Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 novembre 2022, n. 32822
Rapporto di lavoro, Mansioni dequalificanti rispetto al
livello di inquadramento riconosciuto, Accertamento, Ius variandi ex art. 2103 c.c
Fatti di causa
1. Con sentenza del 30.1.2017, il Tribunale di
Torino, in accoglimento delle domande proposte da S.M. contro la A.S. s.p.a.,
accertava “che le mansioni di piantonamento a cui è addetto il ricorrente
sono dequalificanti rispetto al livello di inquadramento riconosciuto” e
condannava “la convenuta ad adibire il ricorrente alle mansioni di autista
di furgoni blindati precedentemente svolte”, oltre che al pagamento delle
spese di primo grado, in distrazione.
2. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte
d’appello di Torino, in accoglimento dell’appello interposto dalla A.S. contro
la sentenza di primo grado, respingeva le domande proposte dallo S. con il
ricorso introduttivo e condannava lo stesso a restituire all’appellante la
somma di € 5.858,36, nonché a rimborsare all’appellante le spese di entrambi i
gradi di giudizio, come liquidate.
3. Avverso tale decisione S.M. ha proposto ricorso
per cassazione, affidato a quattro motivi.
4. Ha resistito l’intimata con controricorso.
5. La controricorrente ha prodotto memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia
“Violazione e falsa applicazione di una norma di diritto e dei contratti e
accordi collettivi nazionali di lavoro ex art. 360
n. 3 c.p.c., in particolare: falsa applicazione degli articoli 1362, 1364
e 1367 c.c.”. In sintesi, secondo il ricorrente,
la Corte di merito, nell’interpretare le condizioni dell’accordo di cui al
verbale di conciliazione sottoscritto dalle parti in data 24.1.2011, avrebbe
violato le regole ermeneutiche indicate nella rubrica della censura in esame,
perché il “compromesso” raggiunto in quell’occasione “altro non
significa che a patto di non vantare richieste derivanti dall’inquadramento nel
III livello, veniva riconosciuto al lavoratore il diritto a ricoprire la
mansione di autista di furgoni blindati”. Per lo stesso, “anche il
comportamento delle parti successivo alla sottoscrizione del verbale di
conciliazione non lascia spazio all’interpretazione”, facendo segnatamente
riferimento alla “lettera di mutazioni delle mansioni assegnate al
ricorrente in data 15.06.2012”, in cui la A.S. s.p.a. gli chiedeva
“di sottoscrivere un patto di demansionamento”. Rispetto, inoltre,
all’affermazione della Corte distrettuale “che la configurazione del
diritto del ricorrente di cui al verbale di conciliazione non può avere
carattere perenne”, il ricorrente assume: “non si può certo dire che
in assenza di una specifica indicazione del termine o di una condizione o di
una clausola di salvaguardia che giustifichi il venir meno della garanzia del
ricorrente a svolgere la mansione di autista di furgoni blindati, si possa
invocare un’interpretazione granitica volta a far rivivere una causa
interruttiva delle condizioni oggetto dell’accordo che di fatto non è stata
prevista”.
2. Col secondo motivo, deduce “Omesso esame
circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra
le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c. e, nello
specifico, in relazione all’omesso esame in ordine alla clausola inserita
nell’accordo sindacale in data 22.11.2012 tra V.M.T. s.p.a. e A.S. s.p.a.
nell’ambito della procedura di incorporazione per fusione della prima nella
seconda”. Infatti, “La previsione di cui all’accordo sindacale del
21.11.2012 era volta a garantire che a seguito del passaggio dei dipendenti ex
V.M.T. s.p.a. fosse garantito ai medesimi, e soprattutto alle guardie giurate,
il continuo svolgimento della mansione di addetti al trasporto e scorta
valori”.
3. Con un terzo motivo, deduce “Violazione e
falsa applicazione di una norma di diritto e dei contratti e accordi collettivi
nazionali di lavoro ex art. 360 n. 3 c.p.c., in
particolare: falsa applicazione dell’art. 2103
c.c.”. Deduce che: “A seguito dell’interpretazione del verbale di
conciliazione del 24.01.2011 nel senso di ritenere l’inquadramento riconosciuto
al ricorrente nel III livello ex CCNL di categoria solo ai fini economici e
conciliativi, la Corte d’Appello di Torino ha ritenuto legittimo e pienamente
operante nel caso di specie ius variandi ex art.
