Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 novembre 2022, n. 34051
Licenziamento, Obbligo di repechage, Mancata prova
dell’impossibilità di utile ricollocazione lavorativa del dipendente,
Illegittimità, Tutela reintegratoria
Fatti di causa
1. Il giudice di primo grado, pronunziando sulla
domanda di F.P. intesa all’accertamento della nullità/illegittimità del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatogli dalla datrice di
lavoro Associazione Centro E. ed alla reintegra nel posto di lavoro con
condanna al pagamento dell’indennità risarcitoria ex art. 18 della legge n. 300 del
1970, oltre all’ulteriore risarcimento del danno per demansionamento e
mobbing e per le modalità asseritamente ingiuriose di intimazione del recesso,
ha dichiarato risolto tra le parti il rapporto di lavoro e condannato la
convenuta Associazione al pagamento in favore del ricorrente dell’indennità
risarcitoria commisurata sull’ultima retribuzione globale di fatto nella misura
di sedici mensilità, oltre accessori, respingendo ogni altra domanda.
2. La Corte di appello di Roma, pronunziando sugli
appelli proposti da entrambe le parti, riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., rigettato l’appello
dell’Associazione Centro E., in parziale accoglimento dell’appello del P.,
confermata nel resto la decisione di primo grado, ha condannato la datrice di
lavoro al pagamento dell’ulteriore risarcimento del danno, collegato alla
modalità di risoluzione del rapporto, quantificato in via equitativa nella
somma di € 15.000,00 oltre accessori.
3. Il giudice di appello, esclusa la natura
discriminatoria del recesso datoriale prospettata in relazione alla non
appartenenza del P. al mondo dell’Opus Dei al quale facevano capo le attività
dell’Associazione E., escluso il demansionamento e svuotamento di mansioni così
come la configurabilità di una condotta mobbizzante (per essere gli episodi a
tal fine denunziati riconducibili all’ambito della fisiologica dinamica dei
rapporti di lavoro), ha ritenuto effettiva e non simulata la riorganizzazione
attuata dal nuovo Direttore Generale dell’Associazione, espressione della
libertà di iniziativa economica non sindacabile in sede giudiziale nei suoi
profili di congruità e opportunità; la lettera di recesso del 18 maggio 2017
così come la precedente comunicazione inviata ai sensi dell’art. 7 legge n. 604/1966, fra
loro congruenti, indicavano chiaramente la ragione di carattere tecnico –
produttivo giustificativa del licenziamento costituita dalla soppressione della
posizione di Responsabile della Funzione ” Comunicazione istituzionale
E.” rivestita fino a quel momento dal P.; parte datoriale aveva in
giudizio fornito sufficiente ed adeguata dimostrazione della effettività di
tale causale rappresentata dal riassetto organizzativo del settore
Comunicazioni offrendo ulteriore, seppure non necessaria, dimostrazione, della
esigenza di riduzione dei costi, realizzata attraverso la redistribuzione di
una parte di attività tra altri soggetti mentre, quanto all’attività di
relazioni istituzionali, risultavano in atti due proposte di contratto per
l’affidamento ad una società esterna di un piano di comunicazione di un pacchetto
di servizi di comunicazione istituzionale; tanto escludeva la manifesta
insussistenza del motivo oggettivo di licenziamento. In merito al
<<repechage>> il giudice di appello ha rilevato che le
contestazioni svolte dall’Associazione erano del tutto generiche ed inadeguate
a contrastare le allegazioni sviluppate a riguardo da parte ricorrente circa
l’assunzione, in prossimità temporale con il licenziamento, di altri
dipendenti, della presenza nell’organico dell’associazione di dipendenti C.C.,
e, dato atto della esistenza di un unico centro di imputazione fra la
Associazione ed altri soggetti facenti capo alla << galassia E. >>;
l’Associazione non aveva dato prova di ricollocazione del dipendente in una
diversa posizione, anche nel campo della formazione – docenza o in mansioni
inferiori a quelle di appartenenza, come richiesto dal lavoratore in sede di
comparizione delle parti dinanzi alla D.T.L.. Il giudice di appello ha escluso,
infine, che la decisione di sopprimere le mansioni del ricorrente e di licenziarlo,
senza alcun criterio selettivo, fosse da sola sufficiente a comportare
l’applicabilità della tutela reintegratoria; ha quindi ritenuto che le modalità
di licenziamento del dipendente avessero determinato una lesione qualificabile
come danno morale il cui ristoro ha determinato in via equitativa.
