Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 novembre 2022, n. 33644

Lavoro irregolare, Accesso ispettivo, Sanzione
amministrativa, Applicazione in misura ridotta, Spontanea regolarizzazione
dell’occupazione del lavoratore, Esclusione

 

Rilevato che

 

1. con sentenza 6 marzo 2017, la Corte d’appello di
Bologna ha rigettato l’appello proposto da G.B. avverso la sentenza di primo
grado, che aveva annullato l’ordinanza (7 maggio 2012 n. 176/12), con la quale
la Direzione Provinciale del Lavoro di Parma gli aveva ingiunto il pagamento, a
titolo di sanzioni amministrative, delle somme di € 5.325,00 (per irregolare
impiego di un lavoratore nella giornata dell’accesso ispettivo, in data 30
agosto 2011), di € 687,00 (per omessa consegna della comunicazione di assunzione)
e di € 622,50 (per omessa registrazione sul libro unico del lavoro del medesimo
lavoratore), limitatamente a tale ultima sanzione, confermandola nel resto;

2. essa ha ritenuto corretta l’entità delle sanzioni
comminate (esclusivo oggetto di devoluzione), negando la richiesta applicazione
in misura ridotta, non ricorrendo l’ipotesi, per la quale è stata prevista, di
spontanea regolarizzazione dell’occupazione del lavoratore prima dell’accesso
ispettivo, accertante il suo impiego irregolare da parte del datore per un
periodo anteriore;

3. con atto notificato il 27 luglio 2017, il
predetto ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi; la Direzione
Provinciale del Lavoro di Parma non ha svolto difese.

 

Considerato che

 

1. nonostante la nullità del ricorso per cassazione
proposto, per la notificazione effettuata alla Direzione Provinciale del Lavoro
di Parma presso l’Avvocatura distrettuale anziché presso l’Avvocatura generale
dello Stato (con ammissibilità della sua rinnovazione presso quest’ultima, in
coerenza con il principio di ragionevole durata del processo: Cass. s.u. 15
gennaio 2015, n. 608), qualora esso sia inammissibile (o come nel caso di
specie, infondato), ben si può ometterne la rinnovazione della notificazione
nulla, in applicazione del principio della ragionevole durata del processo che
impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c., di evitare e impedire i comportamenti
che ostacolino una sollecita definizione del giudizio, tra i quali rientrano
quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuale e in
formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del
processo (Cass. 11 marzo 2020, n. 6924);

2. il ricorrente ha dedotto violazione e falsa
applicazione dell’art. 4, primo
comma l. 183/2010, per avere la Corte territoriale, con attribuzione alla
norma di un significato contrario al dato letterale e interpretazione contraddittoria
rispetto alla ratio legis, escluso l’applicazione della sanzione attenuata (da
€ 1.000 a € 8.000, anziché da € 1.500 a € 12.000), nonostante la
regolarizzazione successiva all’accesso del lavoratore in quel momento
impiegato irregolarmente (primo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 11 l. 689/1981, per la
determinazione della sanzione senza riguardo alla gravità della violazione (non
particolare, per l’unicità della giornata di impiego irregolare del
lavoratore), all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o l’attenuazione
delle conseguenze della violazione (avendo egli prontamente assunto il
lavoratore irregolare al momento dell’accesso), nonché alla sua personalità
(non avendo egli commesso violazioni reiterate in materia di lavoro) e alle sue
condizioni economiche disagiate (secondo motivo); violazione e falsa
applicazione dell’art. 33 l.
183/2010, per non avere la Corte territoriale sanzionato la violazione con
il minimo edittale, nonostante la propria ottemperanza alla diffida con il
pagamento della somma richiesta (terzo motivo);

3. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di
stretta connessione, sono infondati;

4. l’art.
4, primo comma l. 183/2010, di modifica dell’art. 3, terzo comma d.l. 12/2002
conv. con mod. in l. 73/2002, stabilisce: “Ferma
restando l’applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore,
in caso di impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di
instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, con
la sola esclusione del datore di lavoro domestico, si applica altresì la
sanzione amministrativa da euro 1.500 a euro 12.000 per ciascun lavoratore
irregolare, maggiorata di euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo.”
E in particolare che: “L’importo della sanzione è da euro 1.000 a euro 8.000
per ciascun lavoratore irregolare, maggiorato di euro 30 per ciascuna giornata
di lavoro irregolare, nel caso in cui il lavoratore risulti regolarmente
occupato per un periodo lavorativo successivo.”;

4.1. appare chiaro il tenore letterale della norma
(esattamente colto dalla Corte territoriale: al secondo capoverso di pg. 5
della sentenza), nel senso dell’attenuazione della sanzione, non già come
infondatamente preteso (in palese violazione della lettera) alla stregua di
regolarizzazione successiva all’accesso ispettivo di accertamento del
lavoratore impiegato irregolarmente, ma al contrario “nel caso in cui il
lavoratore risulti regolarmente occupato per un periodo lavorativo successivo”,
ma in epoca anteriore all’accertamento, così da evidenziare la resipiscenza del
soggetto di esso destinatario, che abbia con tale regolarizzazione fatto
emergere il lavoro sommerso: in corrispondenza alla ratio della disposizione,
di riduzione a fronte di un trattamento sanzionatorio inasprito “per coloro che
continuino ad impiegare lavoratori irregolarmente, nonostante le agevolazioni
di varia natura volte ad incentivare l’emersione del lavoro sommerso” (Cass. s.u.13 gennaio 2010, n. 356, in specifico
riferimento alle sanzioni amministrative, per impiego di lavoratori non
risultanti dalle scritture obbligatorie, stabilite dall’art. 3, terzo comma d.l. 12/2002,
conv. nella l. 73/2002);

4.2. giova poi ribadire che, in tema di sanzioni
amministrative pecuniarie, ove la norma indichi un minimo e un massimo della
sanzione, spetta al potere discrezionale del giudice (autonomamente chiamato a
controllarne la rispondenza alle previsioni di legge, senza essere soggetto a
parametri fissi di proporzionalità correlati al numero ed alla consistenza
degli addebiti, ben potendo reputare congrua l’entità della sanzione inflitta
in riferimento ad una molteplicità di incolpazioni anche qualora escluda
l’esistenza di alcune di esse: Cass. 15 giugno 2020, n. 11481) determinarne
l’entità entro tali limiti, allo scopo di commisurarla alla gravità del fatto
concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi.
Peraltro, il giudice non è tenuto a specificare nella sentenza i criteri
adottati nel procedere a detta determinazione, né la Corte di cassazione può
censurare la statuizione adottata, ove tali limiti siano stati rispettati e dal
complesso della motivazione risulti che quella valutazione è stata compiuta (Cass. 17 aprile 2013, n. 9255; Cass. 23 febbraio
2021, n. 4844): come si evince nel caso di specie (dalle ragioni esposte agli
ultimi due capoversi di pg. 5 e ai primi due di pg. 6 della sentenza);

5. pertanto il ricorso deve essere rigettato, senza
alcun provvedimento sulle spese del giudizio, non avendo la parte vittoriosa
svolto difese e con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella
ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass.
s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso; nulla sulle spese.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis, dello stesso art. 13, se
dovuto.

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