2103 c.c. con conseguente legittimità dell’assegnazione al sig. S. delle
mansioni piantonamento interno”, ma che tale tesi non appariva
condivisibile. In tal senso argomenta, tra l’altro, che: “Nel caso di
specie l’assegnazione del ricorrente alla mansione di piantone non può in alcun
modo essere considerata equivalente a quella di autista di furgoni in quanto il
ricorrente, assunto alle dipendenze della M.T. s.p.a. nel 1982 ha sempre svolto
la mansione di autista e ciò per oltre 30 anni, svolgendo quella di
piantonamento solamente intorno alla fine degli anni 90. Riproporre al
ricorrente lo svolgimento di una mansione che il medesimo ha svolto già da
tempo in cui non aveva ancora maturato quella esperienza e professionalità
operativa rientra proprio nel caso di illegittimità di esercizio dello ius
variandi per come inteso dall’art. 2103 c.c.
ante riforma, in quanto non essendo in alcun modo v equivalente a quella di
autista di furgoni blindati”.
4. Con il quarto motivo, deduce “Omesso esame
circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra
le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c. e, nello
specifico in relazione all’omesso esame in ordine al giudizio di idoneità alla
mansione del ricorrente rispetto alla mansione di autista di furgoni blindati
rispetto alla mansione di piantone”.
5. Ritiene il Collegio che le così riassunte censure
siano, per quanto di ragione, fondate, oltre che ammissibili.
6. In particolare, rispetto alle eccezioni
d’inammissibilità del ricorso e dei suoi singoli motivi, sollevate dalla
controricorrente, anche in termini di difetto di autosufficienza nella sua
memoria, occorre anzitutto considerare che l’atto d’impugnazione è corredato da
plurimi allegati, in dettaglio indicati alle pagg. 26-27 dello stesso, tra i
quali il verbale di conciliazione del 24.1.2011, e che i documenti ritenuti
rilevanti sono stati, di volta in volta, richiamati nel corpo del ricorso e nello
svolgimento delle singole censure. Del resto, come si vedrà tra poco, il
contenuto, pressoché integrale, del citato verbale di conciliazione era stato
riportato nella motivazione della gravata sentenza (alle pagg. 8-9). Inoltre,
le singole doglianze appaiono sufficientemente specifiche.
7. Ciò ritenuto in punto d’ammissibilità, occorre
adesso porre in luce un dato, peraltro pacifico in causa, e cioè che alla
fattispecie in esame ratione temporis si applica la disciplina di cui all’art. 2103 c.c. anteriore alla riforma di cui all’art. 3 d.lgs. 15.6.2015, n. 81;
vale a dire, quella di cui all’art. 2103 c.c.
come novellato dall’art. 13 L.
n. 300/1970.
Giova quindi ricordare che tale articolo recitava
nella sua prima parte: “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle
mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria
superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti
alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della
retribuzione”.
8. Si devono ora sottolineare quali siano state le
conclusioni cui è approdata la Corte territoriale.
Il giudice di secondo grado, infatti, ha così
testualmente concluso: “Se quindi, sulla base delle considerazioni
esposte, il III livello è stato riconosciuto a fini esclusivamente economici e
conciliativi, si deve ritenere pienamente operante, a favore della società, lo
ius variandi ex art. 2103 c.c. con conseguente
legittimità dell’assegnazione allo S. delle mansioni di piantonamento
interno”.
Orbene, tale conclusione è all’evidenza errata sul
piano logico, prima che giuridico, nel senso che non vi è alcuna
consequenzialità tra la comune intenzione delle parti e/o la c.d. ragione
pratica del negozio conciliativo circa il riconoscimento del III livello in
capo allo S., da un lato, e il legittimo esercizio dello jus variarteli da
parte della datrice di lavoro, dall’altro.
L’indagine sul punto, come si spiegherà meglio
innanzi, doveva piuttosto essere incentrata sugli effetti che aveva comunque
conseguito in ordine all’inquadramento la conciliazione, per poi verificare se
quegli effetti abilitassero e in che limiti la parte datoriale a mutare le
mansioni del lavoratore.
9. Per ragioni di chiarezza, appare opportuno qui
dare conto dell’iter logico-argomentativo seguito dalla Corte distrettuale.
