Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 novembre 2022, n. 33982

Lavoro, Condotta antisindacale, Mancata applicazione medio
tempore del contratto collettivo integrativo disdettato, Violazione della
clausola di ultravigenza, Illegittimità

Fatti di causa

 

1. La F.C. di Ascoli Piceno ha proposto ricorso ai
sensi dell’art. 28, legge n.
300 del 1970, nei confronti della società C.A. soc. coop. per far
dichiarare il carattere antisindacale del comportamento tenuto da quest’ultima
e consistito nell’avere, nel periodo tra la disdetta (31.12.2015) del contratto
collettivo integrativo aziendale del 26.7.2001 e la firma del nuovo contratto
(16.6.2016), disapplicato il citato contratto del 2001, in violazione della
clausola di ultravigenza di cui all’art. 23, e così delegittimato la stessa
organizzazione sindacale rispetto ai lavoratori, privati del trattamento ivi
previsto.

2. Il Tribunale di Ascoli Piceno con decreto
dell’1.7.2016 ha respinto il ricorso della F.C. e, con sentenza del 3.2.2017,
ha dichiarato inammissibile l’opposizione perché proposta con ricorso
depositato in forma cartacea, in violazione dell’art. 16 bis, del decreto legge n.
179 del 2012.

3. La Corte d’appello di Ancona, ritenuto che la
nullità del ricorso depositato in forma cartacea fosse stata sanata dal
raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156,
comma 3, cod. proc. civ., ha respinto nel merito l’impugnazione della F.C..

4. La Corte territoriale, pur ammesso che la mancata
applicazione medio tempore del contratto collettivo integrativo disdettato
comportasse la violazione della clausola di ultravigenza di cui all’art. 23
cit., ha ritenuto tale comportamento non idoneo a ledere oggettivamente gli
interessi di cui è portatrice l’organizzazione sindacale e ad incidere sulle
trattative che hanno portato alla sottoscrizione del nuovo contratto. Ha
rilevato, in particolare, come il sindacato appellante avesse regolarmente
partecipato alla fase delle trattative, come avesse liberamente scelto di non
presenziare ad alcune sedute dopo la convocazione effettuata dalla società
appellata; ha sottolineato come il referendum svolto avesse dimostrato
l’accoglimento da parte dei lavoratori, a larga maggioranza, del nuovo
contratto integrativo aziendale. Ha rilevato, in generale, come le
organizzazioni sindacali non siano legittimate a tutelare qualsivoglia diritto
dei lavoratori che si assuma leso da inadempimenti di natura contrattuale da
parte del datore di lavoro e che, nel caso di specie, ciascun lavoratore
avrebbe potuto far valere la mancata applicazione del contratto collettivo
integrativo disdettato, in quanto violazione di natura contrattuale.

5. Avverso tale sentenza la F.C. di Ascoli Piceno ha
proposto ricorso per cassazione affidato a undici motivi. La C.A. società
cooperativa ha resistito con controricorso e ricorso incidentale, con un unico
motivo. La F.C. ha depositato controricorso al ricorso incidentale.

6. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni
scritte chiedendo l’accoglimento del ricorso. Entrambe le parti hanno
depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 cod.
proc. civ.

 

Ragioni della decisione

 

Ricorso principale di F.C. di Ascoli Piceno

7. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.,
la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 28, legge n. 300 del 1970,
e dei principi del giusto processo, poiché la decisione di appello si basa in
modo determinante su fatti allegati e documenti prodotti nel corso del giudizio
e non esistenti all’epoca del deposito del ricorso ai sensi dell’art. 28, relativi, ad
esempio, alla partecipazione dell’organizzazione sindacale ricorrente alle
trattative per il rinnovo del contratto integrativo e allo svolgimento del referendum,
senza, peraltro, che la F.C. abbia avuto la possibilità di controdedurre sulle
nuove allegazioni e produzioni non essendo stato concesso il termine richiesto,
come risulta dal verbale di udienza del 24.6.2016.

8. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata, ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.,
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 28, legge 300 del 1970
in relazione all’art. 111 Cost. e agli artt. 112, 115, 116, 156, 157, 159 e 161 cod. proc. civ., per avere i giudici di
appello consentito a controparte di spostare l’oggetto della decisione dal
petitum e dalla causa pretendi enunciati nel ricorso introduttivo della fase
sommaria a fatti, circostanze e questioni temporalmente successivi, non
rilevanti ai fini della condotta antisindacale denunciata ed inoltre
erroneamente valutati.

