Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 novembre 2022, n. 32294
Personale navigante, Erogazione dei buoni pasto, Disciplina
transitoria, Stipulazione di un successivo CCNL, Cessazione di efficacia
dell’accordo territoriale, Violazione dei criteri ermeneutici
Rilevato che
1. con sentenza 19 aprile 2019, la Corte d’appello
di Catania, in accoglimento dell’appello proposto da R.F.I. (R.F.I.) s.p.a., ha
rigettato le domande di A.A. e O.A., intese ad ottenere il trattamento
dell’accordo tra la società datrice e i sindacati del 3 aprile 2001 anche nel
periodo dall’1 agosto 2003 al 30 giugno 2004: così riformando la sentenza di
primo grado, che aveva invece riconosciuto ad ognuno dei due lavoratori le
somme corrispondenti a 175 buoni pasto per il periodo dall’1 agosto 2003 al 29
febbraio 2004 e a 28 buoni pasto per il periodo dall’1 marzo al 30 giugno 2004;
2. contrariamente al tribunale, la Corte etnea ha
ritenuto la cessazione di efficacia dell’accordo territoriale del 3 aprile
2001, sottoscritto dalla società datrice con le parti sociali nella vigenza del
CCNL del personale delle ferrovie del 6 febbraio 1998, a seguito
dell’intervenuta dismissione del servizio di mensa a bordo delle navi traghetto
sulle quali prestavano servizio i lavoratori, per effetto della stipulazione
del CCNL del 16 aprile 2003;
3. essa ha ciò argomentato dal tenore letterale
della previsione, in quanto di natura “transitoria … in attesa della
disciplina che dovrà essere prevista nel futuro CCNL”, confermato dal
comportamento successivo delle parti e dalla disciplina del nuovo CCNL di
erogazione dei pasti nelle mense aziendali o nei servizi sostitutivi o
alternativi (art. 46), di rinvio (al p.to 2 dell’articolo), per la difficoltà
di una regolamentazione generale, alla contrattazione aziendale per le più
specifiche modalità applicative: in particolare, contenute nell’accordo
aziendale del 23 giugno 2004. In correlazione con l’art. 19 dell’accordo di
confluenza del 19 aprile 2003, esso ha così stabilito la possibilità, per il personale
impiegato a bordo delle navi, di richiedere l’erogazione di un ticket
restaurant del valore di € 6,20 (per l’eventuale acquisto di un cestino da
viaggio), in alternativa al buono da ritirare direttamente nelle mense
aziendali per la consumazione del relativo pasto; non essendo contestata la
possibilità di consumazione del pasto nella mensa aziendale sita nella stazione
centrale di Messina nei pressi dell’imbarcadero;
4. con atto notificato il 21 (24) ottobre 2019, i
due lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione con tre motivi, cui la
società ha resistito con controricorso;
5. entrambe le parti hanno comunicato memoria ai
sensi dell’art. 380bis 1 c.p.c.
Considerato che
1. i lavoratori deducono violazione dell’articolo
unico dell’accordo collettivo speciale del settore navigazione di R.F.I. del 3
aprile 2001, per avere la Corte territoriale erroneamente interpretato
l’efficacia dell’accordo territoriale, chiaramente inteso a porre una
disciplina transitoria del pasto del personale navigante di R.F.I., fino alla
stipulazione mera di un nuovo CCNL (in data 16 aprile 2003 con efficacia dal 1°
agosto 2003), anziché di una nuova disciplina di questo particolare ambito. I
ricorrenti denunciano una non corretta applicazione dei canoni interpretativi dell’art.
1362 c.c. di letteralità (“transitorietà di una tale disciplina che avrà
validità sino alla definizione a livello CCNL”) e dell’art. 1363 c.c., di
interpretazione sistematica, in riferimento agli artt. 27 CCNL del 16 febbraio
1998, 46 CCNL del 16 aprile 2003, 19 CCNL aziendale del 19 aprile 2003 e decimo
punto dell’accordo territoriale del 23 giugno 2004, dovendo detta previsione
essere letta in riferimento alla sopravvenienza di una disciplina speciale di
settore e non generale, di mero rinvio ad una a livello aziendale, regolante le
specifiche modalità applicative (primo motivo); violazione dell’art. 1362 c.c.,
per inosservanza del canone di interpretazione letterale dell’accordo
territoriale del 3 aprile 2001 in riferimento alla previsione di transitorietà
della disciplina per la fruizione del pasto del personale navigante di R.F.I.
fino all’entrata in vigore, non già semplicemente di un nuovo CCNL, ma di una
nuova disciplina speciale di settore (secondo motivo); violazione degli artt.
