Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 novembre 2022, n. 33429

Lavoratore che assiste familiare disabile, Tutela ex art. 33,
co. 5, L. n. 104/1992, Rifiuto all’assegnazione a mansioni diverse,
Trasferimento, Limiti, Legittimità

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Bologna ha confermato la
sentenza del Tribunale di Ravenna con cui erano state respinte le domande
proposte da F.B. contro il datore di lavoro H. s.p.a. (già respinte in doppio
grado cautelare), volte all’accertamento dell’illegittimità del trasferimento
da Ravenna a Forlì, disposto con lettera del 24/12/2015 e confermato con
lettera del 26/05/2016, ed alla condanna della società a ricevere la
prestazione di lavoro del ricorrente presso gli stabilimenti e gli uffici siti
nel territorio del Comune di Ravenna, in quanto assistente con continuità il
padre disabile ai sensi dell’art. 33, comma 5, legge n. 104/1992;

2. avverso la predetta sentenza il lavoratore
propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste con controricorso
parte datoriale;

3. entrambe le parti hanno comunicato memoria ai
sensi dell’art. 380- bis.1 c.p.c.;

 

Considerato che

 

1. la Corte di merito ha richiamato, in diritto, i
principi ribaditi da Cass. n. 24015/2017 in ordine alle limitazioni normative
al trasferimento del lavoratore con diritto alla tutela di cui all’art. 33,
comma 5, legge 104/1992, ove il trasferimento sia idoneo a pregiudicare gli
interessi di assistenza familiare del dipendente e ove il datore di lavoro non
provi che il trasferimento è stato disposto per effettive ragioni tecniche,
organizzative e produttive insuscettibili di essere diversamente soddisfatte;
in fatto, ha valutato provati dal datore di lavoro l’effettività delle esigenze
tecniche, organizzative e produttive del trasferimento, insuscettibili di
essere diversamente soddisfatte, ed il rifiuto dell’appellante di un’offerta di
una posizione lavorativa alternativa a Ravenna;

2. il ricorrente si duole, con il primo motivo, di
falsa applicazione dell’art. 33, quinto comma, della legge n. 104/1992:
sostiene che la Corte d’Appello ha errato nel non ritenere che il trasferimento
senza consenso del titolare della tutela può lecitamente avvenire solo quale
alternativa alla risoluzione del rapporto, con conseguente necessità di prova dell’impossibilità
di ricollocare altrove nella stessa sede dove si è verificata la soppressione
del posto o in sede più prossima il lavoratore, anche in posizioni
professionalmente diverse o deteriori, con onere della prova dell’impossibilità
di cd. repêchage incombente sul datore di lavoro;

3. con il secondo motivo, si duole di omessa
valutazione circa il fatto decisivo per il giudizio che controparte non avrebbe
dato prova dell’impossibilità di assolvere l’onere di repêchage esteso anche a
mansioni non equivalenti;

4. i motivi sono da trattare congiuntamente in
quanto involgenti, in diritto ed in fatto, la questione se, come prospettato
dalla difesa del lavoratore, l’onere di ricollocazione, in materia di
trasferimento di lavoratore che assista con continuità un congiunto disabile,
debba operare allo stesso modo che nella valutazione della legittimità del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo, e della connessa questione
concreta dell’onere della prova del rifiuto, da parte del lavoratore, di mansioni
diverse, anche inferiori;

5. la tesi di parte ricorrente propugna, in
astratto, la piena sovrapposizione tra il cd. obbligo di repêchage (concetto
che esprime icasticamente, nella giurisprudenza in tema di licenziamento per
giustificato motivo oggettivo, l’obbligo per il datore di lavoro di dimostrare
l’impossibilità di adibire il dipendente da licenziare ad altri posti di lavoro
rispetto a quello da sopprimere), ed i limiti al trasferimento del lavoratore
che assiste con continuità un familiare disabile convivente, di cui all’art.
33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, nel testo modificato dall’art. 24,
comma 1, lett. b), della legge n. 183 del 2010;

6. si tratta di tesi non condivisibile nel suo
automatismo, perché trasferimento e licenziamento del lavoratore rimangono
ontologicamente fenomeni diversi, per natura e per portata, e che neppure può
essere desunta dalla giurisprudenza di legittimità in materia, che dà rilievo
in ogni caso al bilanciamento di interessi nel caso concreto;

7. invero, Cass. S.U. 16102/2009 ha chiarito (in
motivazione, pp. 10 ss.), quanto al diritto di scelta della sede di lavoro a
conclusione di una procedura concorsuale pubblica, che la legge n. 104/1992,
art. 33, comma 5, non configura, in generale, un diritto assoluto e illimitato,
poiché esso può essere fatto valere allorquando, alla stregua di un equo
bilanciamento fra tutti gli implicati interessi costituzionalmente rilevanti,
il suo esercizio non finisca per ledere in maniera consistente le esigenze
economiche, produttive ed organizzative del datore di lavoro;

