
precetto – intimato da R.D. alla “H.S. s.r.l.” sulla base di sentenza
(n. 10809/2014) di condanna del sig. I.C. al pagamento, in favore della
lavoratrice, del compenso per lavoro straordinario per 7,5 ore settimanali
sulla scorta del III^ livello apprendista con relative incidenze su 13ma e TFR
– proposta dalla citata società nei confronti della lavoratrice medesima; ciò
sul rilievo che «la determinazione del credito deve compiersi con una
operazione che rimane tutta interna al titolo (…): e dunque, “nulla
quaestio” quando il titolo contiene l’esatto ammontare del credito;
allorché invece manchi tale indicazione, è
necessario che il titolo contenga l’elemento attraverso il quale è possibile –
mediante un mero calcolo aritmetico – pervenire alla somma richiesta con il
precetto»; e, nel caso, nel titolo in questione non era stato indicato «alcun
dato retributivo, da cui poter calcolare il compenso spettante per ogni ora di
lavoro straordinario, nonché la conseguente incidenza dello straordinario su
TFR e 13ma»;
per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso R.D., affidato a tre motivi;
la “H.S. s.r.l. Unipersonale” ha resistito
con controricorso;
il P.G. non ha formulato richieste.
Considerato che
con il primo motivo la ricorrente – denunciando
omesso esame rispetto ad un punto decisivo della controversia, in relazione
all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nonché
violazione degli artt. 474 c.p.c., 475 c.p.c., 480 c.p.c., 36 Cost., 111 Cost., 2099 c.c.e 1365 e
ss. c.c., in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3, c.p.c. – si duole che il giudice di appello, confermando, pur
con diversa motivazione, la statuizione di annullamento del precetto contenuta
nella pronunzia di primo grado, abbia omesso di considerare che i dati (ivi
compreso il ccnI applicabile, individuabile sulla base della motivazione della
sentenza) su cui determinare la somma delle retribuzioni precettate erano
“tutti contenuti nel titolo esecutivo”, sicché la motivazione è da
considerare e ingiusta ed errata in fatto, dovendo, eventualmente, essere solo
ridotto l’importo precettato;
con il secondo motivo – denunciando omesso esame
rispetto ad un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. – auspica che
il predetto giudice, per economia processuale, nel cassare la sentenza,
obblighi, con una pronuncia pur irrituale, il giudice di rinvio a trasmettere
il processo in primo grado al fine di instaurare correttamente il
contraddittorio, così consentendo alla lavoratrice di dimostrare che
l’opponente era una “fictio iuris” creata ad arte dal debitore per
eludere il titolo “de quo”, avuto riguardo alle ragioni, indicate
nella memoria difensiva di primo grado, che avevano “spinto il C. a
costituire l’H.S.”, incentrate sul rilievo che quest’ultimo, lungi
dall’aver ceduto la sua impresa, attraverso lo schermo della personalità
giuridica della società, continuava a gestire il salone di parrucchiere ove
aveva prestato attività la lavoratrice;
con il terzo motivo – denunciando violazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – evidenzia
l’esistenza di una ragione “che potrebbe rendere superfluo il deferimento
della causa ai giudici territoriali”, essendo l’opposizione a precetto da
rigettare, “sic et simpliciter”, perché la sentenza n. 10809/2014,
“essendo passata in giudicato, fa stato, ex art.
2909 c.c. anche nei riguardi dell’avente causa”.
Ritenuto che
il primo motivo va disatteso, con assorbimento degli
altri due;
in primo luogo la censura non si confronta con la
“ratio decidendi” della sentenza impugnata, incentrata sulla
mancanza, nel titolo, di un “dato retributivo” da cui poter calcolare
la somma spettante al lavoratore; l’assunto, contenuto in ricorso, secondo cui
il ccnI di riferimento, sulla cui base conteggiare il credito, sarebbe stato
comunque individuabile mediante lettura della parte motiva della sentenza, non
si correla infatti con la statuizione, che, richiedendo un dato
“numerico”, non aveva posto in discussione l’applicabilità al
rapporto del predetto ccnI;
in secondo luogo, ove anche volesse interpretarsi il
motivo nel senso che, una volta individuato il ccnI applicabile, le relative
tabelle retributive costituiscono quel “dato retributivo” utile alla
quantificazione, la censura sarebbe comunque inammissibile, poiché, anche avuto
riguardo al più recente indirizzo in materia (di cui è espressione, tra l’altro
– sulla scorta di Cass., sez. un., 2/07/2012, n. 11066 -, Cass. 21/12/2016, n.
26567, ove è statuito che «Il titolo esecutivo giudiziale, ai sensi dell’art. 474, comma 2, n. 1, c.p.c., non si
identifica, né si esaurisce, nel documento giudiziario in cui è consacrato
l’obbligo da eseguire, essendo consentita l’interpretazione extratestuale del
provvedimento, sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo in
cui esso si è formato»), occorre, onde evitare che l’esecuzione forzata venga
trasformata nel luogo deputato a determinare, se non proprio ad accertare, i
crediti non quantificati in sede di cognizione, che le predette tabelle siano
state ritualmente acquisite al procedimento “presupposto” (v., sul
tema, Cass. 17/01/2013, n. 1027, ove, in motivazione, è precisato che
l’integrazione extra-testuale del titolo è consentita pur sempre «a condizione
che delle relative questioni si sia trattato nel corso del processo e che esse
possano intendersi come univocamente definite»); e, nel caso, non risulta dal
ricorso per cassazione che ciò sia avvenuto;
le spese di lite possono essere tuttavia compensate
tra le parti, atteso l’orientamento non sempre nitido, sul tema dei presupposti
e dei limiti dell’interpretazione “extratestuale” del titolo, della
giurisprudenza;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13,
se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e compensa le
spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13,
se dovuto.