1362 e 1367 c.c., per non avere la Corte territoriale apprezzato correttamente
la volontà delle parti, né l’efficacia del contratto nell’interpretare
l’accordo territoriale del 3 aprile 2001, rendendone, con la ravvisata sua
sopravvenuta inefficacia per effetto del CCNL 16 aprile 2003 (recante una
regolamentazione di carattere generale ricalcante quella del CCNL del 16
febbraio 1998), la previsione di una disciplina speciale sostanzialmente
inutile; dovendo invece essere istituita una relazione di continuità, secondo l’esatta
interpretazione del Tribunale, tra i due accordi del 3 aprile 2001 e del 23
giugno 2004 (terzo motivo);
2. i motivi, congiuntamente esaminabili per ragioni
di stretta connessione, sono fondati;
3. la questione, esattamente nei termini qui
riproposti, è già stata decisa da questa Corte con la sentenza 1° giugno 2022,
n. 17939, qui integralmente ripercorsa nei passaggi argomentativi;
4. per una corretta individuazione sistematica
dell’ambito di sindacato di questa Corte rispetto alle fonti contrattuali
collettive di diverso livello denunciate (CCNL e accordi territoriali; idest:
aziendali), giova ribadire che in sede di legittimità i contratti o accordi
collettivi nazionali di lavoro, denunciati di violazione o falsa applicazione
ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. (come modificato dall’art. 2
d.lg. 40/2006), sono oggetto di diretta interpretazione per la loro
parificazione sul piano processuale a quella delle norme di diritto, in base
alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 ss. c.c.): ossia,
quale criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di
commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione; senza
necessità, per l’ammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione
delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, né del di
scostamento da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come
violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche o
insufficienti (Cass. 19 marzo 2014, n. 6335; Cass. 9 settembre 2014, n. 18946;
Cass. 28 maggio 2018, n. 13265; Cass. 18 novembre 2019, n. 29893; Cass. 12
aprile 2021, n. 9583); come invece per i contratti collettivi aziendali;
4.1. con una recente sentenza (Cass. 25 gennaio
2022, n. 2173), questa Corte ha ribadito il consolidato indirizzo
interpretativo di legittimità, secondo cui: l’interpretazione del contratto e
degli atti di autonomia privata, tra cui sono compresi i contratti aziendali,
costituisce un’attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di
legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica
contrattuale ovvero per vizi di motivazione; ai fini della censura di
violazione dei canoni ermeneutici, non è peraltro sufficiente l’astratto
riferimento alle regole legali di interpretazione, ma necessaria la
specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e
delle considerazioni attraverso cui il giudice si sia discostato dagli stessi
(Cass. n. 4178 del 2007; Cass. n. 1754 del 2006); la censura di violazione dei
canoni di ermeneutica contrattuale, al pari di quella per vizio di motivazione,
non può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal
giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione:
non dovendo, peraltro, l’interpretazione data dal giudice al contratto, per
essere insindacabile in sede di legittimità sotto entrambi i profili, essere
l’unica possibile, o la migliore in astratto, ma soltanto una delle
interpretazioni plausibili; sicché, quando di una clausola contrattuale siano
possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito alla parte,
che abbia proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito,
censurare in sede di legittimità il fatto che sia stata privilegiata l’altra
(Cass. n. 10131 del 2006);
5. nell’interpretazione delle clausole dei contratti
collettivi di diritto comune, pur sempre costituendo il criterio letterale
previsto dall’art. 1362 c.c. il punto di avvio per una corretta interpretazione
di ogni clausola contrattuale, il criterio logico – sistematico dell’art. 1363
c.c. assume, in ragione delle particolari caratteristiche connotanti la
contrattazione collettiva, un particolare rilievo, ben più accentuato rispetto
a quanto accade per i restanti contratti di diritto comune (Cass. 9 marzo 2005,
n. 5140); sicché, sebbene la ricerca della comune intenzione delle parti debba
essere operata innanzitutto sulla base del criterio di interpretazione
letterale delle clausole, si impone il ricorso anche al criterio
logico-sistematico stabilito dall’art. 1363 c.c., per desumere la volontà
manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole
aventi attinenza alla materia in contesa, dovendosi altresì tenere conto del
comportamento, anche successivo, delle parti (Cass. 14 aprile 2006, n. 8876;
Cass. 30 gennaio 2018, n. 2267); non potendo allora il giudice,
nell’interpretazione dei contratti arrestarsi ad una considerazione
“atomistica” delle singole clausole, neppure quando la loro
interpretazione possa essere compiuta, senza incertezze, sulla base del
“senso letterale delle parole”, poiché anche questo va
necessariamente riferito all’intero testo della dichiarazione negoziale, onde
le varie espressioni che in essa figurano vanno coordinate fra loro e
ricondotte ad armonica unità e concordanza (Cass. 14 aprile 2006, n. 8876;
Cass. 30 gennaio 2018, n. 2267). Questi principi, consolidati nell’indirizzo
giurisprudenziale di legittimità, sono stati più recentemente ribaditi (Cass. 18
novembre 2019, n. 29893, in motivazione sub p.to 3);
6. nel caso di specie, la Corte etnea ha
erroneamente ritenuto la cessazione di efficacia dell’accordo territoriale del
3 aprile 2001, per effetto della stipulazione del CCNL del 16 aprile 2003, in
base ad una lettura ermeneutica non corretta della previsione della natura
“transitoria” dell’accordo aziendale fino ad un futuro CCNL tout court,
omettendo una più attenta considerazione del decisivo dato interpretativo di
“transitorietà”, in relazione alla “disciplina” per la fruizione del pasto del
personale navigante, non applicando il canone di letteralità (art. 1362 c.c.)