4. Per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso F.P. sulla base di sei motivi; la parte intimata ha resistito con
tempestivo controricorso con il quale ha proposto ricorso incidentale affidato
a tre motivi; F.P. ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale.
5. Il PG ha concluso per l’accoglimento, per quanto
di ragione, del primo motivo di ricorso principale, respinto nel resto
unitamente al secondo ed al quinto motivo di ricorso principale, assorbiti gli
altri motivi, e per la declaratoria di improcedibilità o, in subordine, di
rigetto del ricorso o incidentale.
6. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai
sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
Ragioni della decisione
Motivi di ricorso principale
1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente
principale deduce: nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione
di norme di diritto e/o del procedimento, vizio di motivazione, omessa pronunzia
su fatti decisivi per il giudizio (mancata comunicazione dei motivi di
licenziamento, violazione del principio di immodificabilità delle ragioni del
licenziamento, inefficacia del recesso, nullità del licenziamento e obbligo di
reintegra del lavoratore), vizio di attività; violazione e falsa applicazione
dell’art. 2697, cod. civ., degli artt. 2, 3 e 5 della legge n. 604/1966,
dell’art. 18 della legge n.
300/1970, degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., vizio di motivazione per
violazione degli artt. 112, 115 e 116 e dell’art. 2697 cod. civ..
Censura la sentenza impugnata per avere negato la
tutela reintegratoria omettendo di pronunziare o comunque di considerare
adeguatamente molteplici profili di illegittimità del licenziamento enucleati
nel ricorso in appello la cui verifica – asserisce – avrebbe comportato
l’applicazione della tutela ripristinatoria; tali quello relativo alla mancata
indicazione nel provvedimento espulsivo delle ragioni produttive e
organizzative che giustificavano la soppressione del posto di lavoro, con
violazione del principio di immodificabilità delle ragioni a base del recesso
datoriale; quello relativo alla pretestuosità e simulazione del preteso
riassetto organizzativo alla base della soppressione della posizione di lavoro
ricoperta; quello che evidenziava come la posizione di lavoro attualmente
rivestita fosse frutto del conferimento di mansioni superiori per cui la
soppressione del posto di lavoro giammai avrebbe potuto intaccare la posizione
impiegatizia rivestita; quello per cui stante la configurabilità di un unico
centro di imputazione tra l’Associazione E., formale datrice di lavoro ed altri
soggetti facenti parte della <<galassia E.>> comportava che il
venir meno della funzione rivestita per l’Associazione non implicava anche il
venir meno della funzione di comunicazione in relazione agli altri soggetti;
quello relativo alla violazione del principio di correttezza e buona fede di
cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ. nell’individuare il ricorrente come
lavoratore da licenziare tra i lavoratori di pari qualifica e mansioni
fungibili.
2. Con il secondo motivo deduce omesso esame di
fatto decisivo con riguardo al carattere discriminatorio/ritorsivo del
licenziamento, oggetto di discussione fra le parti; deduce inoltre violazione
/o falsa applicazione degli artt.
3 e 4 della legge n. 604/1966, dell’art. 15 della legge n. 300/1970,
dell’art. 3 della legge n.
108/1990 e dell’art. 1324 cod. civ.;
denunzia vizio di motivazione per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ; richiamate le allegazioni e
deduzioni formulate nel giudizio di merito in ordine al carattere
discriminatorio del licenziamento, censura la sentenza impugnata per avere
escluso l’intento discriminatorio alla base del recesso datoriale ed assume che
le conclusioni attinte sul punto dalla Corte di merito erano avulse dalla
realtà fattuale e processuale, frutto di mancato reale approfondimento delle
tematiche sollecitate. Insiste sul fatto che la Corte avrebbe dovuto rilevare
che l’intento discriminatorio non può essere escluso dalla concorrenza di
un’altra finalità e dalla legittimità di altra causale; ribadisce la
sovrapponibilità dell’ufficio di comunicazione istituzionale a quello
marketing; censura, la esclusione del demansionamento che assume
contraddittoriamente negata dal primo giudice pur avendo lo stesso riconosciuto
che alcune attività del dipendente erano state redistribuite ad altri
lavoratori così riconoscendo che vi era stato uno svuotamento; censura inoltre
l’affermazione della Corte di merito per avere ritenuto non contestata la
deduzione di controparte circa la non appartenenza all’Opus Dei di alcuni
colleghi.
