Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 novembre 2022, n. 33336

Licenziamento collettivo, Legittimità, Comunicazioni ex lege
223/1991, Adeguatezza, Accertamento

Rilevato che

 

1. La Corte d’appello di Perugia confermava la
sentenza del giudice di primo grado che aveva accolto la domanda avanzata da O.
D., G. O. e G.S. nei confronti di I.S. s.r.l. (quale incorporante di Casse di
Risparmio dell’U. s.p.a., che aveva in precedenza assorbito Cassa di Risparmio
di F. s.p.a.), diretta alla declaratoria di inefficacia del licenziamento
intimato ai lavoratori da Cassa di Risparmio di F. s.p.a. nel marzo 2003,
all’esito di procedura di riduzione collettiva di personale.

2. Con sentenza n. 391 del 2012 la Corte di
Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza di appello, rimettendo le parti
davanti alla Corte d’appello di Firenze; alla pronuncia di accoglimento in sede
di rinvio seguiva altra sentenza (Cass. 7684 2016) di cassazione con decisione
nel merito di rigetto delle domande, quindi altra sentenza della Corte di
Cassazione con cui, in sede di revocazione, rilevato un errore di fatto nella
decisione citata, le parti venivano rimesse davanti alla Corte d’appello per un
nuovo esame delle questioni non trattate nei precedenti gradi.

2. La Corte d’appello di Firenze, in sede di rinvio,
con sentenza del 5 luglio 2019, rigettava tutte le censure dei lavoratori.

3. Osservava: a) quanto al rilievo attinente
all’erronea individuazione dei destinatari delle comunicazioni ex art. 4 c. 9
(organizzazioni territoriali dei lavoratori), che la relativa contestazione non
era stata formulata con l’atto introduttivo del giudizio ma solo all’udienza di
discussione ex art. 420 c.p.c., con la conseguenza che doveva escludersi la
tempestività dell’eccezione, la quale, inoltre, era infondata perché era
pacifico che la procedura conclusasi con i licenziamenti impugnati si era
svolta tra l’azienda e le articolazioni nazionali dei sindacati dei lavoratori,
da ciò la legittimità delle comunicazioni ex lege 223/1991 eseguite dalla banca
in favore delle organizzazioni sindacali nazionali, soggetti attivi della
procedura ex lege 223/1991; b) quanto all’inesistenza delle ragioni
giustificatrici della riduzione di personale, rilevava che, se ritenuta
estranea all’area del giudicato formatosi, la questione era priva di fondamento
alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di
licenziamenti collettivi, secondo cui le esigenze di riduzione o trasformazione
dell’attività non possono essere soggette al controllo giudiziale; c) non era
ravvisabile la presunta fittizietà della procedura; d) quanto alla
incompletezza della comunicazione di apertura, osservava che il raggiungimento
dell’accordo gestionale era significativo della idoneità della comunicazione a
consentire alle parti sindacali la piena e informata partecipazione alla
trattativa.

4. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per
cassazione i lavoratori sulla base di cinque motivi.

5. Si è costituita I. S. s.p.a. con controricorso.

6. Il procuratore generale presso la Corte di
Cassazione ha fatto pervenire sue requisitorie.

7. Entrambe le parti hanno prodotto memorie.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo di ricorso i lavoratori
deducono, ex art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli art.
4, 5 e 24 I. 23/7/1991 n. 223, dell’art. 5 I. 15/7/1966 n. 604 e dei principi
generali sull’onere di giustificatezza dei licenziamenti, degli artt. 1324,
1362, 1366, 1369 c.c. e dell’art. 420 c.p.c. in relazione alla valutazione
compiuta dal secondo giudice del rinvio circa la inammissibilità per presunta
tardività della domanda di nullità dei licenziamenti a causa del mancato invio
della comunicazione alle associazioni sindacali territoriali. Si osserva che la
deduzione di nullità era già contenuta nell’atto introduttivo, posto che si
faceva questione del mancato invio di una comunicazione corrispondente a quanto
previsto dalla norma. Conseguentemente doveva ritenersi che il giudice del
rinvio fosse incorso, nell’interpretazione del ricorso, nella violazione dei canoni
ermeneutici di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ. Osserva che, se anche
si ritenesse che il rilievo svolto all’udienza identificasse un profilo della
originaria contestazione, tale rilievo avrebbe dovuto essere considerato
ammissibile perché svolto alla prima occasione processuale utile.

2. Con il secondo motivo deducono violazione e falsa
applicazione dell’art. 4 commi 9 e 12 e degli art. 5 e 24 I. 23/7/1991 n. 223,
dell’art. 1418 c.c., dell’art. 112 c.p.c. degli artt. 36, 38, 1324 e seg. c.c.
osservando che, in conseguenza di quanto rilevato con il primo motivo, la
decisione emessa è affetta da nullità. Le comunicazioni di licenziamento,
infatti, erano prive di efficacia perché effettuate senza l’osservanza della
forma scritta e delle procedure previste dalla legge.

