Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 novembre 2022, n. 44865
Cooperativa Agricola, Reato ambientale, Art. 256, d.lgs. n.
152 del 2006, Mancata diligenza nella gestione dei rifiuti aziendali,
Responsabilità dell’imprenditore
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza del 18 febbraio 2022 il Tribunale
di Brindisi ha condannato A.M. alla pena di € 10.000 di ammenda per il reato di
cui al capo A), qualificato ex art. 256, comma 2, con riferimento al comma 1,
lett. a), d.lgs. n. 152 del 2006, per avere, in qualità di legale
rappresentante della cooperativa Agricola «C.D.P.», effettuato un deposito
incontrollato di rifiuti non pericolosi (rifiuti da demolizione, da potature di
piante, plastici), in violazione della disciplina prevista dal titolo IV d.lgs.
n. 152 del 2006 (in C.S.M. fino al 3 luglio 2018).
È stata, invece, emessa sentenza di non doversi
procedere per il reato ex art. 256 d.lgs. n. 152 del 2006 di cui al capo B)
perché estinto ex art. 318 -septies.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per
cassazione il difensore dell’imputato.
2.1. Dopo aver ricostruito l’iter del procedimento,
con il primo motivo si deducono l’erronea applicazione dell’art. 318-sexies
d.lgs. n. 152 del 2006, l’improcedibilità dell’azione penale, la nullità del
decreto di citazione a giudizio per violazione dell’art. 178, comma 1, cod.
proc. pen. e l’assenza di motivazione.
Ex art. 318-bis d.lgs. n. 152 del 2006, sin dal 24
luglio 2018, il ricorrente avrebbe richiesta di «risolvere il problema»
mediante il prelievo e lo smaltimento del materiale di cui al capo A).
Dopo la notifica dell’avviso ex art. 415-bis cod.
proc. pen., il 20 novembre 2018 il difensore depositò una memoria in cui, oltre
ad esporre le ragioni di merito, si reiterò l’istanza di accesso al
procedimento incidentale ex artt. 318-bis e ss. d.lgs. n. 152 del 2006 per
entrambi i capi di imputazione indicati nell’avviso.
Il Pubblico ministero presentò analoga richiesta,
seppur riferita solo al capo B), con nota del 1 ottobre 2018, quindi
antecedentemente all’emissione dell’avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen. Le
due richieste non sarebbero state esitate; di conseguenza, l’imputato eccepì
l’improcedibilità dell’azione penale.
Il rigetto dell’eccezione sarebbe avvenuto, da parte
del Tribunale, con una motivazione non condivisibile: la procedura sarebbe
attivabile anche su istanza di parte. Inoltre, il Tribunale avrebbe
erroneamente sostenuto che il Pubblico ministero sia autorizzato ad esercitare
l’azione penale in quanto l’art. 318 -sexies d.lgs. n. 152 del 2006
consentirebbe di compiere alcune attività processuali; invece, l’elencazione delle
attività consentite dall’art. 318 -sexies sarebbe tassativa e non suscettibile
di interpretazione estensiva.
La sospensione del procedimento, prevista dalla
norma, sarebbe necessaria in base alla ratio legis ed al testo normativo, non
facoltativa; la mancata sospensione del procedimento determinerebbe la nullità
ex art. 178, comma 1, cod. proc. pen. del decreto di citazione a giudizio.
La motivazione sarebbe, poi, viziata nella parte in
cui ha ritenuto che l’imputato non avrebbe subito un vulnus, essendo stata
ammessa la procedura con riferimento al capo B); invece, la richiesta di
sospensione sarebbe stata proposta per entrambi i capi di imputazione e
l’imputato sarebbe stato sottoposto ad un inutile dibattimento. Non sarebbe
condivisibile la tesi sul rigetto implicito della richiesta della difesa da
parte del Pubblico Ministero che avrebbe l’obbligo di risposta.
2.2. Con il secondo motivo si deducono l’erronea
applicazione dell’art. 318-sexies d.lgs. n. 152 del 2006, l’omessa
dichiarazione di estinzione del reato di cui al capo A) e l’assenza di
motivazione.
