Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 novembre 2022, n. 41349

Infortunio sul lavoro, Omessa adozione del DVR, Mancata
formazione dei lavoratori, Inadeguatezza della macchina pressatrice presente
in azienda, Obbligo del datore di eliminare le fonti di pericolo

 

Ritenuto in fatto e considerato
in diritto

 

1. La Corte di appello di Torino, con la sentenza
indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia di condanna emessa il 15
gennaio 2021 dal Tribunale di Cuneo nei confronti di M.M., imputato del delitto
previsto dall’art. 590, commi 1, 2 e 3, in riferimento all’art. 583, comma 1,
nn. 1 e 2 cod. pen. perché, nella sua qualità di datore di lavoro in quanto
titolare dell’omonima ditta individuale M. alle cui dipendenze prestava
attività lavorativa, in regime di somministrazione, B.A. con contratto di
assunzione di somministrazione di lavoro a tempo determinato per il periodo
7/14 febbraio 2014, aveva impiegato alla data dell’infortunio il lavoratore
adibendolo nella prima giornata di lavoro anche allo stampaggio a piastre
mediante pressa idraulica marca C.G. modello RPRS50 n. 25919 costruita nel 1969
in violazione dell’art. 70, comma 2, d. Igs. 9 aprile 2008, n. 81, omettendo di
mettere in sicurezza l’attrezzatura di lavoro, costruita antecedentemente
all’emanazione di disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle
direttive comunitarie di prodotto, in violazione dell’art. 28, comma 2 lett. a)
d.lgs. n.81/2008; omettendo di adottare il documento di valutazione dei rischi
contenente una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e
la salute durante l’attività lavorativa, in particolare essendo il documento
relativo a macchine del reparto taglio e piegatura non comprensivo di tutti i
rischi per la sicurezza in quanto non vi erano valutati quelli relativi alla
pressa di cui sopra; violando l’art. 37, comma 1, d. Igs. n.81/2008 per aver
omesso di assicurare che ciascun lavoratore ricevesse una formazione
sufficiente e adeguata con particolare riferimento ai rischi riferiti alle
mansioni e ai possibili danni caratteristici del settore o comparto di
appartenenza dell’azienda, in particolare per non aver assicurato che il
lavoratore ricevesse prima dell’assegnazione una formazione sufficiente e
adeguata. In conseguenza di tali violazioni il lavoratore, durante
l’effettuazione della lavorazione comandata, operando alla pressa sopra
indicata, dopo aver inserito nello stampo l’ennesima piastra e aver premuto il
pedale per lo stampaggio, dopo essersi accorto di non aver posizionato
correttamente la piastra, aveva istintivamente allungato la mano sinistra per
correggere il posizionamento mentre lo stampo raggiungeva il controstampo, con
conseguente schiacciamento dell’estremità della mano sinistra, da cui erano
derivate lesioni personali gravi giudicate guaribili in oltre 80 giorni e
comunque determinanti l’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni
nonché l’indebolimento permanente della funzione prensile. Fatto avvenuto in
Scarnafigi il 7 febbraio 2014.

2. M. M.propone ricorso per cassazione censurando la
sentenza impugnata, con un primo motivo, per violazione, falsa applicazione
della legge penale, inosservanza di norme stabilite a pena di inutilizzabilità,
contraddittoria e manifesta illogicità della motivazione sulla sussistenza del
reato contestato in ordine al primo motivo di appello. Secondo la difesa, la
Corte di appello ha rigettato il primo motivo di gravame con motivazione
apodittica, sebbene non fosse stata raggiunta la prova che M.M.avesse dato
l’ordine al signor B. di recarsi a lavorare alla pressa nel suo primo giorno di
lavoro. L’imputato neppure si trovava in azienda; è emerso che sia stato un
operaio a dire al lavoratore di operare alla pressa; essendo il primo giorno di
lavoro era matematicamente impossibile per il titolare poter completare la
formazione del neo-dipendente. Inoltre, l’attività formativa di fatto è stata
posta in essere dall’operaio anziano, factotum dell’azienda, il quale ha
compiutamente spiegato il funzionamento della pressa al lavoratore, che per una
mera fatalità nel primo giorno di lavoro si è infortunato sebbene dovesse
attenersi alla sola visita dei locali.

2.1. Con un secondo motivo deduce violazione, falsa
applicazione della legge penale, inosservanza di norme stabilite a pena di
inutilizzabilità, contraddittoria e manifesta illogicità della motivazione in
ordine al secondo motivo di appello, con il quale si era lamentata
l’eccessività della pena. La Corte di appello ha ritenuto non applicabile
l’art. 131 bis cod. pen. sebbene il lavoratore, al quale era stato spiegato
dall’operaio anziano il funzionamento della pressa, avesse agito discostandosi
dalle regole cautelari che governano il settore di attività.

2.2. Con un terzo motivo deduce violazione, falsa
applicazione della legge penale, inosservanza della causa estintiva del reato e
delle norme stabilite con riferimento alla prescrizione del reato in quanto,
contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di appello, il termine
prescrizionale di anni 7 e mesi 6 è ormai decorso.