3. Con il terzo motivo deducono violazione e falsa
applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c., rilevando che era
erronea la decisione nel punto in cui ha affermato che non poteva essere
sindacata la sussistenza dei presupposti per procedere alla riduzione di
personale.

4. Con il quarto motivo deducono violazione e falsa
applicazione degli artt. 4, 5 e 24 I. 23/7/1991 n. 223 osservando che la
facoltà datoriale di modellare l’entità occupazionale doveva essere
riconosciuta in presenza dei presupposti giustificativi, cioè se vi era stata
effettiva riduzione di personale.

5. Deducono, infine, violazione e falsa applicazione
dell’art. 4 comma 3 e dell’art. 24 I. 23/7/1991 n. 223 e degli artt. 36-38 c.c.
nonché omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ai sensi dell’art. 360 n.
5 c.p.c. rilevando che la genericità del contenuto della comunicazione di
apertura della procedura non consentiva di soddisfare il requisito di cui
all’art. 4 comma 3 legge citata, concernente l’individuazione dei “motivi
che determinano la situazione di eccedenza”; osservano, inoltre, che la
sentenza aveva omesso di prendere in esame fatti decisivi, quali i risultati
economici raggiunti dalla banca, che smentivano l’asserzione della sussistenza
di una pretesa criticità.

6. I primi due motivi di ricorso possono essere
trattati congiuntamente e sono inammissibili non solo perché, in base al canone
di autosufficienza, manca la localizzazione degli atti, pur riportati nelle
parti essenziali, da cui desumere la formulazione del rilievo attinente al
difetto di comunicazione ex art. 4 c. 9 I. 223/1991 (da ritenere comprensivo
della contestazione relativa alla corretta individuazione dei destinatari-
associazioni sindacali), ma anche perché (pg. 9 della sentenza) tale rilievo è
stato ritenuto concernente “unicamente l’omesso invio delle comunicazioni
ex art. 4 c. 9 I. 223/1991” e non “la contestazione relativa alla
corretta individuazione dei destinatari” e ciò nell’ambito di un’attività
di interpretazione della domanda che è riservata al giudice del merito.

7. Quanto al secondo motivo va sottolineato che la
sentenza impugnata si pone in linea con il principio di diritto secondo cui la
sufficienza ed adeguatezza della comunicazione di avvio della procedura vanno
valutate in relazione alle finalità di corretta informazione delle
organizzazioni sindacali, da ritenere raggiunta ove l’accordo, come nella
specie, sia stato stipulato. Su questa base nella decisione impugnata viene
effettuata una valutazione di completezza della comunicazione, Questa
valutazione costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice del
merito e insindacabile in sede di legittimità, il che conferma
l’inammissibilità del secondo motivo.

7. Anche il terzo e il quarto motivo di ricorso
possono essere trattati insieme perché connessi ed appaiono infondati perché la
questione posta a base di entrambe le censure – asserita insussistenza delle
ragioni giustificatrici della riduzione del personale – era già stata risolta
dalla sentenza rescindente di questa Corte n. 391 del 2002, nel senso che
“i motivi della riduzione del personale sono sottratti al controllo
giurisdizionale”, con affermazione che, costituendo giudicato implicito, è
vincolante per i giudici del rinvio.

9. In ordine al quinto motivo va rilevato che la
Corte territoriale, con valutazione delle circostanze emergenti dagli atti, ha
esaminato la comunicazione preventiva constatandone l’adeguatezza al fine di
consentire alle parti sindacali una piena e informata partecipazione, peraltro
in difetto di elementi in senso contrario emergenti dagli atti di parte, né le
doglianze di cui al ricorso si appuntano sul contenuto dei documenti esaminati,
mentre i risultati economici positivi riscontrati non sono in contrasto con i
motivi alla base della procedura di riduzione del personale, consistenti nella
“riduzione del costo del lavoro a mezzo riduzione degli organici”.
Tutto ciò si pone in linea con il principio di diritto in forza del quale
l’adeguatezza della comunicazione è da porre in relazione con la finalità di
corretta informazione delle organizzazioni sindacali, da ritenere in concreto
raggiunta nel caso di successiva stipula dell’accordo (Cass. 29 marzo 2018, n.
7837) e nel caso in esame in concreto apprezzata dai giudici del merito con
valutazione insindacabile in questa sede, come si è detto.

10. Devono essere dichiarati inammissibili, infine,
i diffusi profili di censura riguardanti i vizi di motivazione, i quali non si
conformano ai parametri individuati alla luce dell’art. 360 n. 5 c.p.c, come
precisati dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. SU n. 8053/2014).

11. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto,
con liquidazione delle spese secondo soccombenza.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di
lite che liquida in complessivi euro 6.000,00 per compensi professionali, euro
200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori
come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, si
dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da
parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello
stesso art. 13, ove dovuto.

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