In particolare, quest’ultima, nell’accogliere il
primo motivo d’appello della A.S. circa l’interpretazione del verbale di
conciliazione del 24.1.2011 (interpretazione individuata più volte come
“nodo della causa”), aveva anzitutto considerato che nelle premesse
di tale atto <le parti, individuando le ragioni che hanno condotto alla
sottoscrizione della conciliazione, fanno riferimento ad una vertenza promossa
dal lavoratore che “riguarda il riconoscimento del danno relativo
all’esubero rispetto alla sommatoria di totale ore straordinarie e di banca ore
concesse annualmente per il CCNL vigente, per gli anni
2006/2007/2008”>. La stessa Corte, quindi, ha riportato che l’accordo
conciliativo al punto 1 prevedeva: “l’Azienda, ai medesimi titoli esposti
in premessa e relativi al danno per esubero sommatoria straordinari più banca
ore, erogherà a titolo di risarcimento danno al sig. S.M. una somma pari ad
euro 500,00 netti da pagarsi in una unica soluzione il 15 febbraio 2011.
L’azienda, ai medesimi titoli di cui sopra, si impegna a promuovere il Sig.
S.M. al livello 3° del CCNL vigente e relativo grado di Maresciallo, a partire
dal 1° marzo 2011; il Sig. S.M. nell’accettare dichiara di continuare a
prestare servizio secondo le attuali mansioni, si dichiara ampiamente
soddisfatto delle medesime, ritenendole congrue al livello riconosciuto”.
Ha, poi, considerato “pacifico che dopo la stipula del verbale lo S. abbia
continuato a svolgere le mansioni di autista di furgoni blindati fino al
15.6.2012, quando gli sono state attribuite quelle di piantonamento interno,
pacificamente rapportabili al IV livello”.
10. Fermandosi per ora qui nel dare conto di come si
sia snodato il ragionamento del giudice di secondo grado, occorre rimarcare
appunto che l’impegno alla “promozione” dello S., delineato nel
verbale di conciliazione in termini obbligatori, e non già di attuale ed
immediato riconoscimento già in quella sede del livello 3° del CCNL e del
relativo grado di Maresciallo, era stato effettivamente adempiuto dalla parte
datoriale, per giunta, secondo quanto accertato dai giudici di merito, senza
riserva e precisazione alcuna.
11. Di seguito, la Corte di merito ha dato conto di
quanto ritenuto dal primo Giudice (cfr. pagg. 9-10 dell’impugnata sentenza).
Indi, ha spiegato perché una serie di elementi interpretativi induceva “ad
una soluzione favorevole alla tesi sostenuta dalla società” (cfr. pagg.
10-12 della sua motivazione), argomentando, tra l’altro, che il sindacato che,
in rappresentanza del lavoratore, aveva risposto alla lettera datoriale contenente
la proposta di patto di demansionamento, confermava <che il III livello è
stato riconosciuto per mere ragioni retributive e, con aggiunta parimenti
significativa, osserva che il lavoratore “rivendica esclusivamente il
ripristino delle mansioni che svolgeva all’atto della sottoscrizione del
Verbale di Conciliazione”, che è peraltro la stessa pretesa (e non quella
di attribuzione di mansioni corrispondenti al III livello) formulata nella
causa qui esaminata>.
12. Da tale motivazione, pertanto, si trae conferma
– come si anticipava – che la Corte d’appello, nonostante avesse dato conto che
“il tribunale ha ritenuto che il riconoscimento del III livello sia
avvenuto a tutti gli effetti” (cfr. alla fine di pag. 9), prima, ha
fornito la propria interpretazione di quanto concordato in sede conciliativa,
e, poi, sulla base della stessa, ha individuato, sia pure sommariamente, quella
che era la ragione pratica o c.d. causa concreta nel negozio conciliativo (si
noti che anche nel valutare la posizione attribuita al sindacato del lavoratore
si parla di “mere ragioni retributive”).
Non viene, invece, esplicitamente negato
nell’impugnata sentenza che la transazione conciliativa avesse conseguito
anzitutto l’effetto di vedere inquadrato lo S. nel III livello.
Inoltre, depone nel senso dell’ammissione dell’altro
effetto specifico di far continuare a svolgere le pregresse mansioni il passo
in cui la medesima Corte ha scritto che: “Neppure si può ritenere la
configurazione di un diritto del sig. S. allo svolgimento “perenne”
delle mansioni di autista di furgoni blindati, in quanto nel verbale del
24.1.2011 non si legge alcuna previsione in tal senso e d’altra parte una
siffatta pretesa non è mai stata prospettata dalla difesa dell’appellato”.
