Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 novembre 2022, n. 34707

Tributi, IRPEF, Previdenza integrativa aziendale,
Prestazione erogata in forma capitale, Trattamento tributario

 

Rilevato che

 

1. Il contribuente E.E., ex dirigente dell’E.
s.p.a., ha richiesto all’Agenzia delle Entrate il rimborso delle somme che il
sostituto d’imposta avrebbe indebitamente trattenuto in eccedenza, come
ritenuta IRPEF, sul capitale erogatogli a titolo di previdenza integrativa
sulla base dell’accordo tra E. e F.N.D.A.I. del 16 aprile 1986, applicando
l’aliquota media prevista per il trattamento di fine rapporto dagli artt. 16 e 17 del d.P.R. 22 dicembre
1986, n. 917.

Sosteneva infatti il contribuente che l’erogazione in
questione andava piuttosto assoggettata all’aliquota del 12,50% sulla
differenza tra il capitale erogato ed i premi riscossi, ai sensi del combinato
disposto degli artt. 42, comma 4,
del d.P.R. del 22 dicembre 1986, n. 917 e 6 della legge del 26 settembre
1985, n. 482.

Pertanto, il contribuente riteneva indebitamente
trattenuta, per effetto dell’erronea applicazione della maggior aliquota, la
somma della quale chiedeva la ripetizione.

2. Avverso il silenzio-rifiuto dell’istanza, il
contribuente ha proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria
provinciale di Torino, che lo ha accolto.

3. Contro la decisione di primo grado l’Ufficio ha
quindi proposto appello innanzi alla Commissione tributaria regionale del
Piemonte, che lo ha rigettato.

4. Avverso tale sentenza d’appello l’Amministrazione
ha proposto ricorso principale per cassazione, mentre il contribuente ha
proposto ricorso incidentale, e questa Corte, con l’ordinanza n. 30378/2011,
depositata il 30 dicembre 2011, ha così deciso: « La Corte, riunisce i ricorsi,
accoglie il principale, rigetta l’incidentale, cassa e rinvia, anche per le
spese, alla CTR del Piemonte.».

4.1. Giova trascrivere, per quanto, per quanto qui
interessa, la motivazione della stessa ordinanza, relativa al ricorso
principale erariale: « […] il ricorso appare manifestamente fondato, in
considerazione del principio statuito dalle SU di questa Corte con la sentenza n. 13642 del 2011, resa in controversia
analoga, secondo la quale: “In tema di fondi previdenziali integrativi, le
prestazioni erogate in forma capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in
epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs.
n. 124 del 1993, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a
capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono
soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino
al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione
separata di cui agli artt. 16, comma
1 lett. a) e 17 del TUIR, solo per quanto riguarda la “sorte capitale”
corrispondente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme
provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento si applica la ritenuta del
12,50%, prevista dall’art 6
della Legge n. 482 del 1985; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1
gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui
agli artt. 16, 1 lett. a) e 17 del
TUIR”. […] dovendo ribadirsi che la ritenuta del 12,50%, prevista
dall’art 6 della Legge n. 482
del 1985, va applicata, solo, sulle somme rinvenienti dalla liquidazione
del c.d. rendimento, per tale dovendo intendersi, in base al citato arresto
delle SU n. 13642 del 2011, “il rendimento
netto” imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale
accantonato.».

5. Riassunto dal contribuente il giudizio innanzi la
CTR del Piemonte in diversa composizione, quest’ultima, con la sentenza qui
impugnata, ha rigettato l’appello erariale e « decidendo in sede di rinvio in
parziale riforma della sentenza impugnata» ha disposto il rimborso al
contribuente, accogliendo la tesi di quest’ultimo.

6. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto
ricorso per la cassazione della sentenza emessa dal giudice del rinvio,
proponendo un solo motivo.

7. Il contribuente si è costituito con controricorso
ed ha depositato memoria.

 

Considerato che

 

1. Preliminarmente, deve darsi atto che nella
memoria il controricorrente ha chiesto che venga rimessa la causa alle sezioni
Unite di questa Corte.

L’istanza, formulata a questo Collegio e da
intendersi quindi quale sollecitazione all’esercizio del potere d’ufficio di
cui all’art. 376, terzo comma, cod. proc. civ.,
rappresenta una mera sollecitazione all’esercizio del relativo potere
discrezionale, il quale non solo non è soggetto ad un obbligo di motivazione,
ma neppure deve necessariamente manifestarsi in uno specifico esame e rigetto
della stessa istanza (Cass. 22/06/2016, n. 12962).