9. Con il terzo motivo di ricorso la medesima
censura è formulata in relazione all’art. 360,
comma 1, n. 5 cod. proc. civ., come omesso esame circa un fatto decisivo
per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

10. Con il quarto motivo di ricorso si addebita alla
sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 comma 1,
n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 28, legge n. 300 del 1970,
per avere escluso la lesione delle prerogative sindacali in ragione della
partecipazione dell’attuale ricorrente alla trattativa di rinnovo del contratto
disdettato e in base all’esito del referendum, che ha dato un risultato
favorevole al nuovo contratto collettivo osteggiato e non sottoscritto dalla
F.C., senza considerare che ad essere determinante ai fini dell’articolo 28 cit. è il modo in
cui la trattativa di rinnovo si è svolta e il modo in cui il referendum si è
tenuto. La sentenza d’appello ha errato nel ritenere che condurre una
trattativa di rinnovo in condizioni di ultravigenza del contratto disdettato o
condurla in assenza di qualsiasi contratto applicato sia la stessa cosa e
conferisca all’organizzazione sindacale, tra i propri iscritti e nei confronti
della controparte, lo stesso livello di autorevolezza, credibilità e forza. Ha
parimenti errato nel presupporre che per i lavoratori sia indifferente, in
termini di libertà e forza rivendicativa, votare sulla approvazione di un
contratto deteriore rispetto a quello disdettato, sapendo che il precedente
contratto rimane in vigore almeno fino al termine della trattativa, oppure
votare mentre si sono già persi i benefici (economici e non) del precedente
contratto.

11. Con il quinto motivo di ricorso la medesima
critica è formulata in relazione all’art. 360,
comma 1, n. 5 cod. proc. civ., come omesso esame circa un fatto decisivo
per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, deducendosi
inoltre il carattere apparente, e quindi la sostanziale omissione di
motivazione, nella parte in cui la sentenza d’appello ha escluso il pregiudizio
in danno dell’attività sindacale solo perché il sindacato ha liberamente
partecipato alle trattative ed i lavoratori hanno liberamente votato a favore del
nuovo contratto integrativo.

12. Con il sesto motivo di ricorso si denuncia, ai
sensi dell’art. 360 comma 1, n. 3 cod. proc. civ.,
l’ulteriore violazione dell’art.
28, legge n. 300 del 1970, e degli artt. 2697
cod. civ. e 115 cod. proc. civ., per avere
la Corte di merito escluso che la violazione della clausola di ultravigenza di
cui all’art. 23 possa avere oggettivamente inciso sulla trattativa di rinnovo,
omettendo di considerare che, dopo la disdetta del contratto integrativo, la
F.C. aveva “proseguito le trattative tra le forti proteste e le rimostranze dei
lavoratori per le perdite di diritti (economici e non solo) dagli stessi
subite”, fatto allegato fin dal ricorso in opposizione, in sé significativo
della perdita di credibilità dell’O.S., non contestato dalla controparte e su
cui, comunque, la ricorrente aveva articolato specifiche richieste di prova.

13. Con il settimo motivo di ricorso si denuncia, ai
sensi dell’art. 360 comma 1, n. 3 cod. proc. civ.,
la violazione dell’art. 28,
legge n. 300 del 1970, per avere la sentenza d’appello considerato la
violazione della clausola di ultravigenza quale violazione di tipo
contrattuale, che ciascun lavoratore avrebbe potuto (e forse dovuto) far
valere, ignorando il principio di plurioffensività della condotta datoriale posta
in essere in violazione dell’art.
28 cit. Si ribadisce come la violazione della clausola di ultravigenza, nel
corso delle trattative per il rinnovo del contratto, abbia delegittimato
l’organizzazione sindacale e la sua stessa funzione di soggetto abilitato a
contrattare col datore di lavoro per conto dei suoi iscritti.

14. Con l’ottavo motivo di ricorso si denuncia, in
relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.,
l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti. Si assume che la Corte di merito abbia escluso il
carattere antisindacale della condotta datoriale sul rilievo che la F.C. avesse
regolarmente partecipato alla trattativa, come risultante dal documento
avversario n. 7 relativo al verbale di incontro del 31.5.2016, senza
considerare le allegazioni e i documenti dell’O.S. idonei a dimostrare una
serie di condotte datoriali che hanno reso la trattativa tutt’altro che
“regolare” e hanno portato alla stipula di un contratto di rinnovo separato,
con modalità concretanti una ulteriore condotta antisindacale; in particolare
senza considerare che la convocazione datoriale del 23.6.2016, per il
successivo 24 giugno, non era destinata a consentire la discussione sul
contenuto del nuovo contratto integrativo bensì solo diretta a far firmare il
nuovo contratto, già firmato in data 16.6.2016 dalla società e dalla U.U..