3. Con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente
principale deduce omesso esame dei mezzi istruttori, mancata motivazione –
violazione del diritto di difesa; vizio di motivazione, violazione e falsa
applicazione degli artt. 113, 115 e 116 cod. proc.
civ. e dell’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc.
civ. Lamenta il mancato espletamento dei mezzi istruttori finalizzati, in
particolare, a confermare il carattere vessatorio della complessiva condotta
datoriale.
4. Con il quarto motivo di ricorso denunzia omesso
esame su eccezioni pregiudiziali e omessa pronunzia su domande riguardanti
fatti fondamentali del giudizio; vizio di motivazione per violazione dell’art. 132 n. 4 cod. proc civ, e art 118 disp. att. cod. proc. civ, degli artt. 113, 115 e 116 e dell’art. 186
cod. proc. civ. . Si duole in particolare dell’omesso esame del fatto
costituito dalla verosimile manomissione e/o non autenticità di alcuni atti
prodotti dalla parte datoriale con specifico riferimento alla vicenda della
procura del Direttore Generale dell’Associazione, C., esibita in sede di
tentativo di conciliazione presso la Direzione Provinciale; lamenta la
sostanziale omessa pronunzia relativa alla deduzione di nullità/invalidità del
recesso datoriale perché disposto e firmato da un Consigliere privo di legale
rappresentanza dell’ente ed in questa prospettiva si duole che la Corte di
merito non aveva motivato la fonte del suo convincimento in punto di poteri
facenti capo al C. quale Direttore generale.
5. Con il quinto motivo deduce: “risarcimento
del danno ulteriore. Vizio di motivazione” censurando la entità della
somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, somma che assume inadeguata
al pregiudizio subito.
6. Con il sesto motivo, richiamati le deduzioni
relative ai denunziati vizi dell’atto di recesso datoriale, censura la
statuizione di parziale compensazione delle spese di lite che assume dovevano
essere interamente poste a carico dell’Associazione.
Ricorso incidentale
7. Con il primo motivo di ricorso incidentale la
Associazione E. deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 420, comma 5, cod. proc. civ e degli artt. 3 e 5, legge n. 604/1966,
censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto non assolto l’onere di
<<repechage>> gravante sulla datrice di lavoro; sostiene che la
Corte aveva posto a base del processo decisionale un’errata interpretazione
degli artt. 115, 116
e 420, comma 5, cod. proc. civ. in tema di
prove nonché degli artt. 3
e 5 della legge n. 604/1966,
ritenendo che la Associazione si sarebbe limitata sul punto a generiche
contestazione, senza avvedersi che le allegazioni formulate erano stato oggetto
di specifico capitolo di prova capitolo di prova supportato da idonea (ed
ignorata) documentazione.
8. Con il secondo motivo di ricorso incidentale
parte ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 113, 114, 115, 116 cod. proc. civ., censurando la sentenza
impugnata per avere riconosciuto il diritto del P. al risarcimento del danno
connesso alle modalità di intimazione del recesso.
9. Con il terzo motivo di ricorso incidentale deduce
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18, commi 5 e 7, legge n.
300/1970 censurando la sentenza impugnata per avere determinato la
indennità risarcitoria sulla base di un criterio non conforme al parametro
legale. La Corte di merito aveva, infatti, pretermesso di considerare a tal
fine l’anzianità del lavoratore, il numero dei dipendenti occupati e le
condizioni delle parti nonché le iniziative assunte dal lavoratore per la
ricerca di una nuova occupazione.
Esame dei motivi di ricorso principale ed
incidentale
10. Preliminarmente devono essere disattese le
eccezioni di inammissibilità del controricorso con ricorso incidentale
formulate dal P. che nel controricorso avverso il ricorso incidentale ha
denunziato: a) la anomalia della relata di notificazione del controricorso con
ricorso incidentale, effettuata a mezzo p.e.c., per avere il ricorrente
attestato di trasmettere atti nativi digitali in PDF mentre l’atto nativo non
nasceva in formato PDF ma in formato testuale poi trasformato in PDF; b)
l’assenza nella relazione di notificazione della attestazione di conformità
della procura speciale all’originale analogico.
