Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 novembre 2022, n. 34314
Lavoro, CCNL agenzie di sicurezza non armata, Contratto di
lavoro intermittente, Attività con carattere discontinuo e saltuario
Conformità agli artt. 34 e 35, D.Igs. 276/03, Legittimità
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 299/2015, il Tribunale di Milano
respingeva il ricorso con il quale S.N.M.P. chiedeva nei confronti della
convenuta Italian B.O.I. s.r.l. di accertare la nullità/illegittimità del
contratto di lavoro intermittente stipulato in data 18.12.12 per il periodo
20.12.2012-19.6.2013 e della proroga al 31.5.2012; di dichiarare la sussistenza
di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con orario full time
e di condannare la società convenuta al ripristino del rapporto ed al
risarcimento del danno ex art. 32 L. 183/2010 nella misura di 12 mensilità
ovvero ex art. 1223 c.c. nella misura delle retribuzioni maturate
dall’interruzione del rapporto alla data della sentenza.
2. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte
d’appello di Milano respingeva l’appello che S.N.M.P. aveva proposto contro la
decisione di prime cure e lo condannava al pagamento delle spese del secondo
grado, come ivi liquidate.
3. Avverso tale decisione S.N.M.P.ha proposto
ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.
4. La I. s.r.l. è rimasta mera intimata, non avendo
depositato controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo, il ricorrente denuncia
“Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 34, 35 e 40 del D.Igs.
276/03 per avere la Corte d’Appello di Milano, Sezione Lavoro, ritenuto il
contratto di lavoro intermittente stipulato tra le parti legittimo sulla base
del mero richiamo, in esso contenuto, alle norme della legge e della
contrattazione collettiva applicata al rapporto di lavoro de quo, senza la
specifica indicazione delle ipotesi che consentono la stipulazione di tale
tipologia contrattuale”. Deduce che la Corte suddetta, nella sua sentenza,
“contrariamente alle norme regolanti la fattispecie in esame e comunque in
contrasto con l’interpretazione delle stesse fornita da dottrina e
giurisprudenza prevalenti, ha rigettato le domande svolte dal ricorrente,
ritenendo che il contratto in esame fosse conforme alle previsioni di cui agli
artt. 34 e 35 del D.Igs. 276/03 sulla base del mero richiamo in esso contenuto
alle norme di legge (artt. 33-40 d.lgs. 276/03) e della contrattazione
collettiva di settore (art. 26 CCNL per i dipendenti di agenzie di sicurezza
non armata), senza l’indicazione e la specificazione delle ipotesi e/o esigenze
che, secondo quanto previsto dalle legge, consentono la stipulazione di tale
tipo contrattuale”.
2. Ritiene il Collegio che tale censura debba essere
reputata inammissibile per difetto della specificità, richiesta dall’art. 366,
comma primo, n. 4), c.p.c., in termini segnatamente di difetto di pertinenza
rispetto a quanto effettivamente considerato e deciso dalla Corte distrettuale.
3. Per quanto ora d’interesse, la Corte distrettuale
aveva scritto che: <Nel caso di specie il contratto veniva stipulato
“ai sensi e per gli effetti della disciplina prevista dagli artt. da 33 a
40 del D.Igs. 276/03 e succ. mod. e dall’art. 26 CCNL per i dipendenti di
agenzia di sicurezza non armata”.
Il richiamo agli articoli di legge e di CCNL
indicati appare idoneo ad integrare la previsione dell’art. 35 che stabilisce
che il contratto deve essere in forma scritta ai fini della prova con
indicazione, tra gli altri aspetti, “della durata e delle ipotesi
oggettive e soggettive previste dall’art. 34 che consentono la stipulazione del
contratto”. Va considerato che la società appellata appartiene al settore
della vigilanza non armata, che l’art. 26 del CCNL prevede il ricorso al
contratto intermittente “vista la tipologia specifica del settore competente
al CCNL, soggetta ad incarichi temporali di varia durata e a richiedeste in
occasioni di eventi” e che, per effetto del richiamo da parte dell’art. 40
al DM 23.10.04, il contratto intermittente è consentito in relazione alle
attività di natura discontinua elencate nel RD del 1923.
M. veniva assunto (come riportato nel contratto
individuale) per svolgere mansioni di guardiano e di addetto al controllo degli
accessi, ai servizi di portierato e di receptìon, servizio di cortesia ed
assistenza alla clientela, servizio di deterrenza e dissuasione; tutte attività
aventi per loro natura carattere discontinuo e saltuario.
Non pare pertanto corretto sostenere la mancata
indicazione da parte datoriale delle esigenze giustificanti la stipula di tale
tipologia del contratto.
L’indicazione riportata nel contratto, per quanto
effettuata per relationem alle norme di legge e di contratto indicate, è
certamente idonea a consentire una valutazione successiva circa l’esistenza, al
momento della stipulazione, delle ragioni per le quali era ricorsa a tale forma
contrattuale e di pervenire pertanto a ravvisare l’eventuale abuso>.
4. Orbene, giova premettere che questa Corte aveva
considerato che l’art. 34, comma 1, d.lgs. n. 276/2003 si limita <a
demandare alla contrattazione collettiva la individuazione delle
“esigenze” per le quali è consentita la stipula di un contratto a
prestazioni discontinue” e che l’art. 40 dello stesso d.lgs. cit.
“nella ipotesi di mancata determinazione da parte del contratto collettivo
nazionale dei casi di ricorso al contratto al lavoro intermittente prevede una
specifica procedura, da espletarsi nel rispetto di contenute cadenze temporali,
finalizzata alla promozione dell’accordo sul punto dei soggetti negoziali e, in
mancanza, dispone che entro i quattro mesi successivi, il Ministro del lavoro e
delle politiche sociali individui in via provvisoria e con proprio decreto,
tenuto conto delle indicazioni contenute nell’eventuale accordo
interconfederale di cui all’art. 86, comma 13, e delle prevalenti posizioni espresse
da ciascuna delle due parti interessate, i casi in cui è ammissibile il ricorso
al lavoro intermittente ai sensi della disposizione di cui all’art. 34, comma 1
e dell’art. 37 comma 2” (così nella motivazione Cass. civ., sez. lav.,
13.11.2019, n. 29423).
5. L’impugnante, solo nella narrativa del ricorso in
esame, assume che: <L’art. 26 del CCNL per i dipendenti di sicurezza
sussidiaria non armata e degli istituti investigativi si limita a prevedere che
“(…) viene riconosciuta l’opportunità di utilizzo del lavoro a chiamata
sia a tempo determinato che indeterminato, senza limiti di età e lo stato
occupazionale precedente”. Ed anche nello svolgimento dell’unico motivo di
ricorso continua a sostenere “che la normativa contrattuale del settore
non indica e specifica quali siano le esigenze giustificanti la stipulazione di
tale tipologia contrattuale” (così a pag. 7 del ricorso).
6. Il ricorrente, allora, pur avendo riportato
integralmente nell’atto d’impugnazione il testo della motivazione della
sentenza gravata (cfr. pagg. 4-6 del ricorso), non ha assolutamente considerato
il punto innanzi trascritto in cui la Corte distrettuale ha verificato <che
l’art. 26 del CCNL prevede il ricorso al contratto intermittente “vista la
tipologia specifica del settore competente al CCNL, soggetta ad incarichi
temporali di varia durata e a richieste in occasione di eventi” …>.
7. In altre parole, la Corte territoriale nella
specie, e in ordine all’epoca dei fatti di cui è processo, non ha riscontrato
il permanere di quell’iniziale inerzia delle parti collettive, che aveva reso
necessario poco dopo l’emanazione del d.lgs. n. 276/2003 l’intervento
sostitutivo e provvisorio del Ministero del lavoro a mezzo dell’apposito D.M.
23.10.2004; ma, al contrario, aveva così accertato che apposita norma della
fonte collettiva di settore (il cit. art. 26) in realtà avesse successivamente
individuato le “esigenze” che nel campo specifico relativo potevano
giustificare il ricorso al tipo del contratto di lavoro intermittente.
9. Resta, perciò, confermato che l’unico motivo di
ricorso si basa su una non completa considerazione della parte motiva
dell’impugnata sentenza.
10. Nulla deve essere disposto circa le spese di
questo giudizio di legittimità, in assenza di costituzione dell’intimata, ma il
ricorrente è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello
stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.