15. Con il nono motivo di ricorso si denuncia, ai
sensi dell’art. 360 comma 1, n. 3 cod. proc. civ.,
l’ulteriore violazione dell’art.
28, legge n. 300 del 1970, degli artt. 1175,
1337 e 1375 cod.
civ. e dell’art. 112 cod. proc. civ., per
avere la Corte di merito omesso di considerare i fatti e i documenti di cui al
precedente motivo di ricorso, atti a dimostrare la violazione dei principi di
correttezza e buona fede in relazione sia alle anomale e ostili modalità di
conduzione che alla repentina e ingiustificata interruzione della trattativa di
rinnovo da parte della società nei confronti dell’organizzazione sindacale
ricorrente, e ad integrare una ulteriore condotta antisindacale non rilevata
dalla Corte territoriale che ha omesso di pronunciarsi sulle domande avanzate
al riguardo nel ricorso in opposizione.

16. Con il decimo motivo di ricorso si denuncia, ai
sensi dell’art. 360 comma 1, n. 3 cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,
1363, 1366, 1367, 1369 e 1373 cod. civ. e dell’art. 28, legge n. 300 del 1970,
in relazione all’art. 23 del contratto collettivo integrativo aziendale del
26.7.2001. Si censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha confermato il
provvedimento reso dal Tribunale in fase sommaria ove era affermato che il
contratto collettivo integrativo del 2001 si sarebbe tacitamente trasformato in
contratto a tempo indeterminato per via della sua prolungata applicazione (12
anni) dopo la prima scadenza (31.12.2003), con conseguente legittimità del
recesso unilaterale con preavviso da parte della società (in data 18.9.2015) e
irrilevanza della clausola di ultrattività.

17. Con l’undicesimo motivo si deduce violazione e
falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ.
chiedendosi una nuova regolamentazione delle spese di lite in conseguenza dell’accoglimento
dei motivi di ricorso.

Ricorso incidentale di C.A. società cooperativa

18. Con l’unico motivo di ricorso incidentale è
dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod.
proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 16 bis, decreto legge n. 179
del 2012, convertito dalla legge n. 221 del
2012, in relazione all’art. 156 cod. proc. civ.

19. Sulla premessa che la sentenza d’appello
contenga una statuizione passata in giudicato secondo cui “il deposito con
modalità cartacea dell’atto di opposizione del processo viola l’art. 16 del decreto legge 179”,
si sostiene l’inammissibilità del deposito del ricorso in opposizione con
modalità diverse da quelle prescritte come “esclusive” dalla disposizione
citata, con conseguente inesistenza dell’atto anziché nullità, dichiarata
sanata dai giudici di appello sanata.

20. Il ricorso incidentale, che ha priorità
logico-giuridica, è infondato.

21. Deve anzitutto escludersi, proprio in ragione
della proposta impugnazione incidentale, la formazione di un giudicato sulla
esistenza di un vizio di notifica.

22. In una fattispecie in cui era dedotta la
formazione di un giudicato interno sulla inesistenza della notifica della
citazione di primo grado, questa Corte (Cass. n. 8645 del 2020) ha escluso “la
formazione di un giudicato interno sull’affermata inesistenza della notifica
della citazione di primo grado, ancorché il relativo capo del dispositivo non
sia stato oggetto d’una propria e autonoma censura – sicché se ne impone la
verifica d’ufficio – allorquando la parte impugnante contesti i successivi
effetti processuali che il maniera autonoma rispetto a quanto prospettato dalle
parti e procedere ad una diversa loro qualificazione giuridica, non occorre
un’apposita censura sugli uni o sull’altra, ma è sufficiente che sia contestato
anche soltanto l’effetto finale che il giudice “a quo” ne abbia
ricavato, rappresentando l’inesistenza – non diversamente dalla nullità di un
atto processuale – una “qualificazione” giuridica che questi opera
per trarne uno o più effetti concreti sui “tremata decidenda”
sostanziali e/o processuali”.

