Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 novembre 2022, n. 33009

Avviso di addebito Inps, Pagamento di contributi
previdenziali, Iscrizione d’ufficio alla gestione, Attività libero
professionale, Prescrizione del credito contributivo

 

Rilevato che

 

con sentenza depositata in data 16/7/2020 n. 315, la
Corte d’appello di Salerno confermava la sentenza di primo grado che aveva
accolto l’opposizione proposta da N.D.F. contro l’avviso di addebito
notificatole dall’Inps, avente ad oggetto il pagamento di contributi
previdenziali dovuti a seguito della sua iscrizione d’ufficio alla gestione
separata ai sensi dell’art. 2,
comma 26, della legge n. 335/1995, in relazione all’attività libero
professionale in concomitanza con l’attività di lavoro dipendente per la quale
ella era iscritta presso altra gestione assicurativa obbligatoria; a fondamento
della decisione, la Corte territoriale, condividendo il giudizio espresso dal
Tribunale di Nocera Inferiore, riteneva prescritto il credito contributivo,
trattandosi di contributi risalenti all’anno 2009 rispetto al quali l’Inps
aveva comunicato l’iscrizione nella gestione separata in data 30/6/2015, ovvero
dopo il quinquennio di prescrizione, decorrente dalla data di scadenza del
pagamento (nel caso di specie, 16/6/2010); avverso tale pronuncia l’INPS ha
proposto ricorso per cassazione deducendo un unico motivo di censura,
illustrato da memoria; la D.F. ha resistito con controricorso, illustrato da
memoria; Il PG ha rassegnato conclusioni scritte in termini di rigetto del
ricorso.

 

Considerato in diritto

 

con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, nr.3 cod. proc. civ., si censura
la sentenza per violazione degli artt. 2935 e 2941, n. 8, cod. civ. in relazione all’art. 2, comma 26 ss. L. n. 335/1995,
all’art. 18, comma 12, del D.L.
n. 98/2011, convertito con modificazioni nella L.
n. 111/2011, all’art. 1
d.lgs. n. 462/1997 e all’art.
10, comma 1, del decreto legislativo n. 241/1997.

L’Inps assume che la Corte di appello sarebbe
incorsa in errore di diritto, per non aver ritenuto sussistente una ipotesi di
sospensione del termine di prescrizione a causa della mancata esposizione,
all’interno della dichiarazione dei redditi, degli obblighi contributivi
relativi alla gestione separata e connessi al lavoro autonomo, richiamando
alcuni precedenti di questa Corte (Cass., n. 6677
del 2019; Cass., n. 16986 del 2019).

Rileva di aver depositato con la memoria di
costituzione in primo grado il modello unico-dichiarazione dei redditi 2010
delle persone fisiche della professionista e di aver evidenziato, nella stessa
memoria, che la dichiarazione dei redditi era priva della compilazione del
quadro RR e che ciò costituiva doloso occultamento del debito contributivo,
idoneo a sospendere il decorso della prescrizione ai sensi dell’art. 2941, n. 8, cod. civ. La questione era stata
riproposta con l’atto di appello.

Va preliminarmente rilevato che la Corte di appello,
nell’individuare il dies a quo del termine di prescrizione nel giorno di
scadenza del termine per il pagamento dei contributi relativi all’anno 2009,
non ha affrontato la questione del differimento di tale termine disposta sino
al 6 luglio 2010 con il D.P.C.M. del 10 giugno
2010, proroga che, nella specie, assumerebbe rilievo, atteso che, secondo
quanto riportato In sentenza (pag. 11), l’avviso di pagamento è stato
notificato al contribuente in data 30 giugno 2015.

Questa Corte ha esaminato la questione della
rilevanza del differimento della scadenza previsto per i soggetti che
esercitano attività economiche per le quali sono stati elaborati gli studi di
settore, in relazione alla maturazione della prescrizione contributiva,
giungendo ad individuare il dies a quo nel termine di scadenza prorogato senza
alcuna maggiorazione (Cass. Sez. L., 19 aprile
2021, n. 10273 e cass. Sez. L., 08/11/2021, n. 32467) ed affermando che il
giudice, tenuto a pronunciarsi sulla questione di diritto della decorrenza dei
termini di prescrizione, non è vincolato dalle allegazioni di parte (Cass. Sez.
6-L, 14 ottobre 2021, n. 28123).

Infatti, secondo la giurisprudenza in termini di
questa Corte, “(…)10. Il D.P.C.M. 10 giugno
2010 citato, art. 1, comma 1, emanato giusta la previsione generale del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 18,
ha previsto, per quanto qui rileva, che “i contribuenti tenuti ai
versamenti risultanti dalle dichiarazioni dei redditi (…) entro il 16 giugno
2010, che esercitano attività economiche per le quali sono stati elaborati gli
studi di settore di cui al D.L. 30
agosto 1993, n. 331, art. 62-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, e che dichiarano
ricavi o compensi di ammontare non superiore al limite stabilito per ciascuno
studio di settore dal relativo decreto di approvazione del Ministro
dell’economia e delle finanze”, debbano effettuare i versamenti
“entro il 6 luglio 2010, senza alcuna maggiorazione” (lett. a) e
“dal 7 luglio 2010 al 5 agosto 2010, maggiorando le somme da versare dello
0,40 per cento a titolo di interesse corrispettivo” (lett. b). 11. (…)
secondo l’orientamento consolidato di questa Corte. La individuazione del
termine di prescrizione applicabile, ovvero del momento iniziale o finale di
esso, costituisce quaestio iuris, su cui il giudice non è vincolato dalle
allegazioni di parte (v. Cass. n. 15631 del 2016; n. 21752 del 2010; n. 11843 del 2007; 16573 del 2004); che i dati
necessari ai fini del corretto calcolo del termine prescrizionale emergono
tutti dalla sentenza impugnata; che, secondo l’orientamento consolidato, deve
riconoscersi natura regolamentare e quindi di fonte normativa ai D.P.C.M. se
hanno funzione attuativa o integrativa della legge (v. Cass. n. 73 del 2014; n.
16586 del 2010; n. 20898 del 2007; n. 5360 del
2004; n. 23674 del 2004; n. 11949 del
2004; n. 14210 del 2002; n. 1972 del 2000), come nel caso specie (il D.P.C.M.
del 6.7.2010 è stato emanato in attuazione della delega di cui al D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 12,
comma 5)” (Cass. n. 34214/21, cfr. Cass. n. 28123/21).

Inoltre, nessuna rilevanza ha la circostanza che il
contribuente sia estraneo agli studi di settore, atteso che, giusta la lettera
del D.P.C.M. cit., art. 1, comma 1, il differimento del termine di pagamento
concerneva tutti “contribuenti (…) che esercitano attività economiche
per le quali sono stati elaborati gli studi di settore” e non soltanto
coloro che, in concreto, alle risultanze di tali studi fossero fiscalmente
assoggettati per non aver scelto un diverso regime d’imposizione, quale quello
di cui alla L. n. 244 del 2007,
art. 1, commi 96 ss. (in termini, Cass. N.
10273/21, cfr. Cass. n. 4899/21).

Da tali premesse discende che erroneamente la
sentenza impugnata ha fatto decorrere il termine di prescrizione quinquennale
dei contributi previdenziali dal 16.6.2010; tale termine, infatti, risultava
differito al 6 luglio successivo in virtù della previsione del D.P.C.M. citato,
art. 1, comma 1, lett. a), e quindi è quest’ultima (6.7.2010) la data da
considerare ai fini della decorrenza di tale termine di prescrizione: pertanto,
alla data della ricezione dell’atto interruttivo della prescrizione del
30.6.2010 inviata dall’Inps alla parte privata i contributi non erano ancora
prescritti e quindi, sono ancora dovuti dalla parte privata stessa.

In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza
impugnata con rinvio alla Corte di appello di Salerno, la quale, in diversa
composizione riesaminerà anche le eventuali ulteriori questioni assorbite,
nonché per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, anche per le
spese del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 novembre 2022, n. 33009
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