Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 novembre 2022, n. 34660
Pubblico impiego, Docenti, Contratti a termine,
Illegittimità, Successiva immissione in ruolo, Risarcimento del danno,
Diritto, Esclusione
Rilevato che
1. la Corte d’appello di Trieste, nella dichiarata
contumacia degli appellanti, ha accolto parzialmente l’appello del Ministero
dell’istruzione, dell’università e della ricerca e respinto la domanda proposta
dai docenti odierni ricorrenti in ordine al risarcimento del danno conseguente
ad illegittimità dei contratti a termine stipulati con l’amministrazione,
avendo il Ministero comunque rinunciato alla domanda di restituzione delle
somme corrisposte per effetto della sentenza di primo grado;
2. per quanto qui rileva, la Corte territoriale, in
conformità al consolidato indirizzo assunto da questa Corte con le decisioni
assunte nella camera di consiglio del 16 ottobre 2016 (con espresso richiamo,
in particolare, alla sentenza n. 22552 del 2016), ha rilevato che tutti gli
attori risultavano assunti in ruolo già nel corso del giudizio di primo grado,
a seguito di una serie di contratti a termine della durata superiore a tre
anni; di conseguenza, la domanda di condanna del Ministero al risarcimento del
danno non era fondata perché veniva in rilievo un rapporto ormai stabilizzato,
in difetto di prova sul danno diverso ed ulteriore, non avendo
l’amministrazione impugnato la statuizione del giudice di primo grado in ordine
al riconoscimento dell’anzianità pregressa;
3. avverso tale sentenza ricorrono i docenti
indicati in epigrafe articolando quattro motivi;
4. il Ministero non ha svolto attività difensiva;
5. i ricorrenti hanno depositato memoria e nota
spese.
Considerato che
1. con il primo motivo i ricorrenti denunciano la
violazione e falsa applicazione dell’art. 16 ter del d.l. n. 179 del 2012,
dell’art. 3 bis della l. n. 53 del 1994 e dell’art. 156 cod. proc. civ., in
quanto la notificazione del ricorso in appello era stata effettuata a mezzo PEC
ad un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello risultante
dal Reginde, sebbene nella relata della notificazione l’avvocato dello Stato
avesse attestato di aver estratto l’indirizzo PEC utilizzato per la notifica
dal predetto elenco;
2. con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la
violazione e falsa applicazione degli artt. 350 e 434 cod. proc. civ., per
violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa;
3. con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la
violazione e falsa applicazione dell’art. 291 cod. proc. civ. in ordine alla
errata dichiarazione di contumacia;
4. con il quarto motivo i ricorrenti denunciano la
violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, in
punto di risarcimento da abuso di contratti a termine;
5. i primi tre motivi, che possono essere valutati
unitariamente in quanto complessivamente intesi a censurare la decisione
impugnata per l’erronea dichiarazione di contumacia a fronte della denunciata
nullità della notifica eseguita a mezzo PEC, sono inammissibili, in quanto non
è stata neppure indicata la data in cui sarebbe stata effettuata la notifica in
contestazione (elemento neppure desumibile dalla sentenza impugnata ed
essenziale ai della verifica del vizio denunciato, e, segnatamente, della
correttezza dell’indirizzo PEC utilizzato per la notifica al momento del
compimento dell’atto, dovendosi comunque evidenziare che ciò che rileva non è
tanto la comunicazione della PEC da parte del Consiglio dell’ordine, quanto le
risultanze del pubblico registro al momento della notifica) nonché gli
ulteriori elementi per la valutazione della censura ex actis, secondo
l’indirizzo consolidato di questa Corte («In tema di ricorso per cassazione,
l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto
alla S.C. ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone
l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto
del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono
di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto,
così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto
svolgimento dell’ “iter” processuale senza compiere generali verifiche degli
atti.»: Cass. Sez. 6-1, 25/09/2019, n. 23834);
6. il quarto motivo è infondato, come da consolidata
interpretazione di questa Corte – dalla quale non si ravvisano motivi per
discostarsi – secondo cui «Nel settore scolastico, l’immissione in ruolo,
realizzata in forza del piano straordinario di assunzioni di cui alla l. n. 107
del 2015 o secondo il sistema di avanzamento disciplinato dalle previgenti
regole di reclutamento, rappresenta una delle misure alternative idonee a
sanzionare e cancellare l’illecito comunitario, realizzatosi mediante la
illegittima reiterazione da parte della P.A. datrice di lavoro di contratti di
lavoro a tempo determinato su posti in organico di diritto; detta immissione in
ruolo è stata riconosciuta quale misura idonea ed adeguata anche dalla Corte di
Giustizia nella sentenza 8 maggio 2019, causa C-494/17, atteso che l’accordo
quadro sul lavoro a tempo determinato, recepito nella Direttiva 1999/70/CE, non
impone agli Stati membri di prevedere un diritto al risarcimento del danno che
si aggiunga alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in
un rapporto di lavoro a tempo indeterminato». (così, fra molte, Cass. Sez. 6-L,
02/02/2021, n. 2338, alla cui motivazione, condivisa dal Collegio, si rinvia,
ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ.);
7. ne consegue il rigetto del ricorso, senza che vi
sia luogo a provvedere sulle spese, in difetto di attività difensiva del
Ministero;
8. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti
indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle
condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art.
13, se dovuto.