10.1. Invero, in relazione al primo profilo, in
assenza di specifiche contestazioni in ordine alla non conformità del contenuto
dell’atto inviato all’originale depositato, deve escludersi la nullità della
notificazione alla luce del principio di strumentalità delle forme, per avere
comunque l’atto raggiunto il suo scopo (Cass. Sez. Un. n. 23620/2018); in
relazione al secondo profilo deve escludersi la dedotta causa di
improcedibilità del controricorso con ricorso incidentale, configurandosi una
mera irregolarità per essere la procura alle liti stata depositata, unitamente
al controricorso con ricorso incidentale, in originale nel fascicolo di ufficio
(Cass. Sez. Un. n. 29175/2020).
10.2. Sempre in via preliminare deve essere rilevata
la inammissibilità della eccezione di inammissibilità ed improcedibilità della
costituzione nel presente giudizio dell’Associazione E., formulata dal P. per
la prima volta nella memoria in data 25 ottobre 2021, ancorata ad una pretesa
rinunzia all’azione di controparte, asseritamente desumibile dal comportamento
processuale della stessa in relazione ad altro giudizio dalla stessa instaurato
e poi abbandonato, avente ad oggetto la impugnazione della sentenza di primo
grado II rilievo di inammissibilità si collega alla funzione meramente
illustrativa e non integrativa della memoria rispetto alle difese sviluppate
nell’atto di impugnazione o nel controricorso (Cass. 18/12/2014, n. 26670; Cass. 15/03/2002, n. 3861).
11. Il primo motivo del ricorso principale presenta
alcuni profili di inammissibilità. Un primo profilo deriva dalle modalità di
articolazione delle censure, connotate la mescolanza e sovrapposizione di mezzi
di impugnazione eterogenei, formulati senza adeguata indicazione di quale
errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi tra quelli
tipicamente indicati, che rimettono in definitiva al giudice di legittimità
l’enucleazione delle singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle
ad uno dei mezzi d’impugnazione, come non consentito (Cass. 26/11/2021, n.
36881; Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 10/02/2017, n. 3554; Cass. 14/09/2016, n. 18021).
11.1. Un secondo profilo di inammissibilità
scaturisce, in relazione alle censure fondate sulla inadeguatezza e
incompletezza del contenuto della lettera di licenziamento dalla mancata
trascrizione o esposizione per riassunto del relativo contenuto, in violazione
dell’art. 366, comma 1, n 6, cod. proc. civ.
(Cass. 13/11/2018, n. 29093; Cass. 19/08/2015, n. 16900; Cass. 11/01/2016 n.
195; Cass. 12/12/2014 n. 26174; Cass. 24/10/2014 n. 22607; Cass. Sez. Un.
25/03/2010, n. 7161).
11.2. Un terzo profilo di inammissibilità si ravvisa
nel fatto che la contestazione delle conclusioni attinte dal giudice di merito
in punto di adeguatezza della lettera di recesso a dare contezza delle ragioni
a base del giustificato motivo di licenziamento si sostanzia in una mera
contrapposizione valutativa all’apprezzamento del giudice di merito, non
riconducibile ad alcuno degli specifici vizi per i quali è consentito il
ricorso in cassazione che costituisce una impugnazione a critica vincolata.
11.3. La questione relativa al carattere <<
superiore>> delle mansioni da ultimo svolte dal P. rispetto al formale
inquadramento non è stata specificamente affrontata dalla Corte di merito per
cui, implicando tale questione un accertamento di fatto, per evitare la
inammissibilità della stessa per violazione del divieto di novum, doveva
dimostrarne la rituale deduzione nelle fasi di merito Cass. 09/08/2018, n.
20694; Cass. 13/06/2018, n. 15430; Cass. 18/10/2013, n. 23675/2013) come,
viceversa, non avvenuto.
11.4. Per contro, le censure sollevate nell’ambito
di questo motivo e incentrate sul diritto del P. alla tutela reintegratoria,
collegato alla mancata dimostrazione da parte dell’Associazione E. della
impossibilità di utile ricollocazione lavorativa del dipendente devono essere
accolte in conformità dell’attuale assetto normativo delineato dall’art. 18, legge n. 300/1970
quale definito dalle sentenze della Corte
costituzionale n. 59 del 2021 e n. 125 del
2022, successive al deposito dell’impugnazione.
11.5. Costituisce infatti principio consolidato
nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale l’efficacia delle
sentenze dichiarative dell’illegittimità costituzionale di una norma di legge,
come quelle sopra citate, non si estende ai soli rapporti già esauriti per
formazione del giudicato o per essersi comunque verificato altro evento cui
l’ordinamento ricollega il consolidamento del rapporto medesimo, dispiegando
piena efficacia in tutte le altre ipotesi (Cass. 18/02/2003, n. 2406; Cass.
