Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 novembre 2022, n. 33891
Licenziamento, Obbligo di repechage, Impossibilità di utile
ricollocazione lavorativa, Mancata prova, Illegittimità
Rilevato che
1. con sentenza n. 2943/2019 la Corte di appello di
Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato l’illegittimità
del licenziamento in data 10.10.2011 intimato per giustificato motivo oggettivo
da S. s.p.a. a M.F. e condannato la società alla reintegrazione del lavoratore
nel posto di lavoro, al pagamento di un’indennità pari alle retribuzioni
maturate dal licenziamento alla effettiva reintegrazione, oltre, accessori, ed
al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali afferenti al
medesimo periodo;
2. per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso S. s.p.a. sulla base di quattro motivi; la parte intimata ha resistito
con controricorso;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente
deduce violazione dell’art. 434 cod. proc. civ.
e nullità del procedimento censurando la sentenza impugnata per non avere
rilevato, in conformità della spiegata eccezione, il difetto di specificità
dell’atto di appello;
2. con il secondo motivo deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 2909 cod. civ.. Premesso
che la sentenza di appello aveva fondato la illegittimità del recesso sulla
mancanza di prova dell’impossibilità di «repechage», che, per come accertato
con altra sentenza inter partes, passata in giudicato, le mansioni svolte dal
F. erano quelle impiegatizie (e non più operaie per essere egli stato addetto a
mansioni «di portineria collocato in un ufficio all’ingresso dello stabile, con
una postazione computer e telefonica e con compiti di ausilio al ragioniere») e
che tanto precludeva il riesame sul punto, osserva che il giudice di appello
era incorso in violazione del giudicato esterno costituito dalla sentenza n.
1782/2014 della Corte di appello di Napoli avendo attribuito al F. lo
svolgimento di compiti quali la gestione del processo di fatturazione, compiti
in realtà mai effettuati e contrastanti con l’accertamento definitivo portato
dalla richiamata sentenza n. 1782/2014; sostiene in ragione di quanto sopra che
la verifica circa la possibilità di utile ricollocazione lavorativa doveva
essere effettuata alla luce delle mansioni svolte quali accertate dal
precedente giudicato inter partes;
3. con il terzo motivo di ricorso denunzia nullità
della sentenza per motivazione apparente; la Corte di appello pur nella
corretta enunciazione dei principi che presiedono alla verifica
dell’assolvimento dell’obbligo di «repechage» aveva dimostrato di collegare la
mancata prova al fatto che la società S. non aveva offerto riscontri
documentali avuto riguardo alle strutture organiche ed alla dotazione di
personale di ciascuno del 23 centri operativi facenti capo alla società, senza
spiegare perché tale prova non potesse essere offerta attraverso l’espletamento
della prova testimoniale sulle circostanze capitolate;
4. con il quarto motivo di ricorso deduce omesso
esame di fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, concernente le
effettive mansioni svolte dal F. al momento del licenziamento; sostiene che ove
correttamente ricostruiti i compiti dallo stesso espletati, l’ambito
qualitativo delle mansioni da comparare sarebbe stato quello di aiuto
ragioniere e di addetto alla portineria, mansioni che non avrebbero potuto
essere sussunte in quelle di contabile Junior;
5. il primo motivo di ricorso è inammissibile per
difetto di autosufficienza. Parte ricorrente non trascrive, infatti, in
violazione del principio di specificità del ricorso per cassazione, i motivi di
gravami formulati da controparte nel proprio atto di appello, come prescritto
al fine della valida deduzione del mancato rilievo della nullità dell’atto di
impugnazione (v. Cass. n. 29495/2020, Cass. n. 86/2012, Cass. n. 9734/2004);
5.1. in caso di denunzia di error in procedendo, il
sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità
denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è
fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale
motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di
cassazione è giudice anche del fatto (v. tra le altre, Cass. 20716/2018, n. 8069/2016, n. 16164/2015). Al fine di
consentire tale sindacato, tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile
“ex officio”, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi
individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede
il riesame e, quindi, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le
precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione
processuale (Cass. n. 2771/2017); in particolare si richiede che il contenuto
dell’atto di appello sia riportato nella misura necessaria a dimostrare la
astratta fondatezza della censura di non corrispondenza dell’atto al modello
delineato dagli artt. 342 e 434 cod. proc. civ.(Cass. n. 29495/2020, Cass. n. 22880/2017);
5.2. tale onere non è stato assolto dall’odierno
ricorrente che non ha trascritto o esposto per riassunto il contenuto della
sentenza di primo grado né ha trascritto nelle parti rilevanti il contenuto
dell’atto di gravame onde consentire, sulla base del solo esame del ricorso per
cassazione, come prescritto (Cass. n. 12761/2004, Cass. Sez. Un. n. 26002/2003,
Cass. n. 4743/2001), la verifica della effettiva pertinenza e specificità delle
censure formulate alla decisione di promo grado e la loro reale ed effettiva
idoneità a costruire un tessuto argomentativi idoneo a contrastare quello posto
a fondamento della statuizione impugnata. In particolare tale onere non può
dirsi assolto dalla trascrizione del brano del ricorso in appello riportata a
pagina 9 del ricorso per cassazione, brano che per la sua parzialità e per il
difetto di indicazioni circa il complessivo contesto argomentativo nel quale è
inserito, risulta intrinsecamente idoneo a dare contezza dell’errore in tesi
ascritto al giudice di appello;
6. il secondo motivo di ricorso è anch’esso
inammissibile per difetto di specificità;
6.1. la giurisprudenza di questa Corte, da tempo, ha
posto in evidenza il necessario coordinamento tra il principio secondo cui
l’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata direttamente
dalla Corte di Cassazione con cognizione piena, e il principio della necessaria
autosufficienza del ricorso. In particolare ha affermato che l’interpretazione
di un giudicato può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di
cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia
riprodotto nel ricorso per cassazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione
che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il predetto ricorso
deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato,
con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo
dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale
(vedi Cass. n. 5508/2018, Cass. n. 995/2017, Cass. n. 13658/2012, Cass. n.
