Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 novembre 2022, n. 33420
Lavoro, Disapplicazione del contratto integrativo
interaziendale, Illegittimità, Pagamento della parte variabile del premio di
partecipazione
Rilevato che
1. Con sentenza n. 941 depositata il 13/3/2019 la
Corte di appello di Roma, in riforma della pronuncia del Tribunale di Viterbo,
ha dichiarato – nell’ambito di una procedura di opposizione a decreto
ingiuntivo – l’illegittima disapplicazione del contratto integrativo
interaziendale della società Ceramica A. nei confronti di M. D.V., con
conseguente condanna al pagamento della parte variabile del premio di
partecipazione per i mesi di luglio e ottobre 2013 nonché di gennaio 2014.
2. La Corte territoriale ha ritenuto che gli elementi
istruttori, di fonte documentale, dimostravano che la società – anche dopo
l’anno 2010 e, comunque, successivamente all’atto di disdetta di adesione
all’associazione nazionale di rappresentanza delle imprese manifatturiere e di
servizi – Confindustria – aveva continuato ad erogare ai lavoratori diverse
voci retributive e/o incentivanti e/o indennitarie previste dal contratto
integrativo interaziendale, sicché risultava illegittimo il rifiuto di pagare
l’ulteriore voce; inoltre, il contratto integrativo interaziendale aveva
termine annuale di efficacia (con clausola di rinnovo anno per anno, salvo
disdetta), contratto a tempo determinato avverso il quale non era configurabile
la libera recedibilità.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre la
società affidandosi a tre motivi di ricorso. Il lavoratore è rimasto intimato.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso la società
denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.
1322, 1372, 1373,
1375 cod.civ. e 36
Cost. (in relazione all’art. 360, primo comma,
n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, trascurato che i
contratti collettivi sono contratti di diritto comune e che la formale disdetta
all’iscrizione a Confindustria comportava una legittima disapplicazione del
contratto integrativo interaziendale del 17/11/2004 che la società non aveva mai
sottoscritto; né la continua applicazione di alcune voci retributive (elementi
fissi) previste dal suddetto contratto integrativo interaziendale non
legittimava il lavoratore ad avere aspettative sull’applicazione di tutte le
clausole del contratto. L’erogazione della componente variabile del premio di
partecipazione rappresentava esclusivamente un’adesione obbligata quale società
iscritta a Confindustria, né può ritenersi che tale componente costituisse la
retribuzione minima sufficiente garantita dalla Costituzione.
2. Con il secondo motivo di ricorso la società
denuncia nullità della sentenza ai sensi degli artt.
132 cod.proc.civ. e 111 Cost. (in relazione
all’art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ.)
avendo, la Corte distrettuale, trascurato di fornire la motivazione
relativamente alla statuizione di accoglimento del motivo di appello del
lavoratore in base alla quale la libera recedibilità dal contratto collettivo è
configurabile solo se questo è a tempo indeterminato, non anche se è a tempo
determinato.
3. Con il terzo motivo di ricorso la società
ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1322, 1363, 1372, 1373, 1375, 2070 cod.civ., 2 e
36 Cost. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.)
avendo, la Corte distrettuale, trascurato che, nel regime dei contratti di
diritto comune (come ampiamente esposto nel primo motivo), era sufficiente – al
fine della disapplicazione del contratto integrativo – la disdetta data a
Confindustria il 19/11/2008, non essendo intervenuta alcuna adesione tacita o
clausola d’uso né era rinvenibile nei contratti di assunzione alcun richiamo al
contratto integrativo, con conseguente esplicita volontà di non voler più
riconoscere la parte variabile del premio di produzione da giugno 2013. La
Corte territoriale, inoltre, ha erroneamente ritenuto di applicare l’art. 2070
cod.civ. considerando la parte variabile del premio di partecipazione un
elemento minimo retributivo stabilito dalla contrattazione collettiva,
trascurando che trattasi invece di un compenso aggiuntivo della retribuzione
(che non rientra dunque nei minimi retributivi di cui all’art. 36 Cost.).