01/02/2002, n.1277; Cass Cass. 13/02/1999, n. 1203; Cass. 29/03/1974, n. 891).
11.6. e richiamate sentenze costituzionali sono
intervenute sul precedente quadro normativo relativo al tipo di tutela
applicabile in presenza di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo
del quale sia dichiarata la illegittimità <per insussistenza del fatto>
alla base dello stesso.
In particolare, la sentenza della Corte costituzionale n. 59 del 2021 ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma,
secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300
come modificato dall’art. 1, comma
42, lettera b) della legge 28 giugno 2012, n. 92 nella parte in cui prevede
che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a
base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì
applicare» – invece che «applica altresì» – la disciplina di cui al medesimo art. 18, quarto comma.
La sentenza
costituzionale n. 125/2022, con prospettiva ancor più radicale, ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo
periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno
2012, n. 92 limitatamente alla parola «manifesta».
11.7. Il testo dell’art. 18 comma 7, legge n. 300/1970
quale risultante all’esito degli interventi della Corte costituzionale comporta
che in ipotesi di insussistenza del fatto alla base del giustificato motivo
oggettivo di licenziamento il giudice deve applicare la tutela di cui al comma
4 dell’art. 18 quale
risultante dalla novella della legge
n. 92/2012 implicante la reintegra del lavoratore ed il pagamento di
un’indennità risarcitoria nei limiti definiti dal comma medesimo.
11.8. Per orientamento consolidato di questa Corte,
riaffermato anche nel vigore della modifica al testo dell’art. 18 St. lav. introdotta
dalla legge n. 92/2012, fatto costitutivo del
giustificato motivo oggettivo è rappresentato sia dalle ragioni inerenti
all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare
funzionamento di essa sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore
(cd. “repechage”) (v. tra le altre, Cass.
20/10/2017 n. 24882; Cass. 05/01/2017, n. 160;
Cass. 13/06/2016, n. 12101) e tale
ricostruzione è stata avallata dalla Corte costituzionale la quale, nella sentenza n. 125/2022 cit., dopo avere ricordato
che è onere del datore di lavoro dimostrare i presupposti legittimanti il
licenziamento, alla luce dell’art.
5 della legge 15 luglio 1966, n. 604, che completa e rafforza, sul versante
processuale, la protezione del lavoratore contro i licenziamenti illegittimi,
con riferimento al licenziamento intimato per «ragioni inerenti all’attività
produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa»
(art. 3 della legge n. 604 del
1966) ha precisato che << Il fatto che è all’origine del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo include tali ragioni e, in via
prioritaria, il nesso causale tra le scelte organizzative del datore di lavoro
e il recesso dal contratto, che si configura come extrema ratio, per
l’impossibilità di collocare altrove il lavoratore >>.
11.9. L’accoglimento, per quanto di ragione, del
primo motivo di ricorso principale, con conseguente cassazione <<in parte
qua>> della sentenza
impugnata comporta l’assorbimento delle censure sviluppate con il sesto motivo
di ricorso principale e con il terzo motivo di ricorso incidentale.
12. I motivi secondo, terzo, quarto e quinto del
ricorso principale ed i motivi primo e secondo del ricorso incidentale sono
tutti inammissibili.
13. Invero il secondo motivo di ricorso principale è
inammissibile per essere le censure articolate fondate su un mero rinvio
<<per relationem>> agli atti e documenti di causa tale da non
consentire al giudice di legittimità la verifica di fondatezza delle censure
articolate sulla base del solo esame del ricorso per cassazione come, invece,
prescritto (Cass.09/07/2004, n. 12761; Cass. Sez. Un. 02/02/2003, n. 2602;
Cass. 30/03/2001, n. 4743).
14. Il terzo motivo di ricorso è anch’esso
inammissibile per violazione del principio di autosufficienza nella evocazione
degli atti alla base delle censure; in particolare manca la trascrizione delle
circostanze capitolate ai fini dell’espletamento della richiesta prova orale in
assenza della indicazione dello specifico compendio allegatorio che era
destinata a sorreggere la valutazione relativa alla rilevanza e ammissibilità
della prova orale.
15. Il quarto motivo di ricorso principale è
anch’esso inammissibile stante l’evocazione degli atti alla base delle censure
mediante mero rinvio <<per relationem >> e quindi in violazione
dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ.,per
cui si richiama la giurisprudenza di legittimità citata al paragrafo 11.1; il
motivo, inoltre, non si confronta specificamente con le ragioni della decisione
atteso che la Corte di merito non ha omesso di pronunziare ma si è limitata a
ritenere assorbita “considerato l’esito del giudizio” l’eccezione
relativa alla nullità del licenziamento in quanto disposto dal Direttore
Generale, C., e l’altra questione, relativa alla mancata consegna dei documenti
di lavoro e fiscali al lavoratore, non oggetto di domanda di merito, di talché
costituiva onere della parte impugnare la pronunzia di assorbimento, come non
avvenuto.
16. Il quinto motivo di ricorso principale è
inammissibile sia per la modalità di redazione delle censure, che si limitano
ad un mero rinvio <<per relationem>> agli atti di causa, per cui si
richiama quanto osservato al punto 11.1. sia perché le doglianze articolate si
risolvono nella prospettazione, peraltro generica, di un diverso apprezzamento
circa la adeguatezza del risarcimento liquidato; esse sollecitano un sindacato di
merito non consentito al giudice di legittimità per non essere le concrete
doglianze riconducibili ad alcuno dei vizi per i quali, ai sensi dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., è consentita
la cassazione della decisione.
17. Il primo motivo di ricorso incidentale è
inammissibile.
17.1. La sentenza impugnata ha ritenuto che la
difesa dell’Associazione in punto di <<repechage>> si era fondata
su mere asserzioni delle quali ha rilevato da un lato la contraddittorietà e
dall’altro la genericità; secondo il giudice del reclamo la riscontrata carenza
allegatoria escludeva implicitamente la idoneità della prova offerta.
17.2. Ciò posto, la questione della mancata
ammissione in primo grado della prova orale articolata dall’Associazione
convenuta non è stata espressamente affrontata dalla sentenza impugnata per cui
la odierna ricorrente incidentale, onde evitare la inammissibilità della
censura per violazione del divieto di novum doveva dimostrare in termini
autosufficienti di averla riproposta in seconde cure ( per cui si richiama
quanto osservato al punto 11.3.). A tal fine non soccorre la esposizione dei
<< fatti di causa>> come effettuata nella parte espositiva del
controricorso con ricorso incidentale (v. in particolare pagg. 4 e 19), in
difetto di specificazione dell’atto difensivo nel quale le allegazioni
riportate erano formulate; in particolare, non è specificato se esse erano
riferibili alla memoria di costituzione di primo grado o al ricorso in appello.
Le ulteriori deduzioni formulate risultano anch’esse inammissibili in quanto
intese a sollecitare un sindacato di merito, precluso al giudice di
legittimità.
18. Il secondo motivo di ricorso incidentale è
anch’esso inammissibile sia per difetto di autosufficienza in relazione alla
deduzione relativa alla omessa pronunzia e per l’inidoneità del rinvio
<<per relationem>> agli atti del giudizio.
18.1. Come chiarito da costante giurisprudenza di
legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il
giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente
apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso,
che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei
loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto,
con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di
udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la
verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo
luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo
detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto
processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in
quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il
ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli
compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca,
ma solo alla verifica degli stessi (v. tra le altre, Cass. 14/10/2021).
19. In conclusione, in base alle considerazioni che
precedono, si impone l’accoglimento, per quanto di ragione, del primo motivo di
ricorso principale, assorbito il sesto motivo di ricorso principale ed il terzo
motivo del ricorso incidentale e la declaratoria di inammissiblità degli
ulteriori motivi di ricorso principale e incidentale. Al parziale accoglimento
del ricorso principale consegue la cassazione in parte qua della decisione
impugnata con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione per
il riesame della fattispecie alla luce del modificato quadro normativo in tema
di tutela applicabile per l’ipotesi di illegittimità del licenziamento per
insussistenza del fatto quale definito dai richiamati interventi del giudice
costituzionale.
Alla Corte di rinvio è demandato il regolamento
delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie per quanto di ragione il primo motivo di
ricorso principale, dichiara inammissibili il secondo, il terzo, il quarto e il
quinto motivo di ricorso principale, assorbito il sesto motivo del ricorso
principale e il terzo motivo del ricorso incidentale; dichiara inammissibili il
primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata
in relazione al motivo accolto e rinvia anche ai fini del regolamento delle
spese di lite alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.