23. La censura è infondata in base ai principi
affermati da questa Corte con riferimento al rito introdotto dalla legge n. 92 del 2012, ma con affermazioni
estensibili alla fattispecie oggetto di causa relativa al procedimento ex art. 28, legge n. 300 del 1970,
strutturato in modo analogo al cd. rito Fornero. Si è stabilito (Cass. n. 2930
del 2019; Cass. n. 25799 del 2019) che “Nel
rito cd. Fornero, il giudizio di primo grado, pur unitario, si articola in due
fasi procedimentali e l’introduzione della fase di opposizione richiede
un’autonoma costituzione delle parti, come è dimostrato dal fatto che l’art. 1, commi 51 e 53, della l. n. 92
del 2012 preveda a loro carico gli stessi incombenti che caratterizzano
l’introduzione del giudizio nel rito del lavoro; ne consegue che il ricorso in
opposizione può essere depositato in forma cartacea, non ricorrendo i
presupposti per l’applicazione dell’art. 16-bis del d.l. n. 179 del 2012
(conv., con modif., in l. n. 221 del 2012),
secondo cui il deposito degli atti processuali delle parti precedentemente
costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche”.

24. Deve quindi ritenersi infondato l’assunto della
ricorrente incidentale che pretende di affermare addirittura l’inesistenza del
ricorso in opposizione poiché depositato in forma cartacea anziché telematica.

25. La società controricorrente ha eccepito
l’inammissibilità del ricorso principale per intervenuta cessazione della
materia del contendere, per avere la segretaria provinciale e legale rappresentante
della F.C. di Ascoli Piceno sottoscritto un “verbale di accordo ad integrazione
dell’art. 23 CIA del 30.6.2018”, la cui validità è “vincolata alla durata del
Contratto integrativo Aziendale del 30 giugno 2016”, di cui col ricorso in
esame è chiesta la disapplicazione.

Inoltre, per avere la segretaria provinciale, con
e-mail del 17.5.2018, richiesto al responsabile relazioni sindacali della
società controricorrente i dati sul premio pattuito con il CIA del giugno 2016,
in tal modo manifestando la volontà di fare propri i contenuti di questo
contratto.

26. Ha inoltre dedotto l’inammissibilità del ricorso
principale sul rilievo che, in base all’accordo interconfederale del 28.7.2015,
il contratto integrativo aziendale sottoscritto nel 2016 da C.A. soc. coop. e
U.U., approvato a larghissima maggioranza dal referendum dei lavoratori,
dovesse considerarsi legittimo ed efficace erga omnes, senza possibilità di
disapplicazione.

27. Nessuno dei profili di inammissibilità può
trovare accoglimento. Il primo, poiché la dichiarazione di cessazione della
materia del contendere “presuppone che le parti si diano atto reciprocamente
del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e
sottopongano al giudice conclusioni conformi in tal senso” (v. Cass. n. 25625 del 2020; Cass. n. 5188 del 2015)
e tali requisiti difettano nel caso in esame. Il secondo, poiché la domanda
azionata dall’attuale ricorrente non investe la legittimità ed efficacia del
contratto integrativo aziendale sottoscritto nel 2016.

28. I primi tre motivi di ricorso, che si trattano
unitariamente perché logicamente connessi e in parte sovrapponibili, non
possono trovare accoglimento atteso che costituisce requisito essenziale
dell’azione ex art. 28 St.
Lav. la attualità della condotta antisindacale o almeno dei suoi effetti
(v. Cass. n. 13860 del 2019; Cass. n. 3837 del 2016; Cass. n. 23038 del 2010), con la conseguenza che
legittimamente possono introdursi nel giudizio elementi atti a dimostrare
l’esaurimento o il protrarsi della condotta o dei suoi effetti. La censura
formulata col terzo motivo ai sensi dell’art. 360
n. 5 c.p.c. ed i motivi quinto e ottavo, entrambi riferiti al vizio di cui
all’art. 360 n. 5 c.p.c., sono inammissibili in
difetto dei presupposti definiti dalle sentenze delle Sezioni Unite di questa
Corte (nn. 8053 e 8054 del 2014) e concernenti
l’omesso esame di un fatto inteso in senso storico e decisivo, cioè idoneo a
determinare, se considerato, un esito diverso della controversia.

29. I motivi quarto, sesto, settimo e decimo del
ricorso principale, anch’essi da trattare congiuntamente, sono fondati nei
termini di seguito esposti.

