L’interpretazione contratti integrativi e dei regolamenti è riservata al giudice di merito.
Nota a Cass. (ord.) 07 novembre 2022, n. 32697
Francesca Albiniano
La Corte di Cassazione (ord.) 7 novembre 2022, n. 32697 ribadisce il principio consolidato in giurisprudenza secondo cui, ai sensi dell’art. 63, D.LGS. n. 165/2001 e dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., come mod. dal D.LGS. n. 40/2006, “la denuncia della violazione e falsa applicazione dei contratti collettivi di lavoro è ammessa solo con riferimento a quelli di carattere nazionale, per i quali è previsto il particolare regime di pubblicità di cui all’art. 47, co. 8, D.LGS. n. 165 del 2001, mentre i contratti integrativi, attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e nei limiti stabiliti dal contratto nazionale, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, se pure parametrati al territorio nazionale in ragione dell’amministrazione interessata, hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al comparto, con la conseguenza che la loro interpretazione è riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione, nei limiti fissati dall’art. 360, n. 5, c.p.c.” (cfr., fra tante, Cass. n. 33312/2018; Cass. n. 20917/2019; Cass. n.7568/2020; e Cass. n. 25626/2020).
Anche le disposizioni regolamentari non hanno valore di norme giuridiche (v. Cass. n. 9239/2011; Cass. n. 26457/2017) in quanto esauriscono la loro operatività ed efficacia nell’ambito dell’attività interna degli enti. Ne consegue che, in relazione all’interpretazione di tali disposizioni, la sentenza di merito non è censurabile in sede di legittimità se non per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione.
Nella fattispecie, la Corte di Appello di Roma, in linea con i giudici di legittimità, aveva respinto la domanda proposta da un funzionario di terza area con posizione di «capo team» delle Agenzie delle Entrate il quale, nel convenire in giudizio l’Agenzia stessa, aveva chiesto l’annullamento della «nota di qualifica negativa» adottata a seguito di procedimento di valutazione dell’attività in relazione all’anno 2010 ed il riconoscimento del suo diritto a ottenere una valutazione superiore. Nello specifico, il ricorso si basava sulla violazione, falsa, errata applicazione dell’art. 5, lett. d), D.LGS. n. 150/2009, dell’art. 19 CCNI, e dell’allegato B, del CCNI, dell’art. 18, Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. Il lavoratore aveva sostenuto che la Corte distrettuale, facendo leva sulla nota prot. n. 2011/36651, che consentiva la valutazione della prestazione purché di durata pari ad almeno 90 giorni, era andata “in evidente contrasto con norme di legge” (i.e. con l’art. 5, co. 2, lett. d, cit.) e con i principi di “massimo dell’efficienza, trasparenza e oggettività” di cui all’art. 18, Regolamento di Amministrazione nonché con il disposto di cui all’art. 19 CCNI e allegato B del CCNI.