Invero, questa considerazione, peraltro abbastanza ovvia, sta semplicemente a
significare che al prestatore di lavoro non era assicurato, in base alla
conciliazione, di poter svolgere per sempre le mansioni di autista di furgoni
blindati, per intanto nondimeno confermategli, secondo quanto concordato, anche
in occasione dell’effettivo riconoscimento del III livello (oltre che del grado
di maresciallo).
13. Si è già premesso, infine, quale fosse la
conclusione raggiunta dalla Corte distrettuale, in cui, nell’affermare che quel
livello era “stato riconosciuto a fini esclusivamente economici e
retributivi”, non è appunto escluso che detto effetto si fosse comunque
avverato.
14. Occorre a questo punto ricordare nozioni
pressoché istituzionali, e, cioè, che l’accordo delle parti di un contratto, da
accertare in base all’interpretazione dello stesso ex art. 1362 e segg. c.c., e la causa concreta del
medesimo contratto, sono degli istituti, e che tutt’altra cosa sono gli effetti
del contratto. Tanto è immanente nella disciplina dei contratti in generale
(cfr. gli artt. 1326-1342
c.c. per l’accordo delle parti, e gli artt.
1343-1345 c.c. per la causa, e gli artt. 1372-1381 c.c.,
per gli effetti del contratto), ed è senz’altro assodato in dottrina e in
giurisprudenza.
15. Nel decidere nei sensi di cui sopra, allora, la
Corte territoriale si è sottratta ad un’indagine, invece necessaria.
E’ infatti jus receptum che al lavoratore dipendente
possa essere riconosciuta la c.d. qualifica convenzionale, sempre che con essa
venga attribuita allo stesso una qualifica superiore rispetto a quella che in
concreto gli spetterebbe (cfr., ad es., Cass. civ., sez. lav., 14.1.1984, n.
323), perché, come suol dirsi, trattamento di miglior favore (cfr. Cass., sez.
lav., 9.1.1987, n. 76; id., sez. lav., 8.9.2013,
n. 20600; id., sez. lav., 6.11.2014, n. 23665).
Nel caso che ci occupa, appunto, il livello III
(oltre che il grado di maresciallo) era stato riconosciuto al lavoratore, non
magari in forza di automatismi di fonti collettive (cfr. Cass. civ., sez. lav., 31.8.2018, n. 21515),
bensì a seguito di transazione raggiunta a livello individuale in sede di
conciliazione, restando comunque una qualifica c.d. convenzionale di miglior
favore, in quanto non poteva competergli in base alle mansioni di autista di
furgoni blindati sino alla conciliazione espletate, perché rientranti
nell’inferiore IV livello. E nello stesso contesto negoziale il lavoratore, non
solo accettava tutto quanto propostogli dalla società datrice di lavoro, ma
“dichiarava di continuare a prestare servizio secondo le attuali
mansioni”, vale a dire, quelle di autista di furgoni, e di essere
“inoltre ampiamente soddisfatto delle medesime, ritenendole congrue al
livello riconosciuto”, nonostante fossero pertinenti all’inferiore livello
IV; anche per tale secondo profilo è pacifico che l’assetto d’interessi
profilato dalle parti è stato portato ad esecuzione dalle stesse, nel senso
che, dopo la conciliazione, il lavoratore continuò a svolgere i compiti di
autista di furgoni.
Neppure questo Collegio, in definitiva, può dubitare
che, nell’ambito di un’insorta vertenza all’epoca che nulla aveva a che fare
con le mansioni e/o con l’inquadramento del lavoratore, in occasione della
conciliazione, la datrice di lavoro, piuttosto che risarcire interamente per
equivalente in danaro il lavoratore del danno da quello asseritamente risentito
per I’esubero rispetto alla sommatoria di totale ore straordinarie e di banca
ore”, “tacitò” lo S., in parte, con una somma di danaro da
corrispondergli entro la data indicata, e, in altra parte, con una sorta di
atipica datio in soiutum, consistente appunto nell’obbligo, poi onorato, di
promuoverlo al III livello, con il grado di maresciallo (il che comportava le
relative conseguenze retributive favorevoli), pur conservandogli le mansioni di
autista di furgoni.
Tutto ciò, invero, si evince così chiaramente dal
testo della conciliazione, che neppure v’era bisogno di far ricorso a criteri
ermeneutici, soggettivi o oggettivi, ulteriori.