30. La F.C. ha argomentato l’antisindacalità della
condotta della società in ragione della violazione della clausola di
ultrattività del contratto integrativo aziendale del 2001 e sul rilievo che la
violazione di tale clausola avrebbe pregiudicato, nel corso delle trattative
per il rinnovo del contratto, l’autorevolezza, la credibilità e la forza dell’organizzazione
sindacale ricorrente rispetto ai propri iscritti, in quanto la stessa non
sarebbe stata in grado di garantire la protratta applicazione del contratto
disdettato nel periodo di tempo necessario al rinnovo e quindi di evitare i
correlati pregiudizi anche economici derivati ai lavoratori.

31. In merito alla questione della durata e
dell’efficacia del contratto collettivo disdettato, deve ribadirsi
l’orientamento espresso da questa Corte con la sentenza
n. 3672 del 2021 secondo cui “I contratti collettivi di diritto comune,
costituendo manifestazione dell’autonomia negoziale degli stipulanti, operano
esclusivamente entro l’ambito temporale concordato dalle parti, atteso che
l’opposto principio di ultrattività della vincolatività del contratto scaduto
sino ad un nuovo regolamento collettivo, ponendosi come limite alla libera
volontà delle organizzazioni sindacali, sarebbe in contrasto con la garanzia
prevista dall’art. 39 Cost.; pertanto, alla
previsione della perdurante vigenza del contratto fino alla nuova stipulazione
dev’essere riconosciuto il significato della indicazione, mediante la clausola
di ultrattività, di un termine di durata chiaramente individuato in relazione a
un evento futuro certo, benché privo di una precisa collocazione cronologica”.

32. Come precisato nella sentenza appena citata,
poiché la “scadenza” del contratto non può che essere quella fissata
specificamente e chiaramente dalle parti collettive, la previsione della
perdurante vigenza fino alla nuova stipulazione ha il significato della
previsione, mediante la clausola di ultrattività, di un termine di durata,
benché indeterminato nel “quando”, atteso che il contratto collettivo
di diritto comune è regolato dalla libera volontà delle parti, che possono in
tal modo regolare gli effetti del contratto scaduto quanto al termine di
efficacia. Difatti, nelle obbligazioni da contratto il criterio distintivo tra
termine e condizione va ravvisato nella certezza e/o nell’incertezza del
verificarsi di un evento futuro che le parti hanno previsto per l’assunzione di
un obbligo o per l’adempimento di una prestazione; ricorre l’ipotesi del
termine quando detto evento futuro sia certo, anche se privo di una precisa
collocazione cronologica, purché risulti connesso ad un fatto che si
verificherà certamente (v. Cass. n. 4124 del 1991).

33. In coerenza con tali principi, deve ribadirsi la
qualificazione della clausola contenuta nell’art. 23 del contratto integrativo
aziendale (“Il contratto scade il 31.12.2003 e resterà in vigore sino alla
stipula del successivo contratto integrativo”) come clausola di ultrattività,
in quanto espressione della volontà delle parti stipulanti di vincolarsi al
contenuto del contratto sottoscritto fino alla nuova negoziazione e
sottoscrizione.

34. La Corte d’appello ha escluso che la violazione
della clausola di ultrattività abbia determinato una lesione delle prerogative
sindacali con specifico riferimento alla fase delle trattative per il rinnovo
del contratto aziendale, ciò sul rilievo della partecipazione della F.C. alle
trattative medesime e dell’esito del referendum nonché nella convinzione che la
violazione della clausola di ultrattività integri una “violazione di natura
contrattuale”, che il singolo lavoratore può far valere con autonoma domanda,
dubitandosi perfino della legittimazione al riguardo dell’organizzazione
sindacale.

35. Tali affermazioni risultano non conformi a
diritto.

36. L’assunto della natura contrattuale della
violazione della clausola di ultrattività non tiene conto della univoca
giurisprudenza di questa Corte in tema di plurioffensività della condotta
antisindacale.

37. Si è più volte affermato come l’eventuale
plurioffensività di una condotta antisindacale comporti la possibile autonoma
coesistenza delle due azioni (quella collettiva ed individuale), senza
reciproche interferenze (Cass. n. 18539 del 2015;
Cass. n. 16930 del 2013; Cass. n. 10339 del 1997; v. altresì Corte cost. n. 860
del 1988).

Infatti, l’azione esercitabile dai sindacati ai
sensi della legge n. 300 del
1970, art. 28, è distinta ed autonoma rispetto alle azioni che possono
esercitare i lavoratori a tutela dei propri diritti individuali eventualmente
colpiti dagli stessi comportamenti antisindacali denunciati dal sindacato,
essendo diversi sia la causa pretendi sia, almeno ontologicamente, il petitum,
né l’eventuale giudicato può esplicare efficacia riflessa.