Tanto premesso, deve comunque rilevarsi che, a
fronte della già intervenuta pronuncia delle S.U. e dell’orientamento
giurisprudenziale consolidatosi di cui infra si dirà, questo Collegio ritiene
che non sussistano i presupposti per la richiesta rimessione e che il ricorso
possa essere deciso nell’ adunanza di questa sezione semplice, così come
peraltro avvenuto per molte altre fattispecie relative agli stessi aspetti del
medesimo contenzioso.

2. Con l’unico motivo di ricorso, formulato ai sensi
dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.,
l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per violazione o falsa
applicazione del combinato disposto degli artt. 1,
comma 2, del d.lgs. 1992,n. 546 e 384 cod.
proc. civ. e degli artt. 2697 ss. cod. civ.,
assumendo che il giudice a quo non si sarebbe uniformato al principio di
diritto enunciato nell’ordinanza di questa Corte con l’ordinanza n. 30378/2011,
che ha cassato, con rinvio, la precedente decisione della CTR.

Secondo la ricorrente, il giudice a quo, quale
giudice del rinvio, non avrebbe utilizzato i criteri dettati da questa Corte,
nel relativo principio di diritto, nel distinguere, all’interno dell’intera
somma percepita dal contribuente a titolo di liquidazione in capitale del
trattamento di previdenza integrativa aziendale, la parte derivante dal
rendimento maturato fino al 31.12.2000, cui applicare l’ aliquota del 12,50%.

Infatti, sostiene la ricorrente, la Corte,
richiamando Cass. Sez. Un., 22/06/2011, n. 13642,
ha precisato che, nell’ambito della suddetta somma complessiva, l’aliquota del
12,50% poteva applicarsi esclusivamente alla parte derivante dal «
“rendimento netto” imputabile alla gestione sul mercato da parte del
Fondo del capitale accantonato», che il giudice del rinvio avrebbe dovuto
determinare quantificando il relativo importo in base agli investimenti
concretamente effettuati dal Fondo sul mercato finanziario.

Si imponeva, pertanto, l’accertamento, da parte
della CTR, dell’esistenza e della quantificazione di un «rendimento» netto,
maturato fino al 31.12.2000, derivato dagli investimenti concretamente
effettuati dal Fondo sul mercato, alla stregua delle norme contrattuali via via
applicabili, e delle plusvalenze con essi realizzati.

Nella sentenza impugnata, invece, il giudice del
rinvio, ha dato atto che il capitale era stato «investito» all’interno della
stessa azienda E. s.p.a. ed ha identificato il «rendimento», cui applicare
l’aliquota del 12,50%, sulla base di una certificazione proveniente da
quest’ultima, nella quale la voce «rendimenti conseguiti» è priva di qualsiasi
concreto ed analitico riferimento sia agli incrementi dei quali la posizione
individuale del contribuente in questione ha effettivamente beneficiato; sia, e
soprattutto, circa la provenienza dei relativi importi da specifiche forme di
investimento del capitale sul mercato.

Partendo da tale certificazione, il giudice a quo ha
quantificato il «rendimento» per mera differenza tra prestazione percepita dal
contribuente e contributi a carico del dirigente e dell’azienda,
identificandolo come il rendimento derivante dall’impiego del capitale in
parola all’interno dell’azienda stessa.

In questo modo, sostiene quindi la ricorrente
Agenzia, il giudice del rinvio ha violato i criteri dettati nel principio di
diritto che doveva applicare.

2.1. Il motivo è ammissibile, a differenza di quanto
eccepito dal controricorrente, in quanto non attinge meramente gli accertamenti
in fatto operati dalla CTR, ma censura il criterio normativo (mediato dal
principio di diritto espresso da questa Corte con l’ordinanza di cassazione con
rinvio), applicabile al caso di specie, in base al quale il relativo giudizio
di merito doveva essere condotto.

Il motivo è altresì fondato e va accolto.