Così come cristallina era la correlativa ragione
pratica o causa concreta dell’accordo conciliativo, nel quale, in ottica prima
facie transattiva, per quel che qui interessa, il III livello veniva
riconosciuto quale qualifica sicuramente convenzionale, tanto più che era
contestualmente concordata la continuazione dello svolgimento di mansioni di
autista di furgoni, vale a dire, di IV livello; una qualifica sì convenzionale,
ma, per quello che aveva accertato la medesima Corte d’appello, non simulata,
virtuale o magari ad tempus, ma, a sua volta, produttiva di effetti concreti, a
cominciare da quelli economico- retributivi.
16. Che i ridetti effetti, da tenersi ben distinti
dalla comune intenzione delle parti come dalla causa in concreto della
conciliazione, fossero di fatto conseguiti all’accordo, avente natura di
transazione novativa, è stato dato per pacifico dalla stessa Corte
distrettuale. Ciò era, per la verità superfluamente, confermato quanto alla
qualifica convenzionale, proprio dalla nota datoriale del 15.6.2012, con la
quale gli furono attribuite le nuove mansioni di piantonamento interno, e, nel
contempo, fu rappresentato che non sussistevano in quel momento “compiti a
Lei affidabili coerenti con l’inquadramento al III livello da Lei
posseduto”. Difatti, tale atto, peraltro unilaterale, lungi dal costituire
elemento di postuma ed estrinseca conferma della comune intenzione delle parti
in sede di conciliazione ex art. 1362, comma
secondo, c.c., rappresentava più semplicemente la ricognizione di un fatto
“storico” nel frattempo già avvenuto, ossia, il dato che il
dipendente avesse ormai conseguito il III livello; e ciò, come più volte
evidenziato, sul terreno contrattuale, era uno degli effetti della transazione.
Del resto, parimenti eloquente, nel medesimo senso, è il fatto stesso che la
datrice di lavoro – a prescindere per un attimo dalla contestuale proposta di
apposito patto di demansionamento (sulla quale comunque v. infra) – avesse
formalizzato sempre con quella lettera il mutamento delle mansioni v assegnate
al lavoratore, del che fin troppo ovviamente, non vi sarebbe stato bisogno ove
la datrice di lavoro si fosse sentita liberamente abilitata al passo di
attribuirgli ora mansioni di IV livello, ma differenti da quelle fino ad allora
disimpegnate, nonostante il già riconosciuto superiore III livello.
17. Quanto, poi, alla proposta del patto di
demansionamento come tale, la stessa Corte aveva dato conto che sempre nella
nota in data 15.6.2012 era scritto che: “Nel rispetto degli obblighi di
conservazione del rapporto di lavoro, con la presente Le chiediamo la
disponibilità a concordare un formale patto di demansionamento, tale da
eliminare alla radice qualsivoglia profilo di illegittimità della nostra
condotta di adibizione di mansioni di piantone interno presso la sede Unicredit
di via N., consentendo al contempo la conservazione del suo rapporto di
lavoro”, e che: “Ad avviso del primo giudice tale proposta aziendale,
successiva alla stipula della conciliazione, li confermerebbe l’intenzione
delle parti di attribuire pienamente allo S. il III livello e non solo a fini
economici” (così a pag. 10).
La Corte distrettuale, però, ha ritenuto che
“tale lettura non sia corretta” (cfr. sempre pag. 10); ma
fondatamente l’impugnante, in seno allo sviluppo del primo motivo di ricorso,
si duole ora del fatto che tale aspetto non sia stato considerato nella
sentenza impugnata sul terreno del comportamento delle parti successivo alla
sottoscrizione del verbale di conciliazione (cfr. pag. 14 del ricorso).
In proposito, infatti, la Corte d’appello aveva
osservato che: “con riferimento al patto di demansionamento proposto
dall’azienda il sindacato risponde quanto segue: “Svolgendo al tempo
(della conciliazione n.d.e.) il signor S.M. mansioni di IV livello, che ha
continuato a svolgere fino ad oggi, è evidente che il livello superiore gli è
stato assegnato per mere ragioni retributive e conciliative e non per
promuoverlo a mansioni superiori o per riconoscergli a posteriori un eventuale
svolgimento delle stesse” (così tra la pag. 11 e la pag. 12 dell’impugnata
sentenza).
Sennonché, tale risposta della formazione sindacale
che rappresentava il lavoratore era semplicemente confermativa della già
appurata natura “convenzionale” del livello superiore assegnato allo
S., “per mere ragioni retributive e conciliative”, e non integrava
affatto – ancora una volta – l’ammissione della non effettività di quel
riconoscimento.