3. Il Procuratore generale, con requisitoria
scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

4. Il primo motivo di ricorso non supera il vaglio
di ammissibilità, trattandosi di censura che tende ad introdurre nella fase di
legittimità una nuova valutazione del compendio istruttorio. Contrariamente a
quanto dedotto dalla difesa, la Corte di appello ha esaminato puntualmente il
motivo di appello inerente alla responsabilità dell’imputato, giungendo ad
affermare che la versione difensiva, secondo la quale il datore di lavoro
avrebbe indicato al lavoratore esclusivamente di provvedere alla pulizia dei
locali, non è stata provata, essendo invece emerso dalla prova dichiarativa che
l’imputato, assente nel primo giorno di lavoro del B., avesse affidato il
lavoratore al figlio, che a sua volta lo avrebbe affidato al lavoratore anziano
affinché lo formasse. La censura omette di confrontarsi con tali emergenze
istruttorie e rappresenta un vizio motivazionale che non trova riscontro nel
provvedimento impugnato. I giudici di merito hanno, inoltre, sottolineato
l’inadeguatezza del macchinario presente nell’impresa e l’omessa formazione del
lavoratore, ritenendo provata la violazione delle norme cautelari enunciate nel
capo d’imputazione.

4.1. Con particolare riguardo all’inadeguatezza
della macchina pressatrice presente in azienda, in un caso analogo la Corte di
legittimità ha già ricordato che sul datore di lavoro grava l’obbligo di
eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano
utilizzare un macchinario e di adottare nell’impresa tutti i più moderni
strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori
(Sez. 4, n.26247 del 30/05/2013, M., Rv. 25694801). Correttamente, dunque, i
giudici di merito hanno ritenuto responsabile il datore di lavoro per avere
messo a disposizione del lavoratore una pressa priva dei necessari presidi di
sicurezza in quanto non sottoposta ai necessari ammodernamenti, richiesti dalla
sopravvenuta normativa di matrice europea (Sez.4, n. 36153 del 22/09/2021, D.,
Rv. 28188601) e consentiti dal progresso tecnologico.

4.2. L’assunto secondo il quale, essendo il primo
giorno di lavoro, il datore non avrebbe avuto il tempo di formare adeguatamente
il lavoratore, sostiene il giudizio espresso dalla Corte territoriale circa la
condotta colposa del datore, piuttosto che confutare tale giudizio. L’attività
di formazione del lavoratore, alla quale è tenuto il datore di lavoro, deve
necessariamente precedere l’adibizione del lavoratore alle mansioni per le
quali è stato assunto, non può essere esclusa dal personale bagaglio di
conoscenza del lavoratore, né dal travaso di conoscenza che comunemente si
realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione
gerarchica tra di loro. L’apprendimento insorgente da fatto del lavoratore
medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si
identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di
formazione previste dalla legge (Sez.4, n.21242 del 12/02/2014, N., Rv. 25921901).

5. Il secondo motivo di ricorso non supera il vaglio
di ammissibilità in quanto generico. Ivi si fa riferimento a una condotta
colposa del lavoratore a sostegno del giudizio di particolare tenuità del fatto
sebbene tale profilo non abbia formato oggetto di specifica censura. Nella
sentenza impugnata si è ritenuta la doglianza inerente al trattamento
sanzionatorio al limite della inammissibilità e purtuttavia la Corte
territoriale ha replicato ritenendo che le regole cautelari asseritamene
violate dal lavoratore fossero a quest’ultimo del tutto ignote in quanto privo
di adeguata formazione, dunque con motivazione congrua ed esente da manifesta
illogicità. Giova ricordare che la questione della deducibilità dell’istanza di
applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. per la prima volta in cassazione, è
risolta negativamente dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n.19207 del
16/03/2017, C., Rv.26991301).

6. Con riguardo al terzo motivo di ricorso, il
Collegio osserva che alla data in cui è stata emessa la sentenza di appello, il
3 maggio 2022, il termine prescrizionale non era decorso, come correttamente
argomentato dalla Corte territoriale, essendo rimasto sospeso per complessivi
anni 1, mesi 3 giorni 2 a seguito di una serie di rinvii disposti su richiesta
della difesa dell’imputato e per astensione dalle udienze del difensore
dell’imputato. Va ricordato, inoltre, che l’evidenziata inammissibilità del
ricorso osta all’applicazione della disciplina in materia di prescrizione.
Invero, le Sezioni Unite della Corte regolatrice hanno da tempo chiarito che
l’inammissibilità del ricorso per cassazione, dovuta alla manifesta
infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le
cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. che sarebbero
maturate, come nel caso in esame, successivamente rispetto alla sentenza
impugnata (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266).

7. Alla inammissibilità del ricorso consegue la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; tenuto conto
della sentenza della Corte Costituzionale n.186 del 13 giugno 2000 e rilevato
che non sussistono elementi per ritenere che la ricorrente abbia proposto
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, segue, a norma dell’art.616 cod.proc.pen. l’onere del
versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in
considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella
misura di euro 3.000,00.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila
in favore della Cassa delle Ammende.

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