4. Le questioni esposte nel ricorso sono state
decise da questa Corte, nei confronti della medesima società ricorrente, con
numerose sentenze (le prime, Cass. nn. 27922 e 27923 del 2021 e, da ultimo,
Cass. nn. 73, 74, 935
del 2022) che questo Collegio condivide e ritiene di confermare, non
essendo stati avanzati motivi diversi da quelli già esaminati.
5. Deve, pertanto ritenersi che il primo ed il terzo
motivo, che vanno trattati congiuntamente per stretta connessione, non sono
fondati.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che i
contratti collettivi postcorporativi di lavoro, che non siano stati dichiarati efficaci
erga omnes ai sensi della legge 14 luglio 1959, n.
741, costituiscono atti aventi natura negoziale e privatistica, applicabili
esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti fra soggetti che siano
entrambi iscritti alle associazioni stipulanti ovvero che, in mancanza di tale
condizione, abbiano espressamente aderito ai patti collettivi oppure li abbiano
implicitamente recepiti attraverso un comportamento concludente desumibile da
una costante e prolungata applicazione, senza contestazione alcuna, delle
relative clausole al singolo rapporto. Ne consegue che, ove una delle parti
faccia riferimento, per la decisione della causa, ad una clausola di un
determinato contratto collettivo di lavoro, non efficace erga omnes, in base al
rilievo che a tale contratto entrambe le parti si erano sempre ispirate per la
disciplina del loro rapporto, il giudice del merito ha il compito di valutare
in concreto il comportamento posto in essere dal datore di lavoro e dal
lavoratore, allo scopo di accertare, pur in difetto della iscrizione alle
associazioni sindacali stipulanti, se dagli atti siano desumibili elementi tali
da indurre a ritenere ugualmente sussistente la vincolatività della
contrattazione collettiva invocata (Cass. n. 10213 de 2000; Cass. n. 10375 del
2001; da ultimo, Cass. n. 24336 del 2013; Cass. n. 14944 del 2014; Cass. n. 18408 del 2015; Cass., Sezioni Unite, n. 2665 del 1997)
Ebbene, la Corte di merito ha affermato che la
società, anche dopo l’anno 2010, “ha continuato ad erogare tante e
significative voci retributive e/o incentivanti e/o indennitarie, previste
proprio dal contratto integrativo interaziendale (come “ex ristrutturazione
salariale”, “premio di produzione”, “premio di produttività e qualità”, “premio
di partecipazione – parte fissa”, “buoni pasto”)”. Dalla costante e prolungata
applicazione di tali istituti ha desunto che la ricorrente, pur avendo dato la
disdetta dall’associazione sindacale dei datori di lavoro (Confindustria),
implicitamente avesse mantenuto l’applicazione della contrattazione collettiva.
Tale decisione è rispettosa dei principi sopra
richiamati e resiste alla censura della società ricorrente, tenuto pure conto
che, come più volte affermato da questa Corte (cfr. Cass.
n. 24336 del 2013, 10213 del 2000, 10375 del 2001) la valutazione che porta
a ritenere sussistente l’implicito recepimento di un contratto collettivo
attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata
applicazione delle relative clausole al singolo rapporto costituisce un
accertamento di fatto spettante al giudice di merito, insindacabile in questa
sede.
Nel caso in esame, la Corte di merito ha compiuto
siffatta valutazione, pervenendo alla conclusione della adesione implicita, da
parte della società Ceramica A., alla contrattazione collettiva.
Peraltro, la società ricorrente nemmeno indica
ulteriori istituti contrattuali (del contratto integrativo interaziendale)
dalla medesima non applicati (oltre al premio di partecipazione – parte
variabile) al fine di escludere tale adesione, limitandosi ad affermare che per
conseguire tale effetto fosse necessaria una costante e prolungata applicazione
di “tutte” le clausole pattizie.
6. Il secondo motivo, che attiene alla seconda ratio
decidendi, è assorbito.
7. In conclusione, il ricorso va respinto; nulla
sulle spese a fronte della mancata costituzione del controricorrente.
8. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato previsto dal d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,
comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il
ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a
norma del comma 1-bis dello stesso art.
13, se dovuto.