Per conseguenza, serbava un’innegabile significanza
il dato che la stessa parte datoriale, all’epoca senza esplicitare a riguardo i
“fini cautelativi” solo successivamente allegati, avesse proposto al
dipendente un “formale patto di demansionamento”, si noti,
specificamente riferito “alla nostra condotta di adibizione di mansioni di
piantone interno presso la sede Unicredit”.
18. Occorre adesso porre in luce che il ricorrente
tuttora deduce che: “Seppur vero che nell’ambito del verbale di
conciliazione il riconoscimento nel III livello aveva esclusivamente finalità
economiche e retributive, è anche vero che la mansione assegnata ed accettata
dal ricorrente ai fini del raggiungimento dell’accordo era quella di autista di
furgoni blindati” (così a pag. 14 nell’ambito del primo motivo).
Lo stesso, infatti, osserva che: “In sostanza
il ricorrente ha accettato di svolgere una mansione ricompresa in un livello di
inquadramento inferiore a quello posseduto alla condizione che la mansione di
autista di furgoni blindati fosse “garantita” nello specifico, tant’è
che in quella sede infatti il ricorrente non aveva genericamente accettato di
svolgere indistintamente tutte le mansioni inferiori al III livello al medesimo
riconosciuto” (così a pag. 19 nell’ambito del 3 motivo).
Dunque, da quanto si desume dal ricorso per cassazione,
ma anche dal controricorso, il ricorrente in realtà non allegava puramente e
semplicemente un demansionamento rispetto al III livello (che senza difficoltà
riconosce attribuitogli solo a fini economici), ma chiedeva di mantenere le
mansioni di autista di furgoni blindati, come assicurato nel verbale di
conciliazione, anche perché da lui reputate compatibili con il suo stato di
salute, pur se tali mansioni rientravano nel IV livello. Quindi si doleva del
mutamento delle mansioni rispetto a quanto pattuito nel ridetto verbale. In
definitiva, perciò, egli lamentava il mancato rispetto dell’accordo
conciliativo per la parte relativa al mantenimento delle mansioni, mantenimento
che, dal suo punto di vista, poggiava anche sulle proprie condizioni di salute.
D’altronde, risulta ex actis, compresa la sentenza
qui impugnata, che la domanda dello S. aveva trovato accoglimento in primo
grado per l’appunto in tale chiave, avendo il Tribunale condannato “la
convenuta ad adibire il ricorrente alle mansioni di autista di furgoni blindati
precedentemente svolte”.
19. Tanto considerato, la Corte d’appello,
nell’esaminare l’accordo versato nel verbale di conciliazione e nel non
annettere rilievo alcuno alla successiva proposta di patto di demansionamento,
non ha colto che il nucleo qualificante della domanda del lavoratore era quello
del mancato rispetto dell’accordo conciliativo nella parte relativa al
mantenimento delle mansioni di autista di blindati.
Invero, il dato che queste ultime mansioni
rientrassero nel IV livello, a fronte del conseguito III livello, non abilitava
de plano la datrice di lavoro ad adibire il lavoratore alle differenti mansioni
di piantonamento interno, pure rientranti in un livello inferiore al terzo
livello ormai da quello “posseduto”, come riconosciuto nella nota del
15.6.2012.
Il giudice a quo, perciò, non poteva esimersi dal
controllare se le nuove mansioni assegnate al lavoratore, diverse da quelle
lungamente svolte e conservategli ancora a seguito della conciliazione
sindacale, fossero “corrispondenti alla categoria superiore che” il
prestatore di lavoro aveva “successivamente acquisito” (sia pure
convenzionalmente, essendo giuridicamente ininfluente la causale specifica
dell’acquisizione di tale categoria superiore), “ovvero a mansioni equivalenti
alle ultime effettivamente svolte”; indagine, questa, assolutamente non
compiuta dalla Corte territoriale, men che meno in base ai principi
costantemente affermati in sede di legittimità circa lo jus variandi datoriale
in base alla norma vigente all’epoca dei fatti di causa.
20. Tanto implica violazione dell’art. 2103, prima parte, c.c. nella formulazione
anteriore alla novella di cui all’art.
3 d.lgs. n. 81/2015, e comporta l’annullamento della decisione gravata in
accoglimento per quanto di ragione dei motivi di ricorso, con rinvio alla Corte
distrettuale, in differente composizione, per un nuovo esame del caso.
21. Detto giudice di rinvio provvederà anche a
regolare le spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie per quanto di ragione il ricorso. Cassa la
sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Torino, in diversa
composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di
legittimità.