dell’inequivoco tenore del testo (“transitorietà di una tale disciplina che
avrà validità sino alla definizione a livello CCNL”), in combinazione con
quello di interpretazione sistematica (1363 c.c.), in riferimento agli artt. 27
CCNL del 16 febbraio 1998, 46 CCNL 16 aprile 2003, 19 CCNL aziendale del 19
aprile 2003 e decimo comma dell’accordo territoriale del 23 giugno 2004;
6.1. la Corte territoriale non ha collegato in modo
immediato e diretto, come avrebbe invece dovuto, la previsione di transitorietà
alla sopravvenienza di una nuova disciplina speciale di settore (come avvenuto
con il punto 10 dell’accordo aziendale del 23 giugno 2004) bensì a quella
generale, per giunta contenente un esplicito rinvio, proprio sotto questo
profilo, alla contrattazione aziendale (art. 46 CCNL 16 aprile 2003, al p.to
2). D’altro canto, l’art. 46 citato è sostanzialmente riproduttivo dell’art. 27
CCNL del 16 febbraio 1998, che a propria volta aveva pure rinviato (al punto 4
dell’allegato G) alla contrattazione aziendale, intervenuta appunto con
l’accordo del 3 aprile 2001, per la dismissione del servizio di mensa a bordo
delle navi traghetto sulle quali prestavano servizio gli odierni lavoratori. E
pertanto non ha istituito quella relazione di continuità di disciplina tra i
due accordi aziendali del 3 aprile 2001 e del 23 giugno 2004, che invece deve
essere stabilita;
7. alla luce delle premesse poste di rispettivo
sindacato del giudice di merito e di legittimità, appare chiaro che
l’interpretazione degli accordi aziendali spetta, anche in questo caso, alla
Corte di merito. Nella specie, tuttavia, essa è sindacabile in sede di
legittimità, per la sua implausibilità (Cass. 22 giugno 2017, n. 15471) sotto
il profilo di violazione dei criteri ermeneutici scrutinati, per la non
corretta osservanza del rapporto tra contratto collettivo nazionale e
aziendale, regolato, in ragione di una reciproca autonomia delle due
discipline, secondo il criterio di competenza e di specialità, nella prevalenza
della fonte collettiva più vicina agli interessi disciplinati, nei limiti della
normativa inderogabile di legge;
8. l’indirizzo interpretativo di questa Corte è
infatti consolidato (trovando applicazione anche nell’ambito del pubblico
impiego privatizzato: Cass. 26 maggio 2008, n. 13544; Cass. 13 gennaio 2016, n.
355; Cass. 6 aprile 2017, n. 8892), e meritevole di continuità per la sua
condivisibile correttezza, nel ritenere che il rapporto fra contratti
collettivi di diverso ambito territoriale debba essere regolato, non già in
base ai principi di gerarchia e di specialità propri delle fonti legislative,
ma della effettiva volontà delle parti sociali, in ragione di una reciproca
autonomia delle due discipline (e di un loro diverso ambito applicativo,
secondo il criterio di competenza e di specialità nel rispetto del principio di
autonomia talché la fonte collettiva prossima agli interessi disciplinati è,
nei limiti della normativa inderogabile di legge, prevalente sulle altre
consimili: Cass. 19 febbraio 1988, n. 1759), che ha trovato riscontro nel mondo
sindacale anche nell’aspetto delle relazioni industriali (Cass. 18 settembre
2007, n. 19351).
Ebbene, in virtù del principio dell’autonomia
negoziale stabilito dall’art. 1322 c.c., i contratti territoriali possono
prorogare l’efficacia dei contratti nazionali e derogarli, anche in pejus senza
che osti il disposto dell’art. 2077 c.c., fatta salva solamente la salvaguardia
dei diritti già definitivamente acquisiti nel patrimonio dei lavoratori, non
suscettibili di un trattamento deteriore in ragione della posteriore normativa
di eguale o diverso livello (Cass. 18 maggio 2010, n. 12098); sicché,
l’effettiva volontà delle parti sociali deve essere desunta attraverso il
coordinamento delle diverse disposizioni delle fonti collettive, aventi tutte
pari dignità e forza vincolante, con la conseguenza che i rispettivi fatti
costitutivi ed estintivi non interagiscono, rispondendo ciascuna disciplina a
regole proprie in ragione dei diversi agenti contrattuali e del loro diverso
ambito territoriale (Cass. 2 marzo 2021, n. 5651);
9. dalle argomentazioni sopra svolte discende allora
l’accoglimento del ricorso, con la cassazione della sentenza impugnata e
rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla
Corte d’appello di Catania in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e
rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla
Corte d’appello di Catania in diversa composizione.