Infatti, la tesi sostenuta dal contribuente nel
controricorso, secondo cui il principio affermato dalle Sezioni Unite in
subiecta materia andrebbe sezionato distinguendo, da un lato, il fondo P.I.A.
(il cui rendimento di polizza sarebbe da ritenere comunque sottoposto al regime
fiscale di cui all’art. 6 legge
n. 482 del 1985, ancorché non ottenuto attraverso la gestione del capitale
accantonato sul mercato) e, dall’altro, il fondo denominato FondE. (al quale
soltanto andrebbe correlato il riferimento al rendimento netto imputabile alla
gestione sul mercato del capitale accantonato), costituisce una posizione
difensiva da considerarsi, comunque, nel caso di specie preclusa dal principio
di diritto affermato nella sentenza di cassazione con rinvio che, pur
richiamando il principio enunciato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 13642 del 2011, ne ha fornito una
lettura che costituisce ormai irretrattabile regola del caso concreto (nello
stesso senso, con riferimento al rapporto, nella medesima materia, tra il principio
di diritto esposto da Cass., S.U., n. 13642/2011,
richiamato nella precedente ordinanza di rinvio, ed i limiti del giudizio
rimesso al giudice del rinvio, cfr. Cass. n.
10285/2017, in motivazione).

7.1. Al riguardo, infatti, l’ordinanza che ha
cassato la precedente decisone e rinviato alla CTR ha affermato che il
meccanismo impositivo di cui all’art.
6 della legge 26 settembre 1985, n. 482 (aliquota del 12,50% sulla
differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi
riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo), per gli importi
di cui qui trattasi, maturati a favore del ricorrente fino al 31.12.2000, si
applica nel caso di specie « solo, sulle somme rinvenienti dalla liquidazione
del c.d. rendimento, per tale dovendo intendersi, in base al citato arresto
delle SU n. 13642 del 2011, “il
rendimento netto” imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo
del capitale accantonato”.».

E’ quindi inequivoco, nel principio di diritto da
applicarsi al caso di specie, lo specifico riferimento alla necessità, al fine
di applicare l’aliquota pretesa dal contribuente, che il « rendimento» sia
stato generato dall’effettiva gestione sul mercato delle somme accantonate.

2.2. Peraltro, come questa Corte ha già rilevato (Cass. 15/06/2018, n. 15853, in motivazione; Cass. 30/10/2018, n. 27610, in motivazione), la
pretesa distinta considerazione, al fine che qui interessa, tra P.I.A. e F.E..
non può comunque ricavarsi dal ripetuto arresto delle Sezioni Unite, il quale
invero descrive il fondo de quo in termini chiari e univoci, e senza alcuna
distinzione rispetto alle diverse configurazioni succedutesi nel tempo, quale
«fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e
a causa previdenziale prevalente» le cui prestazioni sono composte «da una
“sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi
versati dal datore di lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore), e da
un “rendimento netto”, imputabile alla gestione sul mercato da parte
del fondo del capitale accantonato»; data tale premessa non può dubitarsi –
anche per la congiunzione «sicché» che lega i due periodi da nesso logico di
conseguenzialità – che il successivo riferimento testuale al «rendimento di
polizza (nella fattispecie P.I.A.)» abbia solo un valore descrittivo/esemplificativo
della parte dei capitali corrisposti eventualmente tassabile nella misura del
12,5 per cento ai sensi dell’art.
6 legge n. 482 del 1985, fermo restando il requisito poco prima indicato
perché un tale rendimento possa effettivamente identificarsi, rappresentato
dall’essere lo stesso discendente dalla «gestione sul mercato del capitale
accantonato». Resta dunque confermato che il requisito del rendimento netto,
derivante dalla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale
accantonato, andrà ricercato – anche per i capitali maturati e gli
accantonamenti effettuati anteriormente alla trasformazione del fondo da P.I.A.
a F.E., ai fini dell’ applicazione dell’aliquota del 12,5% , ai sensi dell’art. 6 legge n. 482 del 1985,
ai capitali maturati anteriormente al 1 gennaio 2001 dai soggetti iscritti al
fondo di previdenza integrativa di che trattasi (P.I.A., poi F.E.) prima dell’entrata
in vigore del d.lgs. n. 124 del 1993 – solo
limitatamente a quella parte di essi che, per l’appunto, costituisca rendimento
netto nel senso appena precisato.