22627/2006, Cass. Sez. Un. n. 1416/2004); in questa prospettiva è stato
precisato che i motivi di ricorso per cassazione fondati su un giudicato
esterno devono essere articolati con modalità conformi alle prescrizioni di cui
all’art. 366, comma 1. ,n. 6 cod. proc. civ.
(cfr. Cass. n. 21560/2011, Cass. n. 10537/2010); tanto sia sotto il profilo
della necessità di riproduzione del testo integrale della sentenza passata in
giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il riassunto sintetico della
stessa (cfr. Cass. n.2617/2015), sia sotto il
profilo della specifica indicazione della sede in cui essa sarebbe rinvenibile
ed esaminabile in questo giudizio di legittimità (vedi Cass. n.21560/2011
cit.).
6.2. parte ricorrente non si è conformata a tali
indicazioni restando a tal fine assorbente la considerazione della mancata
integrale trascrizione nel ricorso per cassazione della sentenza n. 1782/2014
della Corte di appello di Napoli posta a base della eccezione di giudicato
riferita al contenuto delle mansioni svolte dal lavoratore;
7. il terzo motivo di ricorso è inammissibile;
7.1. la sentenza impugnata ha ritenuto non assolto
dalla S. l’onere a carico di quest’ultima relativo alla dimostrazione della
impossibilità di «repechage» evidenziando che la società datrice di lavoro si
era limitata ad inserire negli atti difensivi e ad allegare in produzione
l’elenco delle nuove figure professionali dell’area operativa e dell’area
amministrativa previste a seguito della ristrutturazione del 2004, fornendo, in
sostanza, un’elencazione di figure icasticamente definite da specifiche
classificazioni nominative affiancate da uno schema nel quale venivano indicate
sinteticamente le attribuzioni funzionali e competenze richieste, allegando la
non riconducibilità delle stesse alle mansioni espletate dal lavoratore; ha quindi
rilevato che tale classificazione non sembrava di per sé escludere la
permanenza di alcuni compiti svolti dall’appellante evidenziando la parziale
sovrapponibilità agli stessi di alcuni dei profili indicati; ha invocato, a
riprova del fatto che alcune mansioni non fossero state soppresse ma solo
diversamente distribuite, la circostanza che la società, in data 31 maggio
2007, cessato il periodo di cigs aveva trasferito il F. presso il centro
operativo di Vigodarzene, quindi in epoca in cui la nuova struttura
organizzativa che la S. assumeva come elemento determinativo della soppressione
del posto di lavoro era già pienamente operativa; tanto costituiva elemento
asseverativo della esistenza e persistenza delle mansioni affidate al F.; in
ogni caso, era incontestata la esistenza di ventitré sedi operative nel solo
territorio nazionale e stante la disponibilità espressa dal F. a svolgere la
propria attività anche fuori regione, l’indagine avrebbe dovuto essere estesa
al complesso di tali sedi;
7.2. dalla ricostruzione delle ragioni della
decisione emerge che il motivo in esame muove da un presupposto che non trova
riscontro nella motivazione della sentenza impugnata posto che il giudice di
appello non ha affatto inteso attribuire, in maniera irragionevole, valenza
probatoria privilegiata all’elemento documentale anziché alla prova
testimoniale ma si è limitato a rilevare, all’esito di una complessiva
valutazione delle emergenze in atti, che la società datrice, sulla quale
ricadeva il relativo onere, non aveva dimostrato la impossibilità di una
diversa utile ricollocazione lavorativa del F.; a tal fine sulla base della
pacifica esistenza di ben ventitré centri operativi della società ha
valorizzato, come consentito ai sensi dell’art. 116
cod. proc. civ., la mancata produzione documentale destinata a specificare
la composizione dei singoli centri operativi quanto alle strutture organiche e
dotazioni di personale;
7.4. i superiori rilievi consentono inoltre di
escludere in radice la denunziata apparenza di motivazione posto che le ragioni
a sostegno del decisum risultano chiaramente percepibili nei loro presupposti
fattuali e giuridici;
8. il quarto motivo di ricorso è anch’esso
inammissibile per plurimi profili; in primo luogo il fatto del quale si
denunzia omesso esame è stato frutto di specifico apprezzamento da parte del
giudice di merito il quale ha ampiamente argomentato sul punto ( v. in
particolare sentenza, pag. 6); in secondo luogo gli atti e documenti di causa
dai quali sarebbe dovuto risultare la circostanza, asseritamente trascurata
delle effettive mansioni di espletamento del F., non sono evocati in conformità
del disposto dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod.
proc. civ. non avendo parte ricorrente provveduto alla relativa
trascrizione, come prescritto;
9. consegue alle considerazioni che precedono la
declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna della società
ricorrente alle spese di lite liquidate come da dispositivo, oltre che al
raddoppio del contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a
norma del comma 1 bis dell’ art.13
d. P.R. n. 115/2002;
P.Q.M.
Rigetta dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese
di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per
esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per
legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte delle società ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13,
se dovuto.