8. il bilanciamento degli indicati interessi avviene
a livelli diversi in relazione alle distinte posizioni soggettive contemplate
dalla disposizione in esame, e l’assenza dell’inciso “ove possibile”,
per l’ipotesi del trasferimento, per il quale la seconda parte della
disposizione prevede semplicemente che il lavoratore non può essere trasferito
ad altra sede senza il suo consenso, esprime una diversa scelta di valori che è
collegata alla diversità delle due situazioni, e specificamente ai riflessi
negativi per il portatore di handicap di un trasferimento di sede del congiunto
a fronte di una situazione assistenziale già consolidata;

9. tuttavia, la scelta operata dal legislatore
significa soltanto che in questa ipotesi l’interesse della persona disabile,
ponendosi come limite esterno del potere datoriale di trasferimento, quale
disciplinato in via generale dall’art. 2103 c.c., prevale sulle ordinarie
esigenze produttive e organizzative del datore di lavoro, ma non esclude che il
medesimo interesse, pure prevalente rispetto alle predette esigenze, debba
conciliarsi con altri rilevanti interessi, diversi da quelli sottesi alla
ordinaria mobilità, che possono entrare in gioco nello svolgimento del rapporto
di lavoro, pubblico o privato, così come avviene in altre ipotesi di divieto di
trasferimento previste dall’ordinamento per le quali la considerazione dei
principi costituzionali coinvolti può determinare, concretamente, un limite
alla prescrizione di inamovibilità; in questo senso, l’evoluzione della
giurisprudenza di legittimità ha individuato situazioni di fatto riconducibili
in via sistematica all’art. 2103 c.c., che si distinguono dalle ordinarie
esigenze di assetto organizzativo, quali la soppressione del posto, per il
fatto che il mutamento della sede corrisponde alla necessità obiettiva, da
accertare rigorosamente, di conservare al lavoratore il posto di lavoro, ove
risulti l’impossibilità della prosecuzione del rapporto nella precedente sede;

10. la particolarità delle esigenze sottese a tali
situazioni, riconducibili a valori di rilievo costituzionale ed allo stesso
mantenimento dell’assistenza alle persone handicappate, determina la
inapplicabilità, in caso di soppressione del posto (o di incompatibilità ambientale,
che in questo caso non rileva), della tutela di cui alla legge n. 104/1992,
art. 33, comma 5, che riguarda invece le ipotesi di mobilità dei lavoratori per
ordinarie ragioni tecnico-produttive;

11. coerentemente con tali principi, Cass. n.
24015/2017, richiamata nella sentenza qui gravata (conf. Cass. n. 2969/2021),
ha chiarito che è innegabile che l’applicazione dell’art. 33, comma 5, cit.,
postula, di volta in volta, un bilanciamento di interessi, bilanciamento
necessario, per vero, in via generale, per tutti i trasferimenti, atteso il
disposto dell’art.2103 c.c., che, nel periodo finale del primo comma, statuisce
che il lavoratore non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra
“se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”;
in particolare, poi, la norma di cui all’art. 33, comma 5, della legge n.
104/1992, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati –
alla luce dell’art. 3, secondo comma, Cost., della Carta dei Diritti
Fondamentali dell’Unione Europea (art. 26 – Inserimento dei disabili, e art. 35
.- Protezione della salute) e della Convenzione delle Nazioni Unite del 13
dicembre 2006 sui diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia
con legge n. 18/2009;

12. alla luce del quadro normativo e
giurisprudenziale sopra richiamato, si deve quindi affermare che la tutela
rafforzata cui ha diritto il lavoratore che assista con continuità una
familiare invalido opera nei confronti delle ordinarie esigenze tecniche,
organizzative, produttive, legittimanti la mobilità, con il limite della
soppressione del posto o di altre situazioni di fatto insuscettibili di essere
diversamente soddisfatte;

13. nel caso concreto tale situazione di fatto è
stata ritenuta provata dalla Corte di merito, unitamente al rifiuto del
lavoratore all’assegnazione a mansioni diverse in alternativa al trasferimento;

14. in relazione a tale accertamento in fatto, si
rileva che la Corte d’Appello ha confermato integralmente le statuizioni di
primo grado, così realizzandosi ipotesi di cd. doppia conforme rilevante ai
sensi dell’art. 348-ter c.p.c. e dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., nel senso
che il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di
cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo riformulato applicabile alle sentenze
pubblicate dal giorno 11 settembre 2012), deve indicare le ragioni di fatto
poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza
di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n.
26774/2016; conf. Cass. n. 20994/2019, Cass. n. 8320/2021); ricorre l’ipotesi
di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348-ter, commi 4 e 5, c.p.c., con
conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex
art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado
è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due
statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione
ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di
appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la
statuizione già assunta dal primo giudice (Cass. n. 7724/2022);

15. il ricorso, con il quale si sostiene in diritto
una tesi non corrispondente all’assetto degli interessi da bilanciare e come
bilanciati nel caso concreto, e con il quale si sollevano questioni di
accertamento dei fatti non ammissibili in questa sede, deve, pertanto, essere
respinto, con regolazione delle spese del presente grado di legittimità secondo
soccombenza, e con conseguente raddoppio del contributo unificato, ove
spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali;

 

P.Q.M.

Respinge il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese
del presente giudizio, che liquida in € 4.000 per compensi, € 200 per esborsi,
spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, se dovuto.

 

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