2.3. Su una lettura del principio affermato dalle
Sezioni Unite, secondo la quale il predetto più favorevole criterio impositivo
può trovare applicazione limitatamente alle somme rivenienti dall’effettivo
investimento, da parte del fondo, sul mercato finanziario, del capitale
accantonato e che ne costituiscano il rendimento, la successiva giurisprudenza
di questa Corte si è già attestata con numerosi arresti (cfr. ex multis Cass. 19/06/2018, n. 16116; Cass. 7/3/2018, n. 5436; Cass. 19/06/2018, n. 16116; Cass. 18/10/2017, n. 24525; Cass. 26/4/2017, n. 10285; Cass. n. 720/2017;
Cass. n. 10604/2015; Cass. n.8310/2014; Cass. n. 3132/2014; Cass. n. 22950/2013;
Cass. n.7724-7728/2013), di gran lunga prevalenti su quelli di segno diverso
(tra i quali, con riferimento alla P.I.A., Cass. n. 11830/2017 e Cass.
n.11836/2017, superate sul punto dalle già citate Cass.
15/06/2018, n. 15853 e Cass. 30/10/2018, n.
27610, che hanno ribadito puntualmente, in motivazione, la continuità
dell’orientamento al quale anche in questa sede si intende aderire).

Ed in questo senso si è pronunciata anche la sentenza
di questa Corte che, cassando la precedente decisione della CTR, ha fatto
specifico riferimento, nel contesto del principio di diritto, proprio
all’investimento sul «mercato».

2.4. Per completezza, è opportuno aggiungere che,
nel dare continuità al predetto orientamento, questa Corte ha anche precisato
che non v’è ragione di circoscrivere ulteriormente il requisito – necessario
anche rispetto ai capitali maturati ed agli accantonamenti effettuati
anteriormente alla trasformazione del fondo da P.I.A. a F.E.- ai soli
(eventuali) investimenti nel mercato finanziario, secondo l’ indicazione
fornita dalla Risoluzione n. 102/E del 26 novembre
2012 dell’Agenzia delle entrate ed avallata da diverse sentenze successive
alla citata pronuncia delle Sezioni Unite (v. ex aliis Cass. nn. 7724-7728,
12491-12496, 22950 del 2013; Cass. nn. 3136, 6380 e 8310 del 2014; Cass. n.
1977 del 2015), ma non contenuta in quest’ultima, che parla soltanto di
«gestione sul mercato», senza alcuna aggettivazione.

Pertanto, il requisito della derivazione del
rendimento dalla «gestione sul mercato» del capitale accantonato, che
identifica la ragione stessa della più favorevole tassazione del reddito, non
presuppone necessariamente che lo stesso rendimento costituisca il risultato di
investimenti, effettuati dall’ente di gestione della somma versata, indirizzati
verso i vari prodotti del mercato finanziario (strumenti finanziari, valori
mobiliari, etc.), ma comprende anche quelli diretti verso altri tipi di mercato
(Cass., n. 10285/2017. Conformi Cass., 15/06/2018, n. 15853; Cass. 30/10/2018, n. 27610).

2.5. A differenza di quanto sostenuto dal
contribuente, il «rendimento» derivante dalla «gestione sul mercato» del
capitale accantonato non può però identificarsi, al fine di applicare
l’aliquota del 12,50%, con quello determinato, pro quota, in corrispondenza
alla redditività ottenuta sul mercato dall’intero patrimonio dell’E. s.p.a.,
poiché la giurisprudenza di questa Corte ha già ritenuto che tale coerenza (del
rendimento ottenuto dal capitale accantonato con quello ottenuto dal patrimonio
dell’E. s.p.a.) costituisce, comunque un dato estrinseco e non causale, nel
senso che il primo non può comunque considerarsi frutto dell’investimento di
quegli accantonamenti nel libero mercato, come richiesto perché abbia a
configurarsi il reddito da capitale della specie richiesta, essendo al
contrario esso stesso dipeso da un predeterminato calcolo di matematica
attuariale (così la citata Cass. n. 10285/2017.Nello
stesso senso Cass. n. 5436/2018. Cfr. Cass. n.
4941/18).

2.6. La lettura dell’ordinanza di rinvio – che
rimetteva la causa al giudice del merito, affinché facesse concreto
accertamento della natura dell’attribuzione patrimoniale su cui va applicata la
tassazione – esclude la fondatezza della tesi del controricorrente secondo la
quale, nel giudizio di merito, per effetto dell’asserita mancata contestazione
da parte dell’Ufficio circa l’applicazione dell’aliquota del 12,50%, sarebbe
divenuta incontestabile la sussistenza del «rendimento», inteso nel senso
sinora precisato.