38. Inoltre, come chiarito da questa Corte a partire
dalla sentenza delle S.U. n. 5295 del 1997, “Per integrare gli estremi della
condotta antisindacale di cui all’art. 28 dello Statuto dei
lavoratori (legge n. 300 del 1970) è
sufficiente

che tale comportamento leda oggettivamente gli
interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, non
essendo necessario (ma neppure sufficiente) uno specifico intento lesivo da parte
del datore di lavoro né nel caso di condotte tipizzate perché consistenti
nell’illegittimo diniego di prerogative sindacali (quali il diritto di
assemblea, il diritto delle rappresentanze sindacali aziendali a locali idonei
allo svolgimento delle loro funzioni, il diritto ai permessi sindacali), né nel
caso di condotte non tipizzate ed in astratto lecite, ma in concreto
oggettivamente idonee, nel risultato, a limitare la libertà sindacale, sicché
ciò che il giudice deve accertare è l’obiettiva idoneità della condotta
denunciata a produrre l’effetto che la disposizione citata intende impedire,
ossia la lesione della libertà sindacale e del diritto di sciopero”.

39. Questa Corte (Cass.
n. 21537 del 2019 non massimata), con riferimento ad un’azione proposta ai
sensi dell’art. 28 St. Lav.,
ha affermato la rilevanza ai fini della condotta antisindacale della
“illegittimità della disdetta unilaterale del contratto applicato da parte del
datore prima della sua scadenza” ed ha ribadito “quanto al thema disputandum
dell’anticipata disdetta e della vincolatività del termine di scadenza del
contratto sostituito, e quindi al suo valore ostativo o meno alla stipulazione
di nuovo contratto, che nessun principio o norma dell’ordinamento induce a
ritenere consentita l’applicazione di un nuovo CCNL prima della prevista
scadenza di quello in corso di applicazione, che le parti si sono impegnate a
rispettare”.

40. La Corte di merito non si è attenuta a tali
principi nel momento in cui ha negato rilevanza, ai fini della antisindacalità
della condotta, alla violazione della clausola di ultravigenza da parte della
società datoriale, peraltro posta in essere proprio nel periodo di rinnovo contrattuale,
ritenendo la portata oggettiva di detta violazione elisa dal dato della mera
partecipazione dell’organizzazione sindacale alle trattative per il rinnovo
(esitate, peraltro, nella conclusione di un contratto integrativo aziendale non
sottoscritto dalla O.S. ricorrente).

41. Risultano quindi fondati, nei limiti appena
esposti, i motivi quarto, sesto, settimo e decimo del ricorso principale.

42. Il nono motivo risulta inammissibile in quanto
le censure esposte, sotto il profilo di violazione dell’art. 112 c.p.c., fanno riferimento ad una
ulteriore condotta antisindacale, relativa alle “anomale e ostili modalità di
conduzione e alla repentina e ingiustificata interruzione della trattativa di
rinnovo da parte della società intimata verso la O.S. ricorrente”, senza che
sia specificato nel ricorso in esame in che termini e in quali atti processuali
tali domande e deduzioni, di cui non vi è traccia nella sentenza impugnata,
siano state svolte.

43. Costituisce affermazione costante di questa
Corte che, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di
cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente,
al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della
censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di
merito, ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo
abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex
actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della
suddetta questione (Cass. n. 23675 del 2013; n. 20703 del 2015; n. 18795 del
2015; n. 11166 del 2018).

44. L’undicesimo motivo, concernente la regolazione
delle spese di lite, risulta assorbito.

45. Per le ragioni esposte, i motivi quarto, sesto,
settimo e decimo del ricorso principale devono essere accolti nei limiti di cui
in motivazione, risultando infondati i primi tre motivi, assorbito l’undicesimo
motivo e inammissibili i restanti motivi. Va respinto il ricorso incidentale.
La sentenza impugnata deve quindi essere cassata in relazione ai motivi
accolti, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che
procederà ad un nuovo esame della fattispecie alla luce dei principi di diritto
richiamati, oltre che alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

46. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale,
a norma del comma 1 bis dello
stesso articolo 13, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Accoglie i motivi quarto, sesto, settimo e decimo
del ricorso principale, rigetta i primi tre motivi, dichiara assorbito
l’undicesimo motivo e inammissibili i restanti motivi. Rigetta il ricorso
incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e
rinvia alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, anche per la
regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto
per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 novembre 2022, n. 33982
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: