Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 novembre 2022, n. 33135

Lavoro, Operaio agricolo a tempo determinato, Indennità di
disoccupazione agricola,Base di calcolo, Parametro del salario medio
convenzionale, Maggiorazione del terzo elemento, Esclusione

Rilevato che

 

la Corte di Appello di Reggio Calabria ha confermato
la pronuncia del Tribunale di Palmi che aveva rigettato la domanda di P.S.
diretta al riconoscimento del proprio diritto all’indennità di disoccupazione
agricola quale operaio a tempo determinato, parametrandone il valore al salario
medio convenzionale per la provincia di Reggio Calabria ovvero, in subordine,
al salario minimo contrattuale previsto dal contratto provinciale di lavoro per
gli operai agricoli e florovivaisti della medesima provincia, da maggiorarsi
del c.d. terzo elemento, nonché del proprio diritto ad aver corrispondentemente
accreditata la relativa contribuzione figurativa;

la Corte territoriale, per quanto rileva in questa
sede, ha dapprima escluso che la disciplina del salario medio convenzionale di
cui agli artt. 28, d.P.R. n. 488/1968, e 7, L. n. 233 del 1990, rilevasse ai
fini del calcolo dell’indennità di disoccupazione agricola degli operai
agricoli a tempo determinato; in secondo luogo, ha disatteso la tesi volta a
maggiorare di una percentuale corrispondente al c.d. terzo elemento la
retribuzione del contratto provinciale da assumere a base di calcolo
dell’anzidetta indennità, ritenendolo già incluso; da ultimo, ha
consequenzialmente rilevato l’infondatezza della domanda concernente la
rideterminazione della contribuzione figurativa per i periodi di
disoccupazione, sì come fondata su presupposti di cui aveva previamente
verificato l’inconsistenza, e ha compensato le spese del grado ex art. 152 att.
cod.proc.civ.; avverso tali statuizioni ha proposto ricorso per cassazione P.S.
deducendo cinque motivi di censura; l’INPS ha resistito con controricorso.

 

Considerato che

 

con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art.
360, co.l, n. 3 cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione o falsa
applicazione degli artt. 28. D.P.R. n. 488/1968, e 7, I. n 233/1990 nonché
dell’art. 1 (rectius, 01), comma 4, d.l. n. 2/2006 in relazione all’art. 8
della Legge n. 334/1968 ed all’art. 1 del D.L. n. 338/1989, nonché dell’art 2
commi 5 e 153 della I. n 191/2009, per avere la Corte di merito ritenuto di non
accogliere la domanda di riliquidazione dell’indennità di disoccupazione
agricola secondo i parametri retributivi di cui agli artt. 28. D.P.R. n.
488/1968, e 7, I. n 233/1990 (c.d. salario medio convenzionale);

con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art.
360, co.l, n. 3 cod. proc. civ., il ricorrente lamenta violazione e falsa
applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., nonché dell’art. 49 CCNL per gli
operai agricoli e florovivaisti del 25.5.2010 e dell’art. 14 CCP per gli operai
agricoli e florovivaisti della provincia di Reggio Calabria del 14.3.2013, per
avere la Corte territoriale ritenuto che il salario contrattuale indicato dal
contratto collettivo provinciale non dovesse essere maggiorato del 30,44% a
titolo di c.d. terzo elemento, in quanto il valore della retribuzione prevista
dal medesimo contratto per gli operai agricoli a tempo determinato sarebbe già
stato calcolato in modo comprensivo del terzo elemento stesso;

con il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art.
360, co.l, n. 3 cod. proc. civ., il ricorrente si duole di violazione e falsa
applicazione dell’art. 32, L. n. 264/1949, dell’art. 3, d.l. n. 942/1977 (conv.
con I. n. 41/1978), e dell’art. 8, I. n. 155/1981, per avere, la Corte di
merito, rigettato la domanda volta alla consequenziale riliquidazione della
contribuzione figurativa accreditatale per i periodi di disoccupazione;

con il quarto motivo, formulato ai sensi dell’art.
360, co.l, n. 3 cod. proc. civ., il ricorrente censura la sentenza impugnata
per aver ingiustamente rigettato l’appello e aver conseguentemente esonerato
l’INPS dall’obbligo di rifonderle le spese di lite;

con il quinto motivo, formulato ai sensi dell’art.
360, co.l, n. 3 cod. proc. civ., il ricorrente deduce violazione dell’art. 152
att. cod. proc. civ. per avere, la Corte territoriale, ritenuto che il deposito
in grado di appello della dichiarazione reddituale non valesse a guadagnarle la
compensazione delle spese (anche) del primo grado del giudizio;

il primo motivo è infondato (si vedano i precedenti
di questa Corte intervenuti in vicende del tutto analoghe, Cass. 28 gennaio
2022, n. 2705; 13 gennaio 2022 n.930; n. 40400 del 2021);

ad avviso di parte ricorrente, avendo l’art. 1, comma
785, L. n. 296/1996, proceduto ad interpretare autenticamente l’art. 1, comma
4, d.l. n. 2/2006, cit., prevedendo che per i soggetti di cui all’art. 8, I. n.
334/1968, e per gli iscritti alla Gestione dei coltivatori diretti, coloni e
mezzadri continuino a trovare applicazione le disposizioni di cui agli artt.
28, d.P.R. n. 488/1968, e 7, I. n. 233/1990, la disciplina del salario medio
convenzionale sarebbe tuttora applicabile anche ai fini della determinazione
delle prestazioni previdenziali dovute agli operai agricoli a tempo
determinato, in virtù dell’equiparazione sancita dall’art. 8, L. n. 334/1968,
tra costoro e i compartecipanti familiari e i piccoli coloni, e con la
rilevante differenza, rispetto al regime previgente, che tale salario medio andrebbe
adesso rilevato con riguardo all’anno cui si riferisce la prestazione e salva
comunque l’applicazione dell’art. 1, d.l. n. 338/1989, cit., che attribuisce
invece rilievo, se superiore, alla retribuzione dovuta in forza di contratti
collettivi o accordi individuali;

in conformità con i precedenti sopra indicati, deve
escludersi che il richiamo dell’art. 1, comma 785, L. n. 296/2006, all’art. 8,
L. n. 334/1968, possa avere il significato di reintrodurre, per la
determinazione dei contributi e delle prestazioni dovute ai lavoratori agricoli
a tempo determinato, il precedente sistema del salario medio convenzionale:
trattandosi di norma recante interpretazione autentica dell’art. 1, d.l. n.
2/2006, cit., essa deve leggersi congiuntamente alla norma interpretata (cfr.
in tal senso Corte cost. nn. 424 del 1993 e 397 del 1994), che – al contrario –
ha previsto che “per tutte le categorie di lavoratori agricoli a tempo
determinato e indeterminato” si abbia riferimento alla retribuzione di cui
all’art. 1, comma 1°, d.l. n. 338/1989; e dunque, la circostanza che essa abbia
fatto salve le disposizioni di cui all’art. 28, d.P.R. n. 488/1968, per “i
soggetti di cui all’articolo 8 della legge 12 marzo 1968, n. 334”, che a
sua volta, al comma 1°, equiparava “i compartecipanti familiari ed i
piccoli coloni […] ai giornalieri di campagna” (ossia agli operai
agricoli a tempo determinato), non può logicamente implicare una reviviscenza
del sistema del salario medio convenzionale anche per gli operai a tempo
determinato, dal momento che il riferimento ai “giornalieri di
campagna”, nella disposizione richiamata dalla norma d’interpretazione
autentica, aveva piuttosto la funzione di indicare in costoro la categoria di
prestatori cui rifarsi per l’individuazione dei contributi da versare e delle
prestazioni da corrispondere ai compartecipanti familiari e ai piccoli coloni,
che ne erano sprovvisti, e non viceversa di estendere ai giornalieri di
campagna il trattamento proprio dei compartecipanti familiari e dei piccoli
coloni; prova ne sia che l’art. 1, comma 55, I. n. 247/2007, espressamente
stabilisce, per quanto qui rileva, che “per gli operai agricoli a tempo
determinato e le figure equiparate, l’importo giornaliero dell’indennità
ordinaria di disoccupazione […] è fissato con riferimento ai trattamenti
aventi decorrenza dal 10 gennaio 2008 nella misura del 40 per cento della
retribuzione indicata all’articolo 1 del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, ed è corrisposto

per il numero di giornate di iscrizione negli
elenchi nominativi, entro il limite di 365 giornate del parametro annuo di
riferimento”;

non si palesano dubbi di legittimità costituzionale
per disparità di trattamento, avendo il giudice delle leggi più volte affermato
che la necessaria tutela del lavoro “in tutte le sue forme e
applicazioni”, di cui all’art. 35 Cost., non impedisce al legislatore di
approntare tutele differenziate in ragione di tali diverse forme (cfr., fra le
tante, Corte cost. nn. 365 del 1995 e 165 del 1972);

parimenti infondato è il secondo motivo, posto che,
nel motivare il rigetto della domanda proposta da parte ricorrente, i giudici
di merito non hanno affatto negato che, giusta la previsione dell’art. 49 CCNL
del 25.5.2010, il terzo elemento debba entrare a far parte della retribuzione
spettante agli operai a tempo determinato, ma hanno piuttosto ritenuto, sulla
base di un’interpretazione sistematica condotta ex art. 1363 c.c., che la
retribuzione indicata per gli operai agricoli a tempo determinato nell’art. 14
del contratto collettivo provinciale del 14.3.2013 fosse già comprensiva del
terzo elemento, calcolato quale maggiorazione del 30,44% della retribuzione
spettante agli operai a tempo indeterminato;

la denuncia ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3,
c.p.c., della violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi di
lavoro è ammissibile limitatamente ai contratti collettivi nazionali, con
esclusione dunque dei contratti collettivi provinciali (così, da ultimo, Cass.
n. 551 del 2021), per i quali ultimi la censura rimane possibile, così come in
genere per i contratti di diritto comune, nei limiti della violazione delle
regole di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. c.c. ovvero
dell’omesso esame circa fatti decisivi (giurisprudenza costante fin da Cass. n.
947 del 1962);

nell’interpretazione dei contratti collettivi di
diritto comune ruolo preminente dev’essere assegnato alla regola di cui
all’art. 1363 c.c., stante la natura complessa e particolare dell’iter
formativo della contrattazione sindacale, la non agevole ricostruzione della
comune volontà delle parti contrattuali attraverso il mero riferimento al senso
letterale delle parole, l’articolazione della contrattazione su diversi
livelli, la vastità e complessità della materia trattata in ragione dei
molteplici profili della posizione lavorativa e, da ultimo, il particolare
linguaggio in uso nel settore delle relazioni industriali, che include il
ricorso a strumenti sconosciuti alla negoziazione tra parti private quali
preamboli, premesse, note a verbale, ecc. (così, tra le più recenti, Cass. n.
11834 del 2009), nessuna violazione degli anzidetti canoni di ermeneutica può
rimproverarsi alla sentenza impugnata; né a diverse conclusioni potrebbe pervenirsi
in ragione della plausibilità della diversa interpretazione del contratto
provinciale propugnata nel ricorso per cassazione, essendosi da tempo chiarito
che la censura per cassazione dell’interpretazione del contratto fatta propria
dal giudice di merito non può risolversi nella mera prospettazione di
un’interpretazione ritenuta più confacente alle aspettative della parte
ricorrente rispetto a quella accolta nella sentenza impugnata (così Cass. nn.
9950 del 2001, 319 del 2003 e innumerevoli successive conformi);

l’infondatezza dei primi due motivi determina
l’assorbimento del terzo e del quarto;

infondato è, infine, anche il quinto motivo di
censura, dovendosi ricordare che dalla previsione di cui all’art. 152 disp.
att. cod. proc. civ., che fa carico alla parte, che versi nelle condizioni
reddituali per poter beneficiare dell’esonero degli oneri processuali in caso
di soccombenza, di rendere apposita dichiarazione sostitutiva “nelle
conclusioni dell’atto introduttivo”, impegnandosi “a comunicare, fino
a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di
reddito verificatesi nell’anno precedente”, si può bensì ricavare che
l’autocertificazione allegata al ricorso introduttivo del giudizio di primo
grado può esplicare la sua efficacia anche nelle fasi successive, così come
pure che l’interessato conserva la facoltà di rendere tale dichiarazione nei
gradi successivi al primo, ove le condizioni dell’esonero fossero
originariamente insussistenti e si siano concretizzate nel prosieguo del giudizio
(così Cass. nn. 16284 del 2011 e 21630 del 2013), ma non anche che la
dichiarazione resa in grado successivo al primo possa valere a guadagnare alla
parte, che non l’abbia allegata al giudizio di primo grado, l’esonero dalle
spese di quel procedimento: a tale dichiarazione, infatti, la legge riconnette
un’assunzione di responsabilità che, oltre ad essere personalissima e non
delegabile al difensore (così Cass. n. 5363 del 2012 e succ. conf.), segna il
punto di bilanciamento tra l’esigenza di assicurare l’effettivo accesso alla
tutela di diritti costituzionalmente garantiti e quella di prevenire e
reprimere gli abusi, resa palese dal rinvio dell’art. 152 att. cod. proc. civ.
ai controlli della Guardia di Finanza di cui all’art. 88, T.U. n. 115/2002; ed
è evidente che tale ultima esigenza resterebbe inevitabilmente frustrata
laddove si consentisse l’ingresso nel processo di dichiarazioni
autocertificative di un passato non più suscettibile di controllo alcuno;

il ricorso, pertanto, va rigettato, nulla pronunciandosi
sulle spese del giudizio di legittimità ex art. 152 att. cod.proc.civ.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n.
115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.

 

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 novembre 2022, n. 33135
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