Infatti, la verifica dell’esistenza o meno dei
presupposti dell’applicazione dell’aliquota del 12,50%, che dalla stessa
sentenza impugnata risulta sempre contestata dall’Ufficio nel giudizio di
merito, costituiva proprio l’accertamento demandato al giudice del rinvio.
Dunque al giudice del rinvio non era rimessa esclusivamente la determinazione
del quantum delle somme sulle quali applicare l’aliquota ridotta, ma
necessariamente anche l’accertamento, a monte, dell’an di un «”rendimento
netto” imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale
accantonato» (Cass. 30712/2011, n. 30378, cit.).

2.7. Premesso quindi che l’Ufficio (come risulta
dalla sentenza impugnata e dallo stesso controricorso) ha negato in radice
l’esistenza dei presupposti dell’ applicabilità dell’aliquota del 12,50% nel
caso di specie, e quindi l’esistenza stessa del preteso diritto del
contribuente al rimborso, deve escludersi che la produzione, da parte del
contribuente, della documentazione, proveniente dall’E. s.p.a., che quantifichi
e conteggi il preteso «rendimento netto», possa aver reso incontestabile tale
ultimo dato, anche a prescindere da una specifica contestazione della
documentazione stessa da parte dell’Ufficio.

Infatti, questa Corte (Cass.,
n. 29613/11) ha già precisato che «il difetto di specifica contestazione
dei conteggi funzionali alla quantificazione del credito oggetto della pretesa
dell’attore, allorché il convenuto si limiti a negare in radice l’esistenza di
tale credito, può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti non
incompatibili con le ragioni della contestazione sull’an debeatur (Cass. SS.UU. 761/02)» e che « il principio di non
contestazione opera sul piano della prova, cosicché nel processo tributario
(nel quale pure è certamente applicabile, vedi Cass.
n. 1540/07) esso non elide l’operatività dell’altro principio – operante
sul piano dell’allegazione e collegato alla specialità del contenzioso
tributario – secondo cui la mancata presa di posizione sui motivi di
opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in linea di
subordine non equivale ad ammissione delle affermazioni che tali motivi
sostanziano, né determina il restringimento del thema decidendum ai soli motivi
contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del
contribuente consente all’Ufficio impositore, qualora le questioni da quello
dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo
del giudizio, le diverse argomentazioni difensive da opporre alle domande
subordinate avversarie (cfr. Cass. 7789/ 06)».

Con specifico riferimento proprio alla medesima
materia qui sub iudice, è stato inoltre ritenuto (Cass.,
12/05/2016, n. 9732) che «In tema di contenzioso tributario, il difetto di
specifica contestazione dei conteggi funzionali alla quantificazione del
credito oggetto della pretesa dell’attore-contribuente, che abbia articolato
istanza di rimborso di un tributo, allorché il convenuto abbia negato
l’esistenza di tale credito, può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti
non incompatibili con le ragioni della contestazione dell'”an
debeatur”, poiché il principio di non contestazione opera sul piano della
prova e non contrasta, né supera, il diverso principio per cui la mancata presa
di posizione sul tema introdotto dal contribuente non restringe il “thema
decidendum” ai soli motivi contestati se sia stato chiesto il rigetto dell’intera
domanda. (Fattispecie relativa alla non contestazione da parte dell’Ufficio dei
dati risultanti dalla documentazione prodotta dal contribuente, in ordine al
rendimento di polizza in presenza di contestazione dell’intera domanda
introdotta).».

Peraltro – fermo restando che lo stesso
controricorrente identifica il «rendimento» con quello determinato in
corrispondenza alla redditività ottenuta sul mercato dall’intero patrimonio
dell’E. s.p.a., ritenuto da questa Corte comunque inidoneo al fine di applicare
l’aliquota del 12,50% (così la citata Cass., n.
10285/2017.Nello stesso senso Cass. n.
5436/2018. Cfr. Cass. n. 4941/18) – questa Corte ha già avuto modo di
chiarire anche che documentazione come quella prodotta dal contribuente,
proveniente dall’E. s.p.a., riprodotta in parte dal controricorrente e
menzionata nella motivazione dal giudice a quo, non è idonea ad assolvere
all’onere probatorio gravante sul contribuente che agisca per ottenere l’accertamento
del suo diritto al preteso rimborso, poiché, come sostenuto nel ricorso per il
quale si procede, non contiene alcuna specificazione sui criteri utilizzati per
la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si tratta
effettivamente di incremento della quota individuale del Fondo attribuita al
dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato (confr. Cass., 21.12.2016, n. 720; Cass.,
15.3.2017, n. 13278; Cass. 16.3.2017, n. 13281). Né comunque – per le
ragioni già esposte in ordine al concetto di «rendimento» che qui rileva-
l’accertamento e la quantificazione del «rendimento», inteso come risultato di
specifiche forme di investimento del capitale sul mercato, effettuate dal
gestore, può derivare dalla mera elaborazione di dati relativi alla differenza
tra l’importo della prestazione liquidata da E. , in misura pari al valore
attualizzato delle future prestazioni previste dall’accordo del 16 aprile 1986,
e quella corrispondente alla somma dei contributi versati e del capitale
iniziale di dotazione della PIA.

Quanto poi alla perizia di parte prodotta dal
contribuente e menzionata nella motivazione della sentenza impugnata, in essa –
così come rilevato dalla CTR nella stessa sentenza (pagg. 7 s.) e dal
contribuente nel controricorso (cfr. pagg. 37 s.) – il rendimento dei
versamenti accantonati è determinato in corrispondenza alla redditività
ottenuta sul mercato dal patrimonio dell’E. s.p.a. (rapporto tra il margine
operativo lordo e il capitale investito). Ma la giurisprudenza di questa Corte
ha già ritenuto che tale coerenza (del rendimento ottenuto dal capitale
accantonato con quello ottenuto dal patrimonio dell’E.) costituisce, comunque
un dato estrinseco e non causale, nel senso che il primo non può comunque considerarsi
frutto dell’investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato, come
richiesto perché abbia a configurarsi il reddito da capitale della specie
richiesta, essendo al contrario esso stesso dipeso da un predeterminato calcolo
di matematica attuariale (così la citata Cass., n.
10285/2017.Nello stesso senso Cass. n.
5436/2018. Cfr. Cass. n. 4941/18).

Pertanto ha comunque errato, per le ragioni appena
esposte, il giudice a quo nel ritenere che, attraverso la perizia in questione,
il contribuente abbia fornito la prova della sussistenza di un «rendimento»,
nel senso del principio di diritto espresso, anche tramite il richiamo di Cass., S.U., n. 13642/2011, dall’ordinanza di
questa Corte che ha cassato con rinvio la precedente decisione della CTR.

2.8. Nel caso concreto sub iudice, l’indimostrata
sussistenza, ai fini dell’applicazione dell’aliquota del 12,50%, di un
«rendimento» netto derivante dall’investimento effettivo delle somme
accantonate sul mercato, è risultata del resto palese allo stesso giudice a
quo, il quale ha infatti ritenuto dimostrata l’esistenza di una specie di
«rendimento» diversa da quella definita nel principio di diritto che doveva
applicare, in quanto derivante dall’impiego del capitale in parola all’interno
dell’azienda» (pagg. 7 s. della sentenza impugnata), piuttosto che generato
dalla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato, come
prescritto invece dall’ ordinanza di legittimità che ha cassato con rinvio.

2.9. Tutto ciò premesso, deve quindi concludersi
che, così come denunciato dall’Agenzia ricorrente, il giudice a quo, non si è
attenuto al principio di diritto laddove ha individuato, al fine dell’applicazione
dell’aliquota del 12,50% e, pertanto, dell’accoglimento della domanda di
rimborso del contribuente, un «rendimento» derivante non dalla gestione sul
mercato del capitale accantonato, ma dall’impiego del capitale in parola
all’interno dell’azienda.

La sentenza impugnata va quindi cassata.

Non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto,
atteso che lo stesso controricorrente identifica, al fine dell’applicazione
dell’aliquota del 12,50 %, il «rendimento» con quello determinato – in base a
criteri di matematica attuariale, in funzione dei vincoli contrattuali assunti
– in corrispondenza alla redditività ottenuta dall’intero patrimonio dell’E.
s.p.a. (pagg. 37 s. e passim nel controricorso). Tuttavia, per quanto già
detto, il «rendimento» netto derivante dall’impiego del capitale in parola
all’interno dell’azienda non integra comunque, al fine che qui interessa, quel
rendimento generato dalla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del
capitale accantonato» prescritto invece dalla sentenza di legittimità che ha
già cassato, con rinvio, la precedente decisione di merito.

Va pertanto rigettato il ricorso introduttivo del
contribuente.

3. Le spese dei precedenti gradi di merito si
compensano e quelle di legittimità seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente,
compensando le spese dei giudizi di merito e condannando il controricorrente al
pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità,
che liquida in Euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

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