Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 novembre 2022, n. 32441
Mobbing, Adozione di nuovo assetto organizzativo,
Sottrazione di competenze, Intento vessatorio, Elementi sintomatici,
Esclusione
Rilevato che
1. con sentenza 22 dicembre 2020, la Corte d’appello
di Catanzaro ha rigettato la domanda risarcitoria, per demansionamento e
mobbing di F. M. nei confronti del datore di lavoro Centro A. Riabilitazione,
condannandola alla restituzione della somma (di € 12.250,00) corrispostale,
oltre interessi legali dal pagamento: così riformando la sentenza di primo
grado, che l’aveva invece accolta;
2. in esito ad argomentato scrutinio delle
risultanze istruttorie, essa ha ritenuto non provati né il demansionamento, né
le condotte mobbizzanti denunciate dalla lavoratrice: in particolare, la
sottrazione delle competenze sarebbe stata la conseguenza dell’adozione di un
nuovo assetto organizzativo del centro di riabilitazione, con una
redistribuzione dei compiti tra i dipendenti, né essenziale ai fini del
contenuto delle mansioni amministrative commessele;
3. parimenti, in riferimento alle condotte
persecutorie e vessatorie allegate dalla lavoratrice (posizionamento della sua
scrivania in modo che rivolgesse il viso al muro, sottrazione dell’indennità di
malattia maturata nel mese di giugno 2010, impossibilità di ottenere copia
delle buste paga dei mesi arretrati, mancato invio di copia del regolamento
aziendale, trattamento nei suoi confronti tale da procurarle disturbi
psicofisici), oggetto di c.t.u. in primo grado, la Corte territoriale ha negato
la sussistenza di elementi concreti, sintomatici di un disegno persecutorio in
suo danno, neppure ravvisabili nei provvedimenti disciplinari assunti dal
datore nei suoi confronti;
4. con atto notificato il 4 giugno 2021, la
lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione con unico motivo, cui il datore
di lavoro ha resistito con controricorso.
Considerato che
1. la ricorrente deduce nullità della sentenza per
violazione degli artt. 112, 116 e 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. ed omesso
esame di un fatto decisivo, per non avere la Corte territoriale correttamente
valutato, per giunta in modo assertivo, le prove orali, addirittura omettendo
le dichiarazioni riguardanti gli elementi sintomatici di un intento vessatorio
diretto nei propri confronti personali, nonché gli ulteriori comportamenti
datoriali integranti il proprio demansionamento, mediante sottrazione della
password di accesso alla postazione lavorativa e rimozione persino del PC;
neppure essa avendo reso una pronuncia corrispondente alla domanda, in ordine
alla valutazione di elementi estranei quali le sanzioni disciplinari, stimate
non rispondenti ad un esercizio persecutorio del potere disciplinare e
ritenendo erroneamente assorbite le risultanze della CTU esperita (unico
motivo);
2. esso è manifestamente infondato;
3. in via preliminare, deve essere negata la
violazione del principio di corrispondenza del chiesto al pronunciato, fissato
dall’art. 112 c.p.c.: essa non ricorre qualora, come nel caso di specie, il
giudice non interferisca nel potere dispositivo delle parti, né alteri alcuno
degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (Cass. 17 gennaio 2018,
n. 906), avendo la Corte calabrese rispettato il vincolo, riguardante il
petitum, con riferimento a quello che venga richiesto nel contraddittorio sia
in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che
l’attore intenda conseguire e alle eccezioni in proposito sollevate dal
convenuto (Cass. 10 maggio 2018, n. 11289);
3.1. neppure si configura l’asserita violazione
dell’art. 116 c.p.c., ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel
valutare una prova, o comunque una risultanza probatoria, non abbia operato
secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e
diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisca ad una
differente risultanza probatoria, ovvero, qualora la prova sia soggetta ad una
specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo
il suo prudente apprezzamento; qualora si deduca invece, come nel caso di
specie, il cattivo esercizio dal giudice del proprio prudente apprezzamento
della prova, la censura è ammissibile nei soli rigorosi del novellato art. 360,
primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 30 settembre 2020, n. 20867);
3.2. ma essi qui non ricorrono, in assenza di
denuncia di un fatto rigorosamente inteso come un preciso accadimento o
circostanza in senso storico – naturalistico e non quale conseguenza valutativa
di risultanze istruttorie, in relazione a questioni o argomentazioni, pertanto
irrilevanti (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 8 ottobre 2014, n. 21152;
Cass. 26 gennaio 2022, n. 2268); oltre che per l’argomentato apprezzamento
della prova, riservato al giudice di merito, congruamente argomentato dalla
Corte territoriale in base al complessivo contesto probatorio (dal p.to 8 al
quarto capoverso di pg. 5 al p.to 8.6. al terz’ultimo capoverso di pg. 9 della
sentenza);
4. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con
regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza, con
distrazione in favore del difensore antistatario, secondo la sua richiesta e
raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei
presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535);
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla
rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che
liquida in € 200,00 per esborsi e € 2.500,00 per compensi professionali, oltre
rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge, con
distrazione in favore del difensore antistatario;
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1
bis, dello stesso art. 13, se dovuto.