A seguito della richiesta di adesione alla procedura
ex artt. 318-bis ss. d.lgs. n. 152 del 2006, il 20 gennaio 2020 il Tribunale
emanò un’ordinanza in cui chiariva che la procedura era ammessa anche con
riferimento al capo A), salvo poi limitarla al solo capo B) a seguito di
un’informativa del 2 marzo 2020, da cui sarebbe generato un altro procedimento,
non ancora deciso.
Il Tribunale non avrebbe considerato che
l’accertamento del rispetto delle prescrizioni impartite sul capo B), avrebbe
prodotto i suoi effetti anche per il capo A), poiché la bonifica avrebbe
riguardato lo stesso suolo ed i rifiuti già presenti.
2.3. Con il terzo motivo si deducono l’erronea
applicazione dell’art. 256 d.lgs. n. 152 del 2006 sulla qualificazione quali
rifiuti del materiale sequestrato e l’assenza di motivazione sul punto.
Alcuni materiali (raspi, fecce e vinacce) indicati
nel capo di imputazione non sarebbero rifiuti, sicché non si configurerebbe il
reato ex art. 256 d.lgs. n. 152 del 2006; altri materiali non sarebbero
riconducibili al ricorrente (residui di ristrutturazione e plastica). Sarebbe
stata depositata all’udienza del 18 febbraio 2022 una memoria, trasmessa anche
al Pubblico Ministero nell’ambito di un secondo procedimento, sulla natura dei
raspi e fecce in base alla normativa regionale.
Il Tribunale avrebbe ritenuto la natura di rifiuti
perché relativi all’attività imprenditoriale, mentre avrebbe dovuto valutare
tutto il materiale ai fini della rilevanza penale; inoltre, i materiali di
plastica e di ristrutturazione non sarebbero riconducibili alla produzione
vinicola, sicché rispetto a questi o non vi sarebbe la condanna o mancherebbe
la motivazione.
2.4. Con il quarto motivo si deducono l’erronea
applicazione dell’art. 256 d.lgs. n. 152 del 2006 e l’assenza di motivazione
sull’ascrivibilità della condotta.
La responsabilità dell’imputato sarebbe stata
ritenuta perché il suolo era di proprietà della società, perché parte dei
rifiuti sarebbero derivati dal processo produttivo dell’azienda e sulla
mancanza di diligenza nella gestione dei rifiuti aziendali. Tale conclusione
contrasterebbe con la giurisprudenza che affermerebbe che, ai fini della
configurazione del reato, non sia sufficiente solo una colpevole inerzia o una
condotta omissiva.
Inoltre, i rifiuti per cui è intervenuta la condanna
sarebbero estranei al ciclo produttivo. Il ricorrente, una volta constatata la
rottura del lucchetto di accesso, avrebbe sporto immediatamente denuncia,
inserita nel fascicolo del Pubblico Ministero: sul punto si deduce il
travisamento della prova per omissione.
Il teste L. avrebbe confermato tale ricostruzione
dei fatti.
Pertanto, mancherebbe la motivazione
sull’attribuzione della responsabilità per i materiali estranei al ciclo
produttivo, tenuto conto anche che sul suolo sarebbe stato trovato un documento
(foto n.30) da cui emergerebbe che i rifiuti sarebbero stati collocati da
altri.
2.5. Con il quinto motivo si deducono i vizi di
violazione di legge e di mancanza della motivazione sul rigetto della richiesta
di applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. Il Tribunale non avrebbe motivato
sulle modalità della condotta ostative al riconoscimento del beneficio;
eccessivo sarebbe il riferimento al pericolo cagionato, trattandosi di materiale
biodegradabile spostato dal sito e stoccato in cassoni; mancherebbe la
motivazione sulla gravità della lesione del bene giudico.
Sarebbe irrilevante il riferimento alla reiterazione
del reato, atteso che il reato di cui al capo b) è stato estinto con
apprezzabile condotta; l’altro procedimento ascritto all’indagato sarebbe in
una fase embrionale.
Il Tribunale avrebbe dovuto applicare la causa di
non punibilità ex art. 131- bis cod. pen. poiché il materiale rilevante sarebbe
solo quello costituito da residui di demolizione e plastica, per circa due
metri cubi.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo è manifestamente infondato perché
contrario al costante orientamento della giurisprudenza – cfr. da ultimo Sez.
3, n.19666 del 27/04/2022, A., non massimata – secondo cui in tema di reati
ambientali, l’omessa indicazione all’indagato, da parte dell’organo di
vigilanza o della polizia giudiziaria, ai sensi degli artt. 318-bis e ss. del
d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, delle prescrizioni la cui ottemperanza è
necessaria per l’estinzione delle contravvenzioni, non è causa di
improcedibilità dell’azione penale (si veda anche Sez. 3, n. 49718 del
25/09/2019, F., Rv. 277468; Sez. 3, n. 38787 dell’08/02/2018, D.T., non
massimata).
1.1. Secondo il costante orientamento della
giurisprudenza, gli artt. 318-ter e ss. d.lgs. n. 152 del 2006 non stabiliscono
affatto che l’organo di vigilanza o la polizia giudiziaria debbano
obbligatoriamente impartire una prescrizione per consentire al contravventore
l’estinzione del reato, vuoi perché non vi è alcunché da regolarizzare, vuoi
perché la regolarizzazione è già avvenuta ed è congrua, con la conseguenza che
l’eventuale mancato espletamento della procedura di estinzione non comporta
l’improcedibilità dell’azione penale.
La norma, espressamente, non afferma che la
procedura ex art. 318-ter e ss. d.lgs. n. 152 del 2006 configuri una condizione
di procedibilità dell’azione penale.
1.2. La sentenza A. ha, altresì, fatto riferimento
anche alle sentenze della Corte costituzionale; con la n. 76 del 2019 è stata
dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.
318-septies, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui prevede che
l’adempimento tardivo, ma comunque avvenuto in un tempo congruo a norma dell’art.
318 -quater, comma 1, d.lgs. n. 152 n. 2006, ovvero l’eliminazione delle
conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da
quelle indicate dall’organo di vigilanza, sono valutati ai fini
dell’applicazione dell’art. 162-bis cod. pen., e determinano una riduzione
della somma da versare alla metà del massimo dell’ammenda prevista per il reato
in contestazione, anziché a un quarto del medesimo ammontare massimo, come
invece disposto dall’art. 24, comma 3, d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 nel caso
di contravvenzione alle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Con la sentenza n. 238 del 2020, la Corte
costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 318-octies d.lgs. n. 152 del 2006 nella parte in cui
prevede che la causa estintiva del reato, contemplata nel precedente art.
318-septies, non si applichi ai procedimenti penali in corso alla data di
entrata in vigore della Parte Sesta-bis, introdotta nel codice dell’ambiente,
dall’art. 1, comma 9, della legge 22 maggio 2015, n. 68.
La Corte costituzionale ha compiutamente analizzato
la procedura disegnata dagli artt. 318-ter ss. d.lgs. n. 152 del 2006
evidenziandone gli stringenti punti di contatto con disciplina prevista dagli
artt. 20 ss. d.lgs. n. 758 del 1994 per la
violazione delle norme di prevenzione degli
infortuni sul lavoro – e non risulta che sia stato affermato che il previo
esperimento della procedura relativa all’oblazione amministrativa ambientale si
ponga quale condizione di procedibilità dell’esercizio dell’azione penale.
1.3. Come afferma la sentenza A., l’interpretazione
che esclude trattarsi di una condizione di procedibilità è in linea con la
giurisprudenza sulla speculare disciplina antinfortunistica che ha costantemente
affermato che l’omessa indicazione, da parte dell’organo di vigilanza, delle
prescrizioni di regolarizzazione non è causa di improcedibilità dell’azione
penale (Sez. 3, n. 3671 del 30/11/2017, dep. 2018, V., Rv. 272454; Sez. 3, n.
7678 del 13/1/2017, B., Rv. 269140).
2. Il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto
motivo sono inammissibili ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen. in quanto
deducono il vizio di violazione di legge processuale ex art. art. 606, lett.
c), cod. proc. pen. con riferimento a questioni sostanziali.
Tali motivi sono, altresì, manifestamente infondati
laddove deducono il vizio di motivazione mancante o apparente avendo il
Tribunale, con ampia motivazione, analizzato tutti i punti dedotti nel ricorso.
3. Il secondo motivo, con cui si deduce il vizio di
violazione di legge sostanziale, è manifestamente infondato: il Tribunale ha
correttamente spiegato le ragioni per le quali per il reato di cui al capo a)
la procedura estintiva non è stata dichiarata: in particolare, (cfr. pag. 12-13
della sentenza) il Tribunale ha rappresentato che risulta provato che
l’eliminazione delle conseguenze del reato non era avvenuta, poiché, al
contrario, erano emersi altri fatti reato a carico dell’imputato. La decisione
si fonda, pertanto, su un accertamento di merito qui non rivalutabile.
4. Il terzo motivo, con cui si deduce il vizio ex
art. 606, lett. b), cod. proc. pen. con riferimento alla qualificazione del
materiale sequestrato di cui al capo a) quale rifiuto, è inammissibile per il
difetto del requisito della specificità estrinseca poiché non si confronta con
la motivazione della sentenza che nelle pagine 13 e 14 ha correttamente
indicato perché i materiali ritrovati costituiscono dei rifiuti.
I motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili
quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni, di fatto o di
diritto, poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del
15/02/2013, S., Rv. 255568). L’atto di impugnazione non può infatti ignorare le
ragioni del provvedimento censurato (così in motivazione Sez. U, n. 8825 del
27/10/2016, G., Rv. 268822) in quanto la funzione tipica dell’impugnazione è
quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce che
si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di
inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), debbono indicare
specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono
ogni richiesta.
Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è
indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle
ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le
argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.
5. Il quarto motivo, sulla ascrivibilità della
condotta, prospetta nella prima parte questioni di merito ed in fatto con cui
si critica l’adeguatezza della valutazione delle prove compiuta dal giudice di
merito proponendo alla Corte una lettura alternativa; la rilettura delle fonti
di prova è estranea al sindacato di legittimità.
Il motivo è, poi, inammissibile per il difetto del
requisito della specificità estrinseca laddove afferma che il Tribunale avrebbe
condannato l’imputato per la responsabilità oggettiva. Sulla sussistenza
dell’elemento soggettivo del reato il Tribunale ha argomentato a pagina 18 e
con tale motivazione il ricorso non si confronta in alcun modo.
La tesi difensiva, sull’apposizione del lucchetto, è
stata esplicitamente analizzata dal Tribunale, così come non sussiste il
dedotto travisamento della prova per omissione avendo il Tribunale valutato la
deposizione del teste L..
Quanto al citato documento, va ricordato che il
vizio della motivazione per il travisamento della prova sussiste solo se
l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio,
rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa
dell’elemento frainteso o ignorato.
Nel ricorso non si dimostra in alcun modo perché il
ritrovamento di un foglio proveniente da terzi sul posto renderebbe del tutto
illogica l’ampia motivazione del Tribunale sulla responsabilità dell’imputato.
6. Il quinto motivo è infondato.
6.1. Va ribadito il principio per cui – cfr. Sez. 6,
n. 55107 del 08/11/2018, M., Rv. 274647 – 01 – ai fini dell’applicabilità della
causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto,
prevista dall’art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità dell’offesa
dev’essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma
primo, cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di
valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti
rilevanti.
Si è affermato, altresì, che ai fini dell’esclusione
della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è da ritenersi
adeguata la motivazione che dia conto dell’assenza di uno soltanto dei
presupposti richiesti dall’art. 131-bis ritenuto, evidentemente, decisivo (Sez.
3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta, Rv. 273678 – 01).
6.2. Il Tribunale ha indicato gli elementi di fatto
(a pag. 18, ma la motivazione sul punto richiama la ricostruzione del fatto) in
base ai quali ha ritenuto la gravità della condotta: il rigetto della richiesta
difensiva è avvenuto, pertanto, in base ad uno degli elementi di valutazione
dell’art. 133 cod. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.