La lavoratrice che si rifiuta di svolgere mansioni inferiori rispetto alla propria qualifica ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, purché il suo diniego sia caratterizzato da proporzionalità e buona fede.
Nota a Cass. ord. 18 ottobre 2022, n. 30543
Francesco Belmonte
Il rifiuto opposto dalla lavoratrice allo svolgimento di prestazioni inferiori e non pertinenti alla sua qualifica, se caratterizzato da proporzionalità e conformità a buona fede, priva la condotta contestata del carattere di illiceità disciplinare che connota il licenziamento.
In tale linea si è pronunciata la Corte di Cassazione 18 ottobre 2022, n. 30543 in relazione ad una fattispecie concernente il licenziamento disciplinare intimato ad una cuoca che si era rifiutata di distribuire i pasti in classe della scuola appaltante del servizio di mensa.
In particolare, la lavoratrice era stata assunta come cuoca, “tenuta all’approntamento dei pasti relativi all’utenza, nonché a tutte le attività preesistenti e successive indispensabili a consentire la preparazione e l’assunzione dei cibi”.
A fronte della richiesta datoriale di distribuire anche i pasti, la cuoca aveva apposto il proprio rifiuto, in quanto tale differente compito integrava prestazioni inferiori e diverse da quelle proprie della sua qualifica.
Per i giudici di merito (App. Roma n. 2085/2019), il rifiuto della lavoratrice non costituiva un “pervicace atteggiamento di insubordinazione”, poiché la stessa aveva più volte cercato un confronto con i responsabili aziendali al fine di concordare una soluzione organizzativa, congeniale per entrambe le parti.
In ragione di ciò, la Corte capitolina aveva reputato conforme a buona fede il rifiuto opposto e dichiarato l’illegittimità del licenziamento per “insussistenza del fatto contestato”, con conseguente applicazione della tutela reale c.d. debole (ex art. 18, co. 4, Stat. Lav.).
La Cassazione conferma la decisione di secondo grado rilevando che: «la tutela reintegratoria ex art. 18, comma 4, st. lav. novellato, applicabile ove sia ravvisata l’”insussistenza del fatto contestato”, comprende l’ipotesi di assenza ontologica del fatto e quella di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità» (v., ex multis, Cass. n. 3076/2020, annotata in q. sito da C. N. PLACCO).
In altri termini, la tutela reale, applicabile allorché sia ravvisata “l’insussistenza del fatto contestato”, può trovare applicazione anche nell’ipotesi in cui il licenziamento sia stato disposto per un fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, come nel caso di specie, stante l’accertata conformità a buona fede del rifiuto della lavoratrice allo svolgimento di mansioni inferiori alla propria qualifica.