Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 novembre 2022, n. 41343
Infortunio sul lavoro, Conducente di camion, Svolgimento di
pluralità di mansioni, Rischio eccentrico, Esclusione, Reato di lesioni
personali, Responsabilità del datore
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Napoli con la pronuncia
indicata in epigrafe, sostanzialmente escludendo la cooperazione colposa con il
coordinatore per la sicurezza in quanto assolto in secondo grado, ha confermato
la condanna di P.N. per il delitto di lesioni personali gravi commesse, con
violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in difesa
del lavoratore A.M. (di cui agli artt. 590, commi 2 e 3, cod. pen).
L’imputato, in particolare, è stato ritenuto
responsabile di aver cagionato, nella qualità di datore di lavoro, lesioni
personali gravi al proprio dipendente A.M. per colpa consistita, oltre che in
imprudenza, imperizia e negligenza, nella violazione dell’art. 146 d.lgs. n. 81
del 2008 (in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro), per non aver
dotato di idonei parapetto e tavole fermapiede le aperture di un solaio
piattaforma di lavoro presente in un cantiere ove era espletata attività
lavorativa. Dalla condotta di cui innanzi, proprio in ragione dell’assenza delle
dette protezioni, ne é conseguita, per i giudici di merito e in ipotesi di cd.
«doppia conforme», la caduta nel vuoto da un’altezza di 4 m del dipendente M.,
intento a coprire con tavole in ferro un’apertura del solaio, con conseguenti
lesioni personali ad un arto inferiore,
2. Avverso la sentenza d’appello P.N., tramite il
proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione fondato su un
motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la
motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.), con il quale si
deducono inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, oltre che
contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza, con particolare
riferimento alla ritenuta esclusione dell’interruzione del nesso causale
nonostante l’inserimento nella relativa seriazione della condotta abnorme della
stessa persona offesa Il ricorrente sindaca la ricostruzione operata dai
giudici di merito in ordine alla dinamica del sinistro, che, a suo dire,
vedrebbe la persona offesa, con mansioni di conducente di camion, cadere nel
vuoto nell’atto non di eliminare uno spazio già esistente tra le tavole del
parapetto, e così consentire il passaggio della committente, ma di
riposizionarne una dopo averla lui stesso spostata nel transitare mediante il
detto mezzo di trasporto. Avendo il lavoratore eseguito l’attività di cui
innanzi esorbitando dalle proprie mansioni di conducente di camion, senza
peraltro interpellare il datore di lavoro né il responsabile della sicurezza
ovvero operai presenti in cantiere, la Corte territoriale avrebbe errato nel
non ritenere interrotto il nesso eziologico tra condotta dall’imputato ed
evento in ragione della descritta condotta abnorme del lavoratore.
La censura culmina infine nella dedotta mancanza o
insufficienza della motivazione sul punto relativo al tempo trascorso fra
l’evento e il controllo dei funzionari dell’ASL nonché in merito alla mancata
concessione delle circostanze attenuanti generiche (in relazione alla
personalità dell’imputato).
3. sono state depositate conclusioni scritte, ex
art. 23 dl. 28 ottobre 2020, n. 137, dalla Procura generale della Repubblica
presso la Suprema Corte, in persona del Sostituto Procuratore F.L., nel senso
dell’inammissibilità del ricorso, oltre che dalla difesa di parte civile (con
nota spese).
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Con l’unico motivo di ricorso sostanzialmente si
deduce l’errore della Corte territoriale per aver escluso la prospettata
interruzione del nesso causale nonostante l’inserimento nella relativa
seriazione della condotta abnorme della stessa persona offesa. Quest’ultima
avrebbe difatti eseguito l’attività di ripristino della tavola del solaio
esorbitando dalle proprie mansioni di conducente di camion, senza peraltro
interpellare il datore di lavoro né il responsabile della sicurezza ovvero
operai presenti in cantiere.
2.1. La censura è inammissibile in quanto il
ricorrente non confronta il suo dire con la motivazione della sentenza
impugnata, anche al netto dell’inammissibile tentativo di sostituite a quelle
del giudicante proprie valutazioni di merito, tra cui quelle di natura
probatoria, con particolare riferimento alla dinamica del sinistro, accertato
come verificatosi nell’atto di allineare una tavola del parapetto disallineata
ab origine e non in conseguenza del passaggio su di esso del camion guidato
dalla persona offesa. La Corte territoriale, difatti, nell’escludere
l’interruzione del nesso causale ha comunque argomentato (a fortiori) muovendo
anche dalla ricostruzione offerta dalla difesa.
In particolare, considerata comunque colposa la
condotta del datore di lavoro, tale da prevedere e comunque consentire il
transito del camion su un parapetto inidoneo, è stata esclusa la paventata
eccentricità del rischio innescato dalla condotta del lavoratore in quanto
tenuta non esorbitando dalle proprie mansioni, perché soggetto sostanzialmente
svolgente per il datore di lavoro una pluralità di mansioni, oltre a quella di
autista, tra cui proprio quelle di operaio e di muratore.
2.2. Così argomentando, la Corte territoriale,
peraltro, con motivazione esente dai denunciati vizi, ha fatto buon governo dei
principi inerenti alla materia che ci occupa, già sanciti dalla giurisprudenza
di legittimità e in questa sede ulteriormente ribaditi, dai quali non emerge,
come invece vorrebbe il ricorrente con deduzioni manifestamente infondate e
puramente assertive, l’equazione per cui all’esecuzione di attività non
rientrante nelle specifiche mansioni del lavoratore consegue l’eccentricità del
rischio.
In merito, la più recente giurisprudenza alla quale
il Collegio intende dare continuità, suggerisce di abbandonare il criterio
della imprevedibilità del comportamento del lavoratore nella verifica della
relazione causale tra condotta del reo ed evento, ponendosi i due concetti su
piani distinti, perché ciò che davvero rileva è che tale comportamento attivi
un rischio eccentrico o, se si vuole, esorbitante dalla sfera di rischio
governata dal soggetto al quale viene attribuito l’evento (per tutte, Sez. U,
n. 38343 del 24/04/2014, E., in motivazione; si vedano altresì per la
successiva applicazione e elaborazione del principio, ex plurimis: Sez. 4, n.
15124 del 13/12/2016, dep. 2017, G., Rv. 269603, anche in motivazione; Sez. 4,
n. 27871 del 20/03/2019, S., Rv. 276242, anche in motivazione; Sez. 4, n. 22034
del 12/04/2018, A., Rv. 273589, anche in motivazione; Sez. 4, n. 43350 del
05/10/2021, M., Rv. 282241, anche in motivazione; Sez. 4, n. 30814 del
11/05/2022, L.N., in motivazione).
Ne è conseguita dunque la necessità di individuare
l’«area di rischio» oggetto di gestione al fine di accertarne l’eventuale
eccentricità rispetto a essa del rischio attivato dalla condotta del lavoratore
inseritasi nella seriazione causale, con la precisazione che è dalla
integrazione di obbligo di diligenza e regola cautelare che risulta in
particolare definita l’«area di rischio», altrimenti ridotta alla mera
titolarità della posizione gestoria. Ben si comprende, quindi, come il
connettersi dell’evento verificatosi a un rischio esorbitante da quell’area
escluda ogni addebito del fatto a chi è preposto a governare proprio (e solo)
tale «area di rischio» (Sez. 4, n. 15124 del 313/12/2016, dep. 2017, G., Rv.
269603, in motivazione). Ai fini di cui innanzi è stato infine chiarito da Sez.
4, n. 30814 del 11/05/2022, L.N. che le principali disposizioni di cui al Testo
Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro (in particolare artt. 6, 15, 18,
comma 1, lett. c), 28, commi 1 e 2, e 29, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008) consentono
di argomentare nel senso per cui «La condotta colposa del lavoratore è idonea a
interrompere il nesso di causalità tra condotta e evento se tale da determinare
un “rischio eccentrico” in quanto esorbitante dall’area di
rischio” governata dal soggetto sul quale ricade la relativa gestione. La
delimitazione, nella singola fattispecie, del rischio oggetto di valutazione e
misura, quindi da gestire, necessita di una sua identificazione in termini
astratti, quale rischio tipologico, e successiva considerazione con riferimento
alla concreta attività svolta dal lavoratore e alle condizioni di contesto
della relativa esecuzione, quindi al rischio in concreto determinatosi in
ragione dell’attività lavorativa (rientrante o meno nelle specifiche mansioni
attribuite)».
2.3. Orbene, la Corte territoriale si è attenuta al
principio di cui innanzi, la cui rilevanza invece il ricorrente sostanzialmente
vorrebbe negare in maniera assertiva.
È stata difatti esclusa nella specie l’interruzione
del nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro («gestore del
rischio») e l’evento anche in considerazione del rischio in concreto
determinatosi in ragione dell’attività lavorativa e delle condizioni di
contesto della relativa esecuzione, tale da prevedere, all’occorrenza,
l’espletamento anche di altre attività e, in specie, anche quella di operaio e,
quindi, di lavoratore al quale, a dire del ricorrente, M., in quanto mero
camionista, si sarebbe dovuto rivolgere per la sistemazione del tavolato.
3. Quanto al profilo inerente alle circostanze
attenuanti generiche, rileva invece evidenziare che il giudice d’appello non è
tenuto a motivare in merito al loro diniego sia quando nei motivi di
impugnazione si ripropongano, ai fini del riconoscimento, gli stessi elementi
già sottoposti all’attenzione del giudice di primo grado e da quest’ultimo
disattesi, sia quando si insista per quel riconoscimento senza addurre alcuna
particolare ragione (ex plurimis: Sez. 4, n. 27595 del 11/05/2022, O., in
motivazione; Sez. 4, n. 15492 del 22/03/2022, F., in motivazione; Sez. 1, n.
33951 del 19/05/2021, A., Rv. 281999-02; Sez. 4, n. 5875 del 30/01/2015, N.,
Rv. 262249-01; Sez. 4, n. 86 del 27/09/1989, dep. 1990, A., Rv. 182959-01;
circa il difetto di specificità dei motivi d’appello quando non risultano
esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni
di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, si ìeda,
per tutte, Sez. U, n. 8825, del 27/10/2016, dep. 2017, G., Rv. 268822-01).
Sotto tale aspetto, quindi, la censura si mostra
inammissibile, per difetto di specificità, laddove, peraltro in ipotesi di c.d.
«doppia conforme», neanche prospetta che i motivi d’appello non abbiano
riproposto, ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche,
gli stessi elementi già sottoposti all’attenzione del giudice di primo grado e
da quest’ultimo disattesi. Invero, come emerge dalla motivazione della sentenza
impugnata, sul punto non criticata, l’appellante si è nella specie limitato a
chiedere la concessione delle circostanze attenuanti generiche, «in ragione del
quadro nebuloso in cui si è giunti alla condanna», mentre il riferimento alla
personalità dell’imputato, in merito al quale la Corte non avrebbe motivato, è
relativo alla determinazione della pena ex art. 133, cod. pen., e non al
criticato mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
4. In conclusione, all’inammissibilità del ricorso
consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché
della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende, ex art. 616
cod. proc. pen., che si ritiene equa valutati i profili di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso nei termini
innanzi evidenziati (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186).
Non consegue invece la condanna del ricorrente alla
rifusione delle spese sostenute con riferimento al presente giudizio di
legittimità dalla parte civile resistente, non avendo quest’ultima con la sua
memoria, a cagione dell’estrema genericità, fornito alcun contributo utile alla
dialettica processuale diretto a contrastare l’avversa pretesa a tutela dei
propri interessi di natura civile (sul punto si vedano: Sez. U, n. 5466 del
28/01/04, G., Rv. 226716; Sez. 4, n. 36535 del 15/09/2021, A., Rv. 281923; Sez.
3, n. 27978 del 24/03/2021, G., Rv. 281713; Sez. 2, n. 12784 del 23/01/2020,
T., Rv. 278834; Sez. 5, n. 30743 del 26/03/2019, L. Rv. 277152; si veda
altresì, con argomentazioni che, mutatis mutandis, rilevano anche nella specie,
Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, D.b., RV. 222264).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